Più che quella tra i partiti tradizionali, si impone ?la divisione tra filo e anti Ue. Che è anche ?una frattura tra generazioni. La May è stata punita dai giovani. Che hanno premiato invece Macron. L'Italia resta incapace di un progetto davvero innovativo

Da sinistra Angela Merkel, Paolo Gentiloni, Emmanuel Macron e Theresa May
Uno stesso sconvolgimento sta per cancellare le loro differenze. Gran Bretagna, Francia e Italia hanno storie politiche completamente diverse. La destra italiana e quella inglese non sono mai state caratterizzate da un bonapartismo paragonabile al gaullismo. La Democrazia cristiana non è mai stata così centrale in Francia, quanto lo è stata per lungo tempo in Italia. In Gran Bretagna non è mai esistita, ma in questi tre paesi in cui l’eurofobia è, in compenso, molto forte, la questione europea modifica, quasi contemporaneamente, i confini e il paesaggio politici.

È in Francia che le cose sono andate più velocemente.. In contrapposizione al Front National di Marine Le Pen, Emmanuel Macron ha condotto una campagna facendo acclamare l’Unione europea nei suoi comizi. Al suono dell’Inno alla gioia di Beethoven, l’inno ufficiale europeo, ha pronunciato il suo primo discorso da presidente. Insieme ad Angela Merkel, dovrebbe annunciare tra poco la creazione di un fondo comune per il finanziamento delle prime iniziative per una difesa comune europea e, pur essendo uno sconosciuto ancora tre anni fa, è riuscito a formare un nuovo partito politico, En Marche, che con ogni probabilità controllerà tutte le leve del potere dopo la vittoria alle elezioni legislative. Così la Francia, che aveva paralizzato l’Europa bocciando, nel 2005, il progetto di trattato costituzionale europeo, sceglie oggi di ridisegnare il suo scacchiere politico sotto le insegne dell’Europa.

Ma veniamo ora al caso della Gran Bretagna, paese che aveva votato a favore dell’uscita dall’Unione europea meno di un anno fa.

Portata al potere sull’onda di quel referendum, la premier, Theresa May, aveva subito capito che i suoi concittadini non potevano avere la botte piena e la moglie ubriaca, rimanere nell’Unione quando loro conveniva e uscirne quando non era più conveniente. Se volevano continuare a godere dei benefici del mercato unico, dovevano continuare ad accettare ciò che avevano rifiutato con il loro voto: la libertà d’insediamento sul loro territorio dei cittadini di altri paesi europei e l’applicazione di norme comuni sulle quali non avrebbero più avuto alcuna voce in capitolo.

Scegliendo dunque una “Brexit dura”, Theresa May aveva anticipato, di conseguenza, le elezioni politiche per affrontare in posizione di forza i negoziati per l’uscita dall’Unione europea, ma sappiamo come è andata.
Anziché allargarla, ha finito col perdere la sua maggioranza, indebolendosi sia sulla scena politica interna che in vista dei prossimi negoziati: un rovescio dovuto soprattutto agli elettori più giovani.

Quelli con meno di trent’anni, che avevano partecipato così poco al referendum sulla Brexit perché non ci credevano, si sono recati in massa alle urne l’8 giugno scorso. E hanno dato il loro voto ai laburisti per manifestare il loro rifiuto di rompere tutti i ponti con l’Ue. Alla Brexit dura hanno preferito la ricerca di un compromesso con gli atri 27 paesi membri auspicato da Jeremy Corbyn, il leader della sinistra, e questo ha sconvolto l’intero panorama politico britannico.

A quanto appare, le due grandi forze politiche tradizionali, conservatori e laburisti, ovvero destra e sinistra, sembrano sempre occupare il centro della scena. E, a un primo sguardo questo è l’opposto della situazione francese poiché Emmanuel Macron ha polverizzato il Partito socialista e I Repubblicani, ovvero la sinistra e la destra di un tempo. Ma questo è solo un effetto ottico.

Laburisti e conservatori sono in realtà divisi tra eurofobi e eurofili. La generazione britannica nata all’interno dell’Unione europea ha appena tratteggiato una nuova frontiera politica in Gran Bretagna perché, più avanzeranno i negoziati con gli altri 27 paesi membri, più la scelta che s’imporrà alle quattro nazionalità del Regno Unito si ridurrà a uscire dall’Ue o a restarvi, a confermare la Brexit o a voltare pagina.

O l’uno o l’altro. Quale orientamento prevarrà non lo sappiamo. Staremo a vedere. Ma l’Europa sta per far emergere in Gran Bretagna due nuove forze politiche la cui identità principale sarà quella di essere favorevole o contraria all’unità europea. E questo è già quanto sta avvenendo a Roma guardando le cose a distanza da Parigi, Londra o Berlino.

L’Italia è tutta presa dal fallimento della riforma elettorale: un esito infausto e demoralizzante che rattrista tutti coloro che, specialmente a Parigi, vorrebbero una Italia forte, capace di svolgere il ruolo che le spetta in seno all’Unione. Ma, al di là di questa contingenza, qual è la realtà essenziale della vita politica italiana?

In sostanza, da un lato ci sono gli eurofobi, il Movimento 5 Stelle, anche se in perdita di velocità, e la Lega, i partiti dell’utopia retrograda, tutti coloro che rifuggono dalle ingiustizie e dai pericoli del mondo preferendo mitizzare un passato ormai lontano. Anche nella loro diversità, questi rappresentano forze politiche che guardano indietro rispetto a quelle ancorate invece al presente, che sono però altrettanto divise sulle questioni economiche e sociali quanto gli eurofili britannici poiché fra di esse ritroviamo sia il Partito democratico che Forza Italia, che si rifiutano di attribuire all’Ue tutte le colpe e di assistere al suo disfacimento.

Anche se quello fra Berlusconi e la sinistra può apparire come un matrimonio contronatura che mette i brividi a tanti italiani, resta il fatto che quest’uomo non rappresenta l’estrema destra e che nonostante le sue strizzatine d’occhio agli eurofobi non si è mai spinto fino a proporre un’Italexit. Con Berlusconi, se mai dovesse essere veramente necessario, o in ogni caso con i suoi elettori e il suo partito, l’Italia può disporre di un contrappeso alle forze politiche nostalgiche, ovvero di una coalizione che i sondaggi, i rapporti di forza e la necessità impongono di mettere i campo prima che il rifiuto di tutto e gli egoismi regionali conducano alla catastrofe.

Anche in Italia, l’Europa trascende le linee di divisione più marcate poiché alle sue frontiere tutto impone di rinserrare i ranghi dell’Ue.

Il caos del Medio Oriente, le nostalgie imperiali di Putin e l’imprevedibilità di Donald Trump obbligano noi europei a dotarci di un sistema di difesa comune di cui abbiamo urgente bisogno poiché siamo praticamente privi dell’ombrello militare degli Stati Uniti a causa del ridispiegamento delle loro forze verso l’Asia e della volontà degli americani di occuparsi più del proprio paese che del mondo esterno.

Climatiche, industriali, migratorie e commerciali, tutte le sfide che abbiano di fronte ci fanno capire - al tempo stesso- che possiamo benissimo scomparire disunendoci oppure, al contrario, possiamo ritornare con forza sulla scena internazionale facendo dell’Ue una potenza politica. Il mondo d’oggi non ci lascia altra scelta che l’unità e inoltre dobbiamo difendere il nostro modello di solidarietà e di protezione sociale al quale anche gli elettori britannici hanno dimostrato di essere attaccati, punendo i conservatori.

Questo modello che tanto ci invidiano ovunque perché in nessuna parte del mondo è così sviluppato, possiamo difenderlo contrapponendo una potenza pubblica europea a una potenza del denaro senza frontiere, oppure lasciarlo andare in rovina, smantellarlo rifugiandoci nell’illusione di un ritorno a Stati nazione oggi incapaci di preservarlo, per non parlare di consolidarlo.

In una parola, dobbiamo preferire un’unità difficile a una facile dispersione.

Tutto fa sembrare evidente, a Londra, a Parigi e a Roma, che questa idea si sta imponendo, dopo lunghi anni di divorzio fra gli europei e l’Europa. È un cambiamento che discende, semplicemente, dallo stato attuale del mondo ed è sorprendente che sia la Francia, che ha inventato l’unità europea, a prenderne coscienza per prima avendo il coraggio di portare alla presidenza del paese un uomo di trentanove anni la cui ambizione principale è rimettere l’Unione sui binari. Al pari di quei giovani inglesi che si sono mobilitati l’8 giugno scorso, Emmanuel Macron è nato nell’Europa di cui incarna, ormai, la nuova generazione, al di là dei confini politici del secolo scorso.

Traduzione di Mario Baccianini