Negli States lo stesso coleottero si è fatto una cattivissima fama, uccidendo 100 milioni di alberi e lasciando un conto di parecchi miliardi di dollari per danni ambientali che, ironia della sorte, pagherà il governo di Donald Trump, lo stesso che ha deciso di stracciare gli accordi di Parigi di Cop21, l’impegno fra le nazioni per fermare l’aumento dell’anidride carbonica provocato dall’inquinamento delle attività umane e il conseguente riscaldamento globale. Che c’entra il Minatore Smeraldino con lo scioglimento dei ghiacciai? C’entra eccome. Lo dicono decine di ricercatori italiani che ogni giorno combattono il boom delle specie aliene provocato dall’innalzamento delle temperature.
Annapaola Rizzoli è il capo dei ricercatori della trentina Fondazione Edmund Mach e il suo ruolo è censire le specie aliene, capire quali danni provocano a uomo e piante, e trovare un modo per impedire loro di distruggere l’ecosistema. Per esempio, la Drosophila Suzikii, il moscerino dei piccoli frutti, va ghiotto di mirtilli e fragole e in Alto Adige provoca 2,6 milioni di euro l’anno di danni alle colture. Non è stato ancora debellato.
La fondazione trentina è anche alle prese con insetti pericolosi per l’uomo, come le zanzare - dopo la tigre, le ultime arrivate sono la giapponese e la coreana, che trasportano il virus Zica, quello che la scorsa estate ha colpito Sud America e Florida provocando febbre e malformazioni ai feti - e le zecche, diventate feroci.
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«È un invasione provocata dal cambiamento climatico, che ha creato ambienti favorevoli a loro, prolungandone l’attività», dice Rizzoli, che spiega come, per esempio, in passato le zecche mordessero solo fra maggio e luglio, mentre ora sono attive fin da gennaio, essendo le temperature sufficientemente alte da permettere loro di vivere più a lungo e diventare più aggressive e pericolose. Non solo: restando in circolazione per più mesi hanno maggiori probabilità di contrarre e trasmettere all’uomo malattie pericolose, come la Borreliosi di Lyme, che se non diagnosticata può avere conseguenze gravi a livello cardiologico ed encefalico, e l’Encefalite virale, un’infezione in rapida espansione», spiega la scienziata.
Il Centro euro-mediterraneo sui Cambiamenti climatici, Cmcc, ha l’obiettivo di arginare le mutazioni dell’ecosistema e nel consiglio di amministrazione dell’ente siede Riccardo Valentini, che è anche dirigente del dipartimento di Scienze dell’ambiente forestale dell’Università della Tuscia e fa parte del comitato Intergovernamental panel on climate change della Nato.
Con il Cmcc sta studiando gli effetti sul paesaggio del cambiamento climatico a livello europeo e nelle regioni siberiane e boreali. Lavorando con il centro universitario di Vladivostok, l’ultima città attraversata dalla Transiberiana, si è scoperto che l’aurora boreale non avrà lunga vita.
Valentini è da poco rientrato dalla Puglia, dove ha effettuato ulteriori analisi sugli ulivi colpiti dalla Xylella: «È straziante. In soli due anni questo insetto ha distrutto piante millenarie, lasciando solo dei grigi stecchi rinsecchiti. Questo animale, importato dal Costa Rica, fino qualche anno fa non attecchiva in Italia perché faceva troppo freddo; invece ora ha trovato un habitat ideale.
Spaventa la velocità di questi cambiamenti climatici», dice Valentini. Il Cmcc sta cercando di capire se e come le specie del Mediterraneo possano continuare ad esistere con un minor apporto di acqua: «Già oggi il 20 per cento delle querce sta morendo a causa degli insetti sempre più aggressivi e della mancanza di acqua», dice il professore. Sta succedendo, ad esempio, sul promontorio del Parco nazionale del Circeo, dove la macchia mediterranea sta seccando a causa di un insetto di origine africana (lo Xylosandrus compactus), che in tre mesi si è mangiato centinaia di ettari di boschi sul litorale laziale. «I cambiamenti climatici stanno favorendo una delle specie invasive storiche, la Phytophthora cinnamomi, un parassita che attacca migliaia di alberi.
L’innalzamento delle temperature ne favorisce la sopravvivenza durante l’inverno e così colonizza intere foreste», spiega Andrea Vannini, patologo forestale dell’Università della Tuscia, che indica anche altri killer pronti a invadere l’Italia, come il Sudden Oak Death, ossia “Morte improvvisa delle querce”. Ha invaso la California, poi il Regno Unito, dove fa razzia di larici «e lo stiamo aspettando in Italia», dice Vannini, che continua: «Non riusciamo a fermarli; è un problema gigantesco. I sistemi di quarantena non funzionano, il commercio globale li trasporta velocemente da una zona all’altra e il caldo crea le condizioni ideali per farli proliferare». Soluzioni alternative? «Il nostro laboratorio fa parte di un network internazionale di piante sentinella. Funziona così: alberi europei vengono piantati nei Paesi da cui riceviamo queste specie aliene e ne studiamo gli effetti, così da essere pronti a identificarli non appena quegli insetti arrivano in Italia.
Stiamo aumentando i controlli, dilatando le quarantene, ma le devastazioni sembrano irreversibili», dice il patologo. Dai dati del professor Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di dinamica dei processi ambientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, si scopre che «i ghiacciai al di sotto dei 3.800 metri spariranno entro la fine del secolo e abbiamo visto che questi hanno accumulato una valanga di sostanze tossiche in passato precipitate con la neve e che ora si stanno liberando in pochissimi anni, finendo nell’acqua che noi beviamo. Di positivo stiamo facendo poco. Dovremmo ridurre le emissioni di gas serra, ma la notizia che Trump e l’America andranno in tutt’altra direzione non è incoraggiante. Del resto siamo in una situazione in cui non è più sufficiente diminuire le emissioni, ma dovremmo trovare un modo per raccogliere l’anidride carbonica e buttarla via. Ad esempio riforestando il pianeta».
A Bologna, al Climate-Kic, si studiano intanto altre strategie. Si tratta di un ente finanziato dall’Europa, che supporta le startup innovative che operano su tematiche collegate al cambiamento climatico. A dirigerlo è Angelica Monaco e fa l’esempio di City Tree, un muro verde realizzato con muschi ad alto assorbimento di Co2, che sta per essere testato a Modena. Ma la ricerca, in questo campo prosegue a tentativi.
Ancora più complicato è arginare gli effetti del cambiamento climatico sul mar Mediterraneo. Ferdinando Boero, professore di Zoologia all’Università del Salento, li sta studiando da anni e ci racconta che la maggior parte delle specie marine aliene entra nel Mediterraneo attraverso il canale di Suez che, da quando nel 2015 è stato raddoppiato, è diventato un’autostrada d’ingresso per pesci e meduse urticanti. La costa adriatica fa i conti con l’invasione della medusa luminosa; al largo della Sardegna è stata avvistata la temibile Rhopilema Nomadica, un’altra medusa che pesa fino a dieci chili: proviene dall’oceano indiano e in Israele ha bloccato impianti di desalinizzazione e centrali nucleari. Sui bassi fondali è comparso anche il Lion fish, un pesce dagli aculei velenosi. Il mar Mediterraneo si sta tropicalizzando perché pesci, alghe, meduse, coralli si allontanano dai luoghi d’origine, le regioni intertropicali, dove non trovano più condizioni climatiche adatte: laggiù fa troppo caldo. Migrano nel Mediterraneo, dove ritrovano un habitat adeguato.
Boero conclude con una provocazione: «I nuovi pesci fanno come i profughi umani, che scappano dal Sahel africano perché c’è una crisi idrica spietata. Come per gli umani, anche in questo caso, i nuovi venuti non sono tutti apprezzati allo stesso modo. Vi faccio un esempio. La rivista Science dice che le barriere coralline stanno scomparendo e potrebbero migrare proprio nel Mediterraneo. È probabile che gli europei sarebbero ben felici di ospitarle, mentre vorrebbero arginare altre specie. Come per la migrazione di uomini, viene da chiedersi: sono invasori o profughi da accogliere?».