Attualità
dicembre, 2018

Nella notte dell’Europa

Gli attentati accanto al Parlamento Ue. I leader dell’Unione in caduta libera.  E l’Italia nel buio del rancore, del “sovranismo psichico”

Mentre chiudiamo il numero dell’Espresso, con la nuova puntata dell’inchiesta di Giovanni Tizian e Stefano Vergine sui soldi della Lega che da mesi fa tremare il partito di Matteo Salvini e che ha anticipato le inchieste delle procure di Roma, Genova e Bergamo e con il racconto di Emiliano Fittipaldi del crack di una società storica come Condotte per l’Acqua, con le sue ricadute politiche, con l’intervista di Francesca Mannocchi con Gilles de Kerchove, coordinatore anti-terrorismo Ue, scorro la pagina Facebook di un giovane collega. «È un mondo meraviglioso», scriveva Antonio Megalizzi il 5 dicembre, ironizzando sulla notizia dei prezzi del gilet gialli schizzati su Amazon dopo i moti di piazza francesi. In questo mondo meraviglioso, la sera di martedì 11 dicembre, Antonio, trentino, ventotto anni, impegnato in Radio Europhonica, in attesa di ricevere un tesserino da giornalista pubblicista, europeista, è stato colpito al cranio da un proiettile sparato da Chérif Chekatt mentre passeggiava vicino al mercatino di Natale di Strasburgo. Nel cuore dell’Europa, a pochi passi dal Parlamento europeo, tra eurodeputati terrorizzati, bloccati negli alberghi, nei ristoranti, nei corridoi del Parlamento. Un’altra notte dell’Europa difficile da far passare, nel dolore, nell’impotenza, nella speranza che si alterna alla disperazione, nelle stesse ore in cui i condottieri, coloro che hanno le responsabilità di governare e di guidare i loro paesi, le principali leadership del Vecchio Continente vengono giù tutte insieme. In modo fragoroso.

L’inglese Theresa May accolta dalla Camera dei Comuni da ululati e sberleffi, con le risate che risuonano nell’aula a ogni sua parola come quelle pre-registrate negli show televisivi americani. Al culmine della crisi originata dal voto sulla Brexit del 23 giugno 2016, il mitico modello Westminster, il prototipo della democrazia governante in grado di assicurare stabilità e decisioni, affonda tra ritirate, rinvii, voti di fiducia e di sfiducia, dimissioni minacciate, complotti, tradimenti. Uno scenario che all’osservatore italiano appare familiare e sarebbe quasi rassicurante, se non fosse che in un paese abituato a immaginarsi da secoli in modo completamente diverso si trasforma nell’ora più buia, più buia forse perfino di quella in cui Londra fu messa sotto assedio dall’aviazione hitleriana. Nell’ora più buia tutto si disgrega: i vecchi partiti, i patti di reciproca convenienza all’interno dell’establishment, la solidarietà tra le Nazioni che compongono il Regno Unito.

Dall’altra parte della Manica, c’è un’altra stella cadente. Il presidente francese Emmanuel Macron, Jupiter, come lo chiamavano fino a poco tempo fa, si è affacciato davanti alle telecamere per parlare in prima serata ai connazionali dopo un mese di scontri di piazza. Pallido, tremante, l’immagine di una leadership improvvisamente fragile, impaurita, incapace di ritrovare un senso alla sua azione. Una ritirata spettacolare nelle mura del Palazzo, con l’offerta ai rivoltosi di un pacchetto di misure da dieci miliardi di euro in cambio della cessazione delle ostilità, come si usa fare quando gli eserciti sono stremati da una guerra perduta. Non è solo Macron a uscire sconfitto dall’autunno caldo parigino, ma tutto il movimento europeo che aveva provato a intestarsi il progetto di riforma dell’Unione cavalcato dal giovane inquilino dell’Eliseo. L’Inno alla Gioia che ne aveva accompagnato l’elezione nel maggio 2017 si è spento, si è tramutato nella grande tristezza, nella grande paura che accomuna tutte le leadership europee, compresa l’unica solida, tetragona, quella di Angela Merkel. La cancelliera lascia e riesce a far designare per la successione la sua candidata. Ma è tutto l’equilibrio europeo che vacilla in questa caduta degli dei.

Il governo italiano, il suo leader Matteo Salvini, può rivendicare di essere l’unico tra i grandi paesi europei ad avere la fiducia del Parlamento e degli elettori. Il capo della Lega lo ha ribadito in piazza, una settimana fa: si sente di rappresentare sessanta milioni di elettori, ovvero tutti, anche quelli che non lo hanno mai votato e non lo voteranno mai. In una società in cui, ha scritto il Censis nel suo ultimo rapporto, avanza la ricerca del capro espiatorio, il cinismo di massa, il «sovranismo psichico», il rancore diventa cattiveria pura nei confronti dell’altro. Sentimenti pre-politici, che i politici dell’opposizione non riescono a intercettare.

I leader del Pd, a partire da Matteo Renzi, sembrano condividere la rotta dei governanti europei, eppure sono in minoranza, nelle condizioni di parlare con quella parte di società che non si rassegna al governo di oggi Salvini-Di Maio e al bipolarismo di domani Salvini-Di Battista.

Si discute di congresso, scissioni, ticket improbabili, il vecchio capo si sente offeso soltanto a essere interpellato a proposito di un partito che non nasconde di detestare. In questa condizione, in questa notte della politica, l’Espresso continua la sua ricerca di mondi da cui può nascere un’alternativa: dopo le associazioni, i movimenti civici, le donne, gli studenti, è la volta di un pezzo di mondo cattolico impegnato nel sociale. Una galassia di associazioni, intellettuali, consumatori, banche di credito cooperativo, mondo della finanza etica e solidale, imprenditori attenti alla responsabilità sociale, un sindacato storico come la Fim-Cisl che cercano di tenere insieme ciò che è stato separato: lavoro e impresa, innovazione e attenzione al sociale e cura dell’ambiente. Un pezzo di Paese che non si rassegna. No, non ci rassegniamo a questa notte dell’Europa, al fallimento di leader balbettanti. In questo tempo, in questo mondo che non è meraviglioso, come scriveva Antonio Megalizzi, eppure è degno di essere vissuto, con tutti i suoi drammi e le sue opportunità.

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