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La propaganda del governo investe ?i non allineati: Ong, tecnici, giornali. E prova ?a trasformare i fatti con la semantica

È l’estate delle parole. Parole violente e parole sbiadite. Parole che si smentiscono da sole, come quelle del presidente americano Donald Trump che a Helsinki attacca l’intelligence Usa e si affida a Vladimir Putin, salvo tornare in patria e affermare davanti alle telecamere che no, è stato frainteso perché c’era una doppia negazione nella sua dichiarazione e non è stato capito. Parole che puntano a trasformare la realtà: chiami il decreto “dignità” e per concessione di Stato i precari non dovrebbero esserci più, definisci quelli libici “porti sicuri” e i migranti vedrete che spariranno, almeno dal nostro orizzonte.

Poi succede che dopo settimane di numeri sventolati da una parte e dall’altra, statistiche, puntini radar intercettati nel Mediterraneo, arriva un nome, un volto, uno sguardo che non si può proprio dimenticare. È quello di Josefa, la donna venuta dal Camerun e salvata dalla nave della ong spagnola Open Arms dopo due giorni di naufragio, accanto a un’altra donna e a un bambino di quattro anni. «Sono scappata dal mio paese perché mio marito mi picchiava. Mi picchiava perché non potevo avere figli», ha raccontato a Annalisa Camilli di “Internazionale” che l’ha intervistata sul ponte della Open Arms. «Siamo stati in mare due giorni e due notti. Sono arrivati i poliziotti libici e hanno cominciato a picchiarci».

Nei suoi occhi c’è il nulla, l’orrore che riassume le storie di tutti. E al tempo stesso la voglia di vivere che l’ha portata fin qui. “I sommersi e i salvati”, li ha definiti il quotidiano “Avvenire” il 18 luglio in prima pagina, con il titolo del libro di Primo Levi. In quel saggio, uscito nel 1986, il capitolo centrale riguarda la zona grigia, la terra di mezzo tra i carnefici e le vittime, quel mondo ampio composto da «persone grigie, ambigue, pronte al compromesso», veloci a conquistare i piccoli vantaggi, i privilegi concessi da una frequentazione anche minima con chi detiene il potere, nel lager e fuori. Ma la Zona grigia è ancora più larga. Comprende gli indifferenti. E la parte di opinione pubblica più vasta che non ha tempo, non ha voglia, non ha strumenti per capire. Non aveva tempo, in fondo, neppure la sottosegretaria Lucia Borgonzoni, stava perdendo il treno, non poteva aspettare di ascoltare l’intervento dell’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi. Si è fatta rimproverare perfino dal padre, ma se non ha tempo lei, figuriamoci i suoi elettori. A loro arriverà qualche post sui social, uno slogan distratto, una parola d’ordine su cui costruire la propaganda di giornata.

Così, nell’Italia dell’estate 2018, capita di leggere sulla prima pagina di un quotidiano ormai governativo che l’annegamento della donna e del bambino e il salvataggio di Josefa siano un «giallo». Succede che il ministro dell’Interno liquidi l’accaduto con la categoria della «fake news». Così come, su tutt’altro versante, l’obbligo della Lega di restituire allo Stato 49 milioni di euro perché oggetto di truffa secondo la Cassazione diventa in una trasmissione televisiva una semplice «tesi», contrapposta a un’altra tesi. Tesi che si possono opinare, dunque, non notizie o fatti.

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Ecco il governo del peggioramento
18/7/2018
La guerra delle parole e della propaganda investe, soprattutto, i poteri di controllo, la stampa non allineata, le organizzazioni non governative, gli istituti tecnici. Le contro-inchieste giornalistiche si fanno non sui nuovi governanti e sulle loro reti internazionali, ma sulle Ong che operano nel Mediterraneo, si va a caccia dei loro rapporti occulti con gli scafisti, vanno smascherate, è da un anno che il processo mediatico è in corso, nonostante l’assenza di prove, indizi, conclusioni giudiziarie. Si producono inchieste giornalistiche sui non-governativi, non sull’operato del governo di turno, il centrosinistra ieri come i gialloverdi oggi. Si mettono sotto accusa i senza potere, non i potenti.

E così, il dibattito sulle nuove norme sul lavoro volute dal ministro e vicepremier Luigi Di Maio, ribattezzate “Decreto dignità”, non riguarda l’efficacia del provvedimento per combattere la precarietà, proposito sacrosanto, ma il presunto complotto del presidente Inps Tito Boeri, colpevole di aver inserito nella relazione tecnica che accompagna il testo la stima di ottomila posti di lavoro perduti all’anno nel prossimo decennio. E sulla rete dilagano liste di proscrizione contro i giornalisti non allineati, insulti, minacce, l’immancabile promessa di togliere ai quotidiani e ai periodici il finanziamento pubblico (questa sì una fake news, come forse è riuscito confusamente ad ammettere perfino il sottosegretario M5S Vito Crimi in una lettera al direttore di “Repubblica” Mario Calabresi).

La Zona grigia italiana si sta allargando. Un po’ per il tradizionale opportunismo nazionale, che fa confondere il governante di turno per sommo statista, specie in una stagione di nomine: Cassa depositi e prestiti, Rai, Csm, Ferrovie, e siamo solo all’inizio della Grande Pacchia. Un po’ perché pesa come in nessun’altra stagione repubblicana l’assenza di una opposizione politica e parlamentare. Sul fronte di Forza Italia, la nomina di Alberto Barachini, catapultato direttamente dalla conduzione tg Mediaset alla presidenza della commissione di Vigilanza Rai, non è un dettaglio perché testimonia la resa del fu partito-azienda berlusconiano, venticinque anni dopo la sua nascita, e il suo addio a un ruolo centrale nella politica italiana: meglio coltivare un futuro da piccola lobby, predisposta a chiedere piccoli favori al governo Di Maio-Salvini, piuttosto che costruire un partito moderato, europeo, liberale, popolare eccetera, aggettivi che non hanno nessun senso per Berlusconi, transitato da Licio (Gelli) a Licia (Ronzulli) e ciascuno giudichi se è un miglioramento. Sul fronte del Pd, in questo numero proviamo a sorriderci su con Susanna Turco che racconta i sette nani democratici: tutti i dirigenti, a partire dal segretario Maurizio Martina, per finire agli aspiranti segretari come Nicola Zingaretti, parlano dell’urgenza di una ripresa se non si vuole morire. Ma intanto la ripresa non c’è e la Zona grigia si allarga sempre di più, in mancanza di rappresentanza.

La Zona grigia italiana è quella della criminalità organizzata. La Borghesia Camorra di Napoli che ci racconta Giovanni Tizian nelle pagine che seguono: all’ombra di Gomorra e dei bambini della paranza, i professionisti dei quartieri alti si mescolano ai notabili del crimine. La Roma dei Casamonica, denunciata da una giornalista coraggiosa come Floriana Bulfon. La Zona grigia dei dubbi, dei pensieri che non condividiamo e delle risposte che non abbiamo. Ne parliamo in un lungo incontro con Zerocalcare e con Michela Murgia, due artisti che lavorano con le parole e con i disegni, e con i loro corpi gettati nella mischia, le loro vite, l’intelligenza e la sensibilità con cui sanno cogliere e decifrare i segnali del presente, con un’intransigenza diretta prima di tutto verso se stessi.

Le parole che servono a scardinare le semplificazioni e le banalizzazioni, da qualunque parte provengano, anche da chi dimostra di avere le migliori intenzioni.

Gli occhi di Josefa disperdono i luoghi comuni, i porti sicuri, la retorica dell’Italia che ha cambiato l’Europa e anche quel tanto che c’è di melenso, dolciastro, modaiolo, ripetitivo in chi sventola la bandiera opposta. E fanno luce nella Zona grigia, costringono a decidere, ancora una volta, da che parte stare.

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