Per troppe famiglie il costo di un centro estivo è diventato insostenibile. Dati Istat alla mano. In un Paese in cui l'occupazione della donna è ferma a dieci anni fa
La scuola pubblica, che dovrebbe essere il motore dell’uguaglianza e dell’inclusione sociale, d’estate non può più prendersi il lusso di una vacanza. Per le famiglie che – per dirla con gli eufemismi moderni - “lavorano nell’esecutivo” e dove i genitori lavorano entrambi, per le famiglie di giovani con un reddito medio basso o per quelle dove c’è un solo genitore, i costi per la gestione dei figli a partire dalla fine di giugno possono essere un grosso problema.
Se da una parte le scuole anno dopo anno si dicono di guardare al futuro, fra inglese, LIM e progetti di digitalizzazione di diverso tipo, dall’altra il modello che fa da sfondo a tutto questo è lo stesso degli anni Settanta, dove il grosso sottointeso di questo scenario di cartapesta era ed è il lavoro della donna, che nel 39 per cento dei casi è un part-time.
Se ne sono accorti i comuni, la cittadinanza attiva, le associazioni che propongono diverse forme di centri estivi per tutti i gusti. Il problema è che i costi per questa offerta formativa sono (ovviamente) inaccessibili per molti. I dati più recenti in merito li ha raccolti
un’indagine dell’Osservatorio sulle Famiglie di Federconsumatori : i costi medi in Italia per i centri estivi sono 624 euro al mese a bambino nelle strutture private e 304,00 Euro in quelle pubbliche. Il costo medio settimanale e? risultato infatti pari a 156 euro per un centro estivo in una struttura privata e 95 euro per la mezza giornata, cioè fino alle 14.
Non tutte le strutture sono uguali: in alcuni casi si tratta di un appoggio, in altri casi di una vera e propria offerta formativa parallela a quella invernale, per chi può permetterselo. I centri che offrono corsi di inglese sono prevalentemente scelti dalle famiglie che possono sostenere un costo settimanale medio di circa 262 euro per bambino – si legge nell’indagine Federconsumatori – costo che è salito del 24 per cento rispetto al 2016. I centri che invece propongono attivita? sportive, quali basket, calcio, pallavolo etc., prevedono un costo settimanale medio di 183 euro per bambino (+8 per cento rispetto al 2016).
Facendo i conti, per due mesi di centro estivo a tempo pieno si arriva a spendere 1250 euro per bambino, dove la metà delle famiglie italiane (
dati Istat 2015 ) ha percepito un reddito non superiore a 24.522 euro, ovvero 2.044 euro al mese. In generale in Italia ci sono 4700 famiglie a basso reddito di stranieri (il 27 per cento di esse in grave deprivazione materiale) e 8200 a basso reddito di italiani (il 20 per cento di esse in situazione di grave deprivazione materiale).
Secondo
altri dati Istat usciti qualche giorno fa, dal 2016 al 2017 si è allargato sensibilmente il gap fra quanto hanno speso le famiglie più ricche e quelle più povere. Istat divide le famiglie italiane in cinque gruppi (quinti), dove il primo quinto comprende il 20 per cento delle famiglie con la spesa equivalente piu? bassa e l’ultimo quinto il 20 per cento di famiglie con la spesa equivalente piu? elevata. Bene, il quinto più ricco che rappresenta il 40 per cento della spesa nazionale ha visto addirittura aumentare le proprie spese nel 2017 sul 2016, mentre i due quinti meno abbienti che insieme rappresentano solo il 20 per cento della spesa complessiva, hanno dovuto risparmiare ancora di più rinunciando a beni e servizi.
Nel 2016 sono aumentati rispetto all’anno precedente sia l’incidenza di individui a rischio di poverta?, il 20,6 per cento, una persona su 5, sia la quota di quanti vivono in famiglie gravemente deprivate (12,1 per cento), cosi? come quella delle persone che vivono in famiglie a bassa intensita? lavorativa (12,8 per cento).
Il 43 per cento delle famiglie con cinque o piu? componenti sono oggi esposte al rischio di poverta? o esclusione sociale.L’elemento sfumato di questo sfondo da anni Settanta è sempre la donna. Negli ultimi 10 anni di passi in avanti non sembrano esserne stati fatti: nel complesso sono occupate nel 2016 55 madri su 100, dieci anni erano 54 su 100. L’elemento cruciale è la diffusione del part-time, che interessa 39 madri su 100, e il 45 per cento di loro vive una condizione di part-time involontario (dati
Istat ).
Un supporto per molte famiglie arriva dal basso, grazie a nuove forme di supporto come le “tate condivise” (sempre declinato al femminile), che accudiscono fino a 4 bambini o a gruppi organizzati di genitori che programmano a turno le ferie per prendersi cura dei propri figli e di quelli degli altri. Quella che appare come una salvezza tuttavia, non è altro che un fattore di ulteriore depotenziamento delle opportunità di scelta dei gruppi meno abbienti, della famiglia stessa e del bambino. Così intanto lo Stato può andare in vacanza.