Sul crollo del ponte Morandi e la morte di quarantatré persone si intrecciano nuove coincidenze che ora riguardano l'Università di Genova: il Dicca, il dipartimento di Ingegneria civile chimica e ambientale, dopo il via libera dato da un suo professore al progetto di Autostrade per l'Italia sul potenziamento del viadotto, ha ricevuto dalla stessa società un incarico di consulenza per quarantacinquemila euro.
Due nomi legano questo ennesimo capitolo sui rapporti tra l'azienda privata e gli enti pubblici incaricati di eseguire i controlli: il professor Sergio Lagomarsino e il collega Antonio Brencich, tutti e due membri della giunta ai vertici del dipartimento di Ingegneria, appena un gradino sotto il direttore Giorgio Roth. Brencich da qualche giorno è tra i venti indagati per il crollo del 14 agosto. Lagomarsino è invece un semplice testimone. Ma è anche il compagno di lavoro di Brencich: insieme dal 1997 hanno firmato studi e pubblicazioni. Praticamente sono spesso partner nella ricerca scientifica. E sempre insieme hanno organizzato nel 2004 il convegno su “Ingegneria sismica in Italia”, con tanto di comitato d'onore: ne facevano parte Guido Bertolaso, Enzo Boschi, Michele Calvi e altri personaggi a quel tempo famosi nel Paese delle emergenze.
L'inizio della storia lo conosciamo già. Il primo febbraio 2018 il professor Brencich, nonostante qualche perplessità, approva il piano di Autostrade per il rinforzo del viadotto vecchio di cinquant'anni: come docente universitario ed esperto in costruzioni in calcestruzzo precompresso, è tra i quattro relatori nominati dal ministero delle Infrastrutture nel comitato tecnico amministrativo che deve esaminare il progetto e per questo si ritrova adesso sotto inchiesta. Ma già a fine 2017 l'azienda concessionaria contatta il dipartimento di Ingegneria per proporre la consulenza, secondo la testimonianza di uno dei docenti, cioè prima che Brencich si pronunci. E il 13 luglio, un mese prima della strage e cinque mesi dopo il sì di Brencich, la stessa Università riceve dalla società di gestione dell'autostrada Genova-Savona e del ponte Morandi l'incarico da quarantacinquemila euro: lo studio viene assegnato ai professori Giovanni Solari e Sergio Lagomarsino, che proprio con Brencich condivide pubblicazioni e ricerche.
La Procura di Genova si è soffermata in questi giorni sull'apparente necessità della direzione di Autostrade di ricontrollare l'intera relazione di calcolo del progetto: per questa ragione la società avrebbe firmato la convenzione con il dipartimento di Ingegneria di Genova. Ma l'ipotesi sarebbe smentita sia dalla prassi sia dagli affidatari dell'incarico: lo stesso Solari ha definito «insolita una consulenza del genere», che comunque ha accettato.
Già il 3 maggio infatti Autostrade per l'Italia pubblica online il bando per la selezione delle imprese da invitare alla gara d'appalto. E l'11 giugno, con il governo di Giuseppe Conte insediato da appena dieci giorni, la Direzione ministeriale per la vigilanza sulle concessionarie invia alla società il decreto di autorizzazione dei lavori. L'iter è in ritardo di quasi cinque mesi sui novanta giorni previsti dalla legge. Rifare i calcoli significa rimettere in discussione tutto il procedimento già approvato. Non sembra essercene motivo. Al contrario il direttore delle manutenzioni di Autostrade, Michele Donferri Mitelli, sollecita il ministero per il ritardo. Spedisce cinque lettere tra febbraio e aprile 2018 con cui tra l'altro sottolinea «l'urgenza... per l'incremento di sicurezza necessario sul viadotto».
Bisogna allora rileggere quello che i due professori del Dicca dichiarano a Giuseppe Filetto e Marco Preve in due articoli pubblicati da Repubblica. Il primo risale al 24 agosto. Quattro giorni prima L'Espresso scopre che proprio Antonio Brencich è tra i relatori e i firmatari del verbale che dà il via libera al progetto di Autostrade, senza prescrivere nessuna misura di sicurezza. E il 23 agosto Brencich si dimette dalla commissione d'inchiesta nominata dal ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, subito dopo il disastro. Solari ha ben presente il ruolo del collega nella vicenda: «Non avevo inserito, a malincuore, nel gruppo di lavoro il professor Brencich», dichiara infatti il 24 agosto, «che pur essendo un grande esperto aveva già espresso pareri sul viadotto e non volevo quindi si potesse creare una situazione di imbarazzo». Anche la fretta del direttore di Autostrade, Donferri Mitelli, nelle loro parole scompare: «Dobbiamo dire che non ci venne chiesta né particolare urgenza, né furono suggeriti particolari accertamenti mirati, ma di valutare l'intero progetto in tutte le sue parti», ammettono Lagomarsino e Solari, non indagati ma solo testimoni.
Il 9 settembre si conoscono già i nomi dei primi venti tecnici sotto inchiesta. Nel frattempo il professor Solari si è già presentato in Procura per rendere spontanee dichiarazioni, sempre come testimone. Lo rivela lui stesso a Repubblica, specificando anche il tipo di incarico ricevuto dalla società: «Autostrade ci contattò a fine 2017», racconta. Una testimonianza non da poco, se confermata dalle indagini: perché significa che quando Antonio Brencich approva il progetto per conto del ministero delle Infrastrutture, Autostrade aveva già contattato il suo stesso dipartimento per offrire una consulenza poi valutata in quarantacinquemila euro.
«Ma solo il 13 luglio firmammo il contratto», continua Solari: «Ci chiesero una nuova relazione di calcolo ma noi... abbiamo rifiutato quella parte. Il nostro compito era quindi di valutare il progetto nella sua interezza, fare assistenza alla fase di esecuzione ed eventualmente eseguire prove di laboratorio. Avremmo iniziato in questi giorni, con otto mesi di tempo e un compenso di quarantacinquemila euro». Otto mesi, senza più urgenza.
«Effettivamente», conclude il professor Solari, «è insolita una consulenza del genere per un progetto esecutivo, ed è anche per questa ragione che mi sono presentato in Procura per rilasciare dichiarazioni spontanee».
Così come è insolito il giudizio di Brencich nel corso dei mesi. Eccolo il 5 maggio 2016 a Primo Canale, la tv di Genova: «Il ponte Morandi è un fallimento dell'ingegneria», dichiara senza giri di parole, «e dovrà essere presto ricostruito perché i costi di manutenzione supereranno quelli di ricostruzione». E rieccolo il primo febbraio 2018, seduto nel comitato del ministero delle Infrastrutture mentre tutti insieme approvano senza urgenza il piano di manutenzione di Autostrade. Nonostante i progettisti della società descrivano «larghe lesioni verticali nei piloni» e una «riduzione d'area totale dei cavi dal dieci al venti per cento» nei tiranti che sorreggono il ponte.
Il professore del dipartimento di Ingegneria dimentica ciò che ha detto nel 2016. Nei panni di relatore è critico con i metodi d'indagine scelti dalla società di gestione: perché «si rilevano alcuni aspetti discutibili per quanto riguarda la stima della resistenza del calcestruzzo». Ma alla fine firma ugualmente il verbale in cui si dichiara che «è risultato uno stato di conservazione degli stralli delle pile 9 e 10 discreto». Sì, discreto. Si guadagna così i complimenti del direttore manutenzioni di Autostrade, Donferri Mitelli, che in una lettera del 6 febbraio al provveditore delle Opere pubbliche, Roberto Ferrazza, scrive queste parole: «Vogliamo altresì segnalarvi il nostro compiacimento motivato dalla condivisione dell'impostazione progettuale dell'intervento da parte del vostro consulente prof. A. Bercich». Il cognome è storpiato, comunque è lui.
Il crollo ha reso superflua la consulenza. E ora che il pilone 9 ha ammazzato 43 persone probabilmente per il cedimento degli stralli e il 10 minaccia di cadere su un intero quartiere, l'Università ha prontamente costituito il “Gruppo di lavoro ponte Morandi”. Nella squadra c'è ovviamente il Dicca, il dipartimento di Ingegneria di Genova. E a rappresentare il Dicca, c'è il compagno di lavoro di Antonio Brencich: ancora lui, il professor Lagomarsino.