Settecentocinquanta euro al mese. Per tutti. Con questa proposta, Benoît Hamon, vincitore alle primarie della gauche, ha imposto nel dibattito francese il tema del “reddito universale”. Vuoi darli anche a Madame Bettencourt?, lo hanno subito provocato i rivali, citando la donna più ricca di Francia (e del mondo) al centro di parecchi scandali, anche per evasione fiscale. Sì, è la risposta di Hamon. Come già oggi l’assistenza sanitaria, il reddito universale deve essere garantito a ogni cittadino.
Il dibattito sul reddito di cittadinanza, o universale, in fondo è già tutto qui.
E invece c’è bisogno di qualche chiarimento, perché in Italia
c’è chi confonde il reddito di cittadinanza con il
reddito minimo, che è tutt’altra cosa. (E per orientarsi è utilissimo il libro, pubblicato di recente dal Mulino “Reddito di cittadinanza. O reddito minimo?” di Stefano Toso).
Innanzitutto. Nessun paese al mondo adotta il reddito di cittadinanza. Solo esperimenti a livello locale in Nord Europa e in Alaska. In moltissimi paesi, invece, esiste l’istituto del reddito minimo, che gli studiosi definiscono: «un trasferimento alle famiglie in condizioni di povertà e disponibili a cercare un lavoro». In Europa, a non averlo sono solamente l’Italia e la Grecia.
Nel Parlamento italiano esistono varie proposte di legge, tra le altre del Pd e di Sel, che vogliono introdurre una qualche forma di reddito minimo. Ma, tanto per creare un po’ di confusione, quella del Movimento 5Stelle lo chiama Reddito di cittadinanza, anche se propone di limitarlo alle famiglie sotto la soglia della povertà. Nello stesso equivoco è caduto Silvio Berlusconi quando ha detto di essere favorevole alla proposta dei grillini per aiutare quegli italiani poveri che «vivono di carità».
Il reddito di cittadinanza, ripetiamolo, è universale, garantito a tutti. Semplicissimo da amministrare, sarebbe un forte collante per la coesione sociale, aiuterebbe a formare un senso di appartenenza alla comunità nazionale. Controindicazioni: un suo livello decente avrebbe un costo insostenibile per le finanze dello stato. È iniquo: come ha scritto il filosofo John Rawls, i soldi pubblici andrebbero anche a «chi fa surf tutto il giorno davanti alla spiaggia di Malibu».
Il reddito minimo invece andrebbe solo alle categorie più svantaggiate. Le risorse per attuarlo si possono trovare, anche se la verifica dei requisiti (il livello di reddito, la disponibilità ad accettare un impiego) provoca un aumento di costi burocratici (e qualche ingiustizia, nel paese degli evasori).
Viviamo in tempi dove il lavoro è sempre più saltuario, precario, discontinuo. Aiutare chi, più o meno a lungo, rimane senza è ormai indispensabile se si vuole non solo sostenere la domanda, ma anche che la società non esploda.
E allora: il reddito di cittadinanza sarebbe bellissimo, forse prima o poi ci si arriverà. Nel frattempo noi italiani dovremmo sbrigarci a introdurre una qualche forma di reddito minimo, e a sanare un’altra delle distanze che ci separano dai paesi civili.