Stipendi troppo bassi si traducono in una differenza di aspettativa di vita pari a quella di fumo, obesità e diabete. Lo dicono i risultati del più ampio studio mai pubblicato in materia

Lo ha messo in luce proprio in questi giorni un sondaggio condotto da Eurispes: quasi la metà delle famiglie italiane non arriva a fine mese e per una famiglia su 4 un problema medico è un problema enorme per il portafoglio. Un primo risultato “intermedio” di questo fenomeno lo ha mostrato il Censis non più di sei mesi fa: 11 milioni di italiani nel 2016 hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nell'ultimo anno per ragioni economiche, 2 milioni in più rispetto al 2012. Il risultato finale di tutto questo è facilmente intuibile: a parità di malattia, chi guadagna meno muore prima. Nei paesi “ricchi”, fra cui anche l'Italia, sarebbero infatti 2,1 gli anni di vita persi fra i 40 e gli 85 anni, a causa delle scarse condizioni socioeconomiche. Un rischio paragonabile a quello dei più noti fattori di rischio: fumo, diabete, obesità, cattiva alimentazione e scarsa attività fisica. Nell'era del lavoro full-time pagato a suon di voucher a 7,50 l'ora senza alcuna forma di tutela, stage a 400 euro al mese, co.co.co e contratti a chiamata, è uno scenario che non possiamo permetterci di ignorare.
È quello che emerge da uno studio pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista The Lancet che presenta i primi risultati diLifepath, un progetto dell’Unione Europea, nato con lo scopo di fornire dati aggiornati, significativi e innovativi sulla relazione fra disuguaglianze sociali e diseguaglianze di salute.

GUADAGNARE TROPPO POCO HA LO STESSO EFFETTO DEL FUMO

Il fatto che i più poveri se la passino peggio e muoiano prima non è certo una novità. Da oltre quarant'anni per esempio il team di sir Michael Marmot (che è peraltro uno dei firmatari di questo studio) fornisce dati che confermano questa tesi su gruppi di popolazioni in tutto il mondo. Le novità qui è da un lato l'essere riusciti a quantificare questo gap esaminando i dati di ben 48 studi sul tema, cioè su un campione di oltre 1,7 milioni di persone provenienti da Gran Bretagna, Italia, Portogallo, Stati Uniti, Australia, Svizzera e Francia, la cui vita è stata monitorata per 13 anni; dall'altro aver paragonato quantitativamente per la prima volta gli effetti della povertà con quelli dei noti fattori di rischio, come fumo, cattiva alimentazione, obesità, diabete e mancanza di attività fisica. Contare solo su uno stipendio molto basso può rivelarsi letale quanto fumare, avere il diabete o condurre una vita sedentaria.

RIPARTIRE DA LAVORO E ISTRUZIONE

In realtà non è così facile semplificare. Tradurre questa lunga serie di valutazioni empiriche raccolte in parecchi anni in un campione molto ampio di persone in anni di vita persi è appunto una semplificazione per sviscerare un problema decisivo anzitutto dal punto di vista politico: il lavoro. Dobbiamo ripartire dal lavoro, e quindi dall'istruzione – spiegano gli autori - se vogliamo progredire dal punto di vista della sanità pubblica, e dell'abbattimento delle disuguaglianze sociali.

Non è un caso infatti che all'interno di questa ricerca gli scienziati abbiano scelto di assumere come indicatore di status socio-economico il reddito da lavoro, ovvero l'occupazione di ogni individuo al momento del reclutamento per lo studio. Forse Thomas Piketty e colleghi non sarebbero così d'accordo nel limitarsi a questo fattore per la valutazione dello status socio-economico, tralasciando in questo modo il mattone del Patrimonio, che come Piketty ha ampiamente illustrato, rappresenta oggi il motore principale di accumulazione di ricchezza. Tuttavia – precisano gli autori - la ragione per cui qui si è scelto di studiare la correlazione fra salute e reddito da lavoro però è che quest'ultimo, oltre a parmettere una migliore comparazione fra paesi, offre anche il vantaggio di variare tendenzialmente molto meno con l'insorgere della malattia rispetto al patrimonio complessivo della persona.

IL PROBLEMA NON E' SOLO L'ACCESSO ALLE CURE

Questa ricerca ci pone inoltre di fronte all'evidenza che la povertà è un'arma a doppia lama. Comunemente quando si parla di rapporto fra povertà e aspettativa di vita si fa riferimento quasi unicamente sulla questione dell'accesso alle cure. Ci si focalizza sul prezzo dei farmaci, sulla qualità dell'assistenza, sulla possibilità di accedere ai servizi migliori. Quello che questo studio mette in luce è però anche un altro aspetto, importantissimo: stimare gli anni di vita persi è un calcolo complesso, che deve tenere conto di molte variabili, e non solo delle conseguenze dirette della quantità di denaro che ognuno di noi ha in tasca. La nostra salute è anche la conseguenza dello stile di vita che abbiamo, del cibo che compriamo, della quantità di attività fisica che facciamo, e via dicendo. È cosa nota infatti che il gradiente sociale venga letteralmente “incorporato” per esempio in gravidanza e durante la prima infanzia: i comportamenti della mamma modificano letteralmente il DNA del bambino.

COSA FA LA POLITICA? ANCORA TROPPO POCO

Si tratta di un risultato importantissimo e dal punto di vista della sanità pubblica, perché ci mette davanti al fatto – dati alla mano – che chi si occupa di prevenzione nell'ambito delle malattie croniche non può più permettersi solo di ragionare in termini di focalizzati su singoli fattori di rischio come fornire assistenza per chi vuol smettere di fumare o fornire consigli alimentari. “Lo status socioeconomico è importante perché include l’esposizione a diverse circostanze e comportamenti potenzialmente dannosi, che non si limitano ai classici fattori di rischio come fumo o obesità, sui quali si concentrano le politiche sanitarie” spiega Paolo Vineis, professore delll’Imperial College London e coordinatore di Lifepath.

Il problema è a monte. Come scriveva già George Orwell ne La strada di Wigan Pier esattamente 80 anni fa, “meno quattrini si hanno e meno ci si sente disposti a spenderli in cibo sano. Un milionario può apprezzare a colazione, la mattina, succo d'arancia e biscotti leggeri; un disoccupato no. Quando si è disoccupati, quando cioè non si mangia abbastanza, e si è tormentati, annoiati e depresso, non si ha voglia di mangiare tediosi cibi sani.” Insomma, la povertà compromette in maniera decisiva la capacità di prendere delle decisioni. Screma le priorità.

Ciononostante, i decisori politici spesso non lo considerano fra i fattori da prendere di mira con interventi specifici. “Ci siamo sorpresi quando abbiamo scoperto che vivere in condizioni sociali ed economiche povere può costare caro quanto altri potenti fattori di rischio come il fumo, l’obesità e l’ipertensione” afferma Silvia Stringhini, ricercatrice all’University Hospital di Losanna, in Svizzera, e coordinatrice dello studio. “Queste circostanze possono essere modificate con interventi politici e sociali mirati, per questo dovrebbero essere incluse fra i fattori di rischio su cui si concentrano le strategie globali di salute pubblica”.