Attualità
28 dicembre, 2016

Giustizia minorile: i fallimenti dello Stato e il riscatto di Teo

Su 449 minori detenuti, il recupero sociale è per pochi. E affidato ai cittadini di buona volontà. Per assenza di trasparenza,  formazione professionale insoddisfacente, chiusura istituzionale, l'inserimento lavorativo alla fine della pena è a dir poco difficile. Ma ci sono delle eccezioni.

Sono 449 i minori detenuti all’interno degli istituti penali, di cui 245 italiani e 204 stranieri, e 20.000 in attesa di giudizio. Lo rivela il rapporto “Ragazzi fuori”, realizzato da Antigone in collaborazione con l’ISFOL. Distribuiti sul territorio nazionale in modo disomogeneo (più stranieri al nord, più italiani al sud), privati della connessione internet, in alcuni casi sotto effetto di psicofarmaci, sono generalmente destinati a reiterare i reati. Sebbene il numero dei minori detenuti sia in calo e la detenzione avvenga in condizioni migliori rispetto agli adulti, le opportunità di riscatto sociale offerte si limitano quasi sempre alla buona volontà delle associazioni e dei singoli cittadini e non trovano invece risposta nelle istituzioni.

Numerose le criticità che impediscono di attivare un sistema adeguato all’inserimento nel mondo lavorativo di quei detenuti, che – pur avendo superato la maggiore età – restano nel carcere fino ai venticinque anni (come previsto dalla L. 117/2014). La carenza di finanziamenti per la formazione professionale è la prima della lista redatta da Antigone, a cui si aggiungono, la mancanza di incrocio tra domanda e offerta di lavoro, l’assenza di una pianificazione delle attività nel medio e lungo periodo e, non in ultimo, l’inefficacia della  legge “Smuraglia”, ovvero quella che prevede agevolazioni economiche per le aziende e le cooperative che assumono lavoratori detenuti.

La vita carceraria dei minori è quella di Robinù, raccontata dal documentario di Santoro. Il tempo vuoto di un’attesa che non ha soluzione di continuità tra fuori e dentro il carcere. Come conferma Mario Tagliani, maestro presso l’Istituto Penale Minorile Ferrante Aporti di Torino: «Solo uno su 100.000 ce la fa a riscattarsi».

Periodi di detenzione brevi impediscono di avviare percorsi adeguati. Programmi scolastici risicati e l’isolamento in strutture, che nella maggior parte dei casi non differiscono minimamente dalle carceri per adulti, favoriscono l’abbandono dei giovani detenuti alla noncuranza. Trovare storie di riscatto è come cercare acqua nel deserto. E  anche quando emergono, la chiusura da parte del Dipartimento di giustizia minorile è lampante. Poca trasparenza, profilo basso e un muro istituzionale. «Nel corso della mia carriera - spiega Tagliani - ho ricevuto molte richieste da parte dei giornalisti. Ma, anche quando c’è stata disponibilità da parte della direttrice, la pratica di accesso una volta arrivata a Roma è stata bloccata».

Una storia d’eccezione è quella di Teo, ventiduenne romeno beneficiario di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e quella di  suo fratello, assunto con una borsa-lavoro del Vaticano da un’azienda leader nel settore alimentare. Due esempi di riscatto. Ad impedire che anche loro rimanessero dei Robinù, sono dovuti intervenire (nel primo caso) un giovane imprenditore e (nel secondo) un ente religioso. Teo vorrebbe gridarlo al mondo: «Cambiare è possibile. Io ne sono l’esempio». Vorrebbe raccontarsi senza filtri, ma non può farlo. Non è autorizzato. E la trafila per consentirglielo è un labirinto senza via di uscita.

È arrivato in Italia con la sua famiglia da bambino. Figlio di un padre violento e alcolizzato, sceglie, assieme a suo fratello minore, di vivere per strada. Ci sono regole e codici da rispettare. E li impara in fretta. Entra nelle grazie dei più grandi e, anziché maneggiare giocattoli, finisce a impugnare armi. «Quando ho sparato il primo colpo, ho avuto paura e sono scappato», racconta. Ma impiega poco a farsi abile. Tira su una banda. Pochi anni e il numero dei furti e delle rapine aumenta, con bottini da migliaia di euro. Fino a quando non svaligia l’ennesima abitazione. Questo colpo segnerà la fine. Interviene la politica. La vittima non è un cittadino qualsiasi. Teo e suo fratello vengono arrestati e condivideranno la cella per tre anni.

La svolta arriva quando l’educatrice gli propone di partecipare a un laboratorio. Accetta e tre volte alla settimana inizia un corso di pasticceria e panificazione. «In contesti come quello, dove vigono il cameratismo e l’istinto di sopravvivenza, la manualità è fondamentale», racconta Sara, l’organizzatrice. Al termine del corso, Teo è il migliore allievo. Sara gli promette di trovargli un lavoro e ci riesce. Un giovane imprenditore è disposto ad accoglierlo. L’educatrice ottiene per lui l’articolo 21 dell’Ordinamento Penitenziario. Mario lo attende nel bar che ha aperto da pochi mesi nel centro di Roma. Nessuna domanda sul suo passato. Scade il tirocinio e, inaspettatamente, Mario lo assume a tempo indeterminato. Una scelta questa che gli costa una fatica immensa, tra incontri istituzionali e documenti da presentare. Soltanto così, però, Teo è stato scarcerato e ora, sebbene lo attendano tre anni e undici mesi di domiciliari, sente di essere un’altra persona. Impasta i dolci e sorride.

La sua è solo un’eccezione fortunata. Così la definisce Susanna Marietti di Antigone, che ribadisce la necessità di un nuovo ordinamento penitenziario per i minori, perché, al momento, «c’è solo un pachidermico disegno di legge delega». Ed anche l’avvocato Elia De Caro denuncia la mancanza di risorse e pone l’accento su un’ulteriore criticità, quella dei minori irregolari, che senza documenti non possono sperare nemmeno di contare sulla buona volontà di un  imprenditore. Solo l’azione dei singoli cittadini o degli enti assistenziali, in un contesto amministrativo farraginoso e ostile, può consentire ai 449 minori detenuti e ai 20.000 in attesa di giudizio di riscattarsi. Ed è bene ricordare, fa sapere Tagliani, che «quando un minore arriva in carcere vuol dire che sono falliti tutti gli altri tentativi». Piuttosto che continuare ad occultare il doppio fallimento dello Stato, è tempo di riconoscere che i giovani detenuti sono anch’essi il futuro del nostro paese. Perché in ogni Robinù può esserci un Teo.

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