Perché l'Europa di oggi rischia di far tornare i nazionalismi
Risvegliata dalle migrazioni di massa e inasprita dai fatti di terrorismo, la convinzione che i confini si difendano solo chiudendoli ha ripreso da alcuni anni a circolare nel Vecchio Continente
«Bisogna chiudere i confini di Schengen, sfatare il mito della circolazione universale». Marine Le Pen deve anche a questo motto il successo che ottenne al primo turno delle presidenziali francesi. In altre occasioni aveva usato un vocabolario più tagliente: «Seppellire Schengen». L’idea della frontiera da chiudere, lasciando fuori gli “altri”, è uno dei cardini del nazionalismo storico.
Risvegliata dalle migrazioni di massa e inasprita dai fatti di terrorismo, la convinzione che i confini si difendano solo chiudendoli ha ripreso da alcuni anni a circolare per l’Europa e fuori, diventando un ingrediente tipico delle destre populiste e fasciste. Basta far ruotare il mappamondo per vedere che oggi il nazionalismo è uno dei motivi politici più potenti del pianeta: dai paesi ex-socialisti dell’Unione Europea, alla democratica Austria, all’Inghilterra della Brexit, gli Usa di Trump, la Russia di Putin, la Turchia di Erdo?an, l’India di Modi, quasi tutto il mondo sta ridiventando nazionalista.
La formula s’è definita e arricchita nel corso della storia. Il punto di partenza è l’idea che il territorio dello Stato debba ospitare una sola “nazione” omogenea, un gruppo che condivide ab origine un insieme di proprietà specifiche: le origini, i miti, i pregiudizi e le fantasie collettive, le tradizioni, la lingua, il mangiare, la religione e i rituali e, ovviamente, il colore della pelle. Per consolidare le radici, il nazionalismo pesca nei “valori” e nella storia: le tradizioni degli avi, la fede, la purezza di sangue, i sacri confini. Quando i valori scarseggiano, se li inventa: la razza perfetta, il popolo eletto, le frasi fatali, i profeti, le umiliazioni da risarcire, il bisogno di spazio, i territori perduti.
Il nemico numero uno del nazionalismo è lo straniero, l’“altro”; comunque si presenti. Si può trattare di un invasore che intende annetterti, come nel caso dell’Ucraina e della Crimea nei confronti della Russia. Ma si può trattare anche dell’immigrato, che arriva non invitato a prendersi quel che gli avi hanno prodotto nei secoli, a rubare le “nostre donne”), sottrarci “il nostro lavoro” e a distruggere i “nostri valori”, tanto più se ha religione diversa, parla una lingua che non si capisce e ha un diverso colore della pelle.
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Il secondo passaggio riguarda la ricostruzione del passato. Quando la storia non quadra bene con le sue convinzioni, il nazionalismo la riscrive secondo i propri gusti, inventando narrazioni di sana pianta o manipolando quelle disponibili. In un famoso libretto del 1882 (Che cosa è una nazione?), Ernest Renan, che se ne intendeva, spiegò senza mezzi termini che «l’oblio, e direi anche l’errore storico, sono fattori essenziali per la creazione di una nazione; per questo, il progresso degli studi storici è spesso un pericolo per la nazionalità». Non stupisce quindi che, nella recente campagna per le presidenziali francesi, la più confusa e rude degli ultimi tempi, più di un candidato abbia rimesso le mani nella storia producendo la sua versione di uno dei nodi fatali di quel paese: il ruolo dei francesi nella collaborazione coi nazisti. Nella versione di Marine, non furono i francesi in generale a collaborare, ma solo una piccola parte: così la nazione è salva. Allo sfortunato François Fillon venne perfino in mente di proporre che tre accademici riscrivessero la storia per le scuole. E Sarkozy, da presidente, aveva promosso nel 2005 una legge sui benefici della colonizzazione (altro tema ossessivo della destra francese) arrivando a creare nel 2007 un ministero dell’immigrazione, dell’integrazione e dell’identità nazionale (sic) e nel 2011 una Casa della storia di Francia. Non soltanto i candidati di destra hanno messo mano al tema del “racconto nazionale”. Jean-Luc Mélenchon ha ricordato che «nel momento in cui si è francesi, si adotta il racconto nazionale».
Il terzo passaggio riguarda le relazioni con gli altri paesi. L’impulso nazionalista sbocca infatti di solito nella richiesta di autonomia. In fondo anche questa è un’operazione di revisione storica. Una quantità di Stati moderni sono stati creati mettendo insieme, anche con la violenza, nazioni diverse. A compiere l’unificazione fu a volte una dinastia (come in Francia, in Gran Bretagna o in Spagna), altre volte la volontà dei territori (come in Svizzera o in Belgio). Nell’epoca globale, il nazionalismo alla moderna va rivedendo con puntiglio la tenuta di queste unificazioni alla ricerca dei punti che non reggono, e sfrutta per i suoi scopi ogni sorta di tensioni, conflitti e differenze (vere o di fantasia). Non sorprende che questo spirito di revisione tenda a rompere, più che a creare, le aggregazioni esistenti, nazionali e sopranazionali, come si vede in Europa e altrove. È il caso della Catalogna nei confronti della Spagna; del Québec verso il Canada anglofono; della Corsica verso la Francia; del Sudtirolo o delle isole maggiori nei confronti dell’Italia; del Kosovo verso la Serbia; di Scozia e Irlanda verso la Gran Bretagna; dei paesi caucasici nei confronti di Turchia e Russia; di recente, della Lombardia e del Veneto contro l’Italia. Le misure di Narendra Modi a favore della nazione hindu in India rispondono, dall’altro lato del pianeta, allo stesso spirito.
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Infine, il protezionismo. Chiudendo i confini il nazionalismo protegge le merci nazionali da quelle straniere. Pretende in questo modo di salvare il lavoro della “nostra gente”, come mostra con straordinaria evidenza la difesa da parte di Trump della produzione statunitense.
Cultura politica primitiva ed elementare, il nazionalismo si risveglia o si accentua in epoche di competizione, di conflitto e di penuria. La scena europea attuale offre ad esempio il quadro perfetto per un risveglio, perché spuntano sempre nuovi tipi di “altro” da cui mettersi al riparo. In questo momento, sono tre i nemici dichiarati del nazionalismo europeo: le nazioni “altre” a cui la storia può averci indebitamente saldato; gli “invasori” stranieri, cioè gli immigrati non meno che il grande capitale internazionale; gli organismi sopranazionali, che sottraggono poteri alla nazione.
Il primo movente spiega i separatismi e gli autonomismi; il secondo, l’ostilità a ogni forma di migrazione; il terzo, l’ostilità all’Unione Europea. L’uno o l’altro di questi motivi può servire a favorire aggregazioni che altrimenti sarebbero impossibili.
Da questo punto di vista è interessante la ribellione dei paesi ex-comunisti dell’Ue contro la politica dell’Unione sull’immigrazione: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria hanno trovato un’inedita concordia in nome dei “valori cristiani” creando il Gruppo di Višegrad (cui sembra aderiranno anche Romania e Bulgaria) con lo scopo di imporre un limite al flusso di immigrati islamici. Ma preoccupa che il motivo di fondo e il desiderio di tutti i movimenti nazionalisti del continente sia la dissoluzione dell’Unione europea.