Percorrendo questi ultimi mesi a ritroso ci troviamo di fronte a un anno nero per le persone Lgbt. Un anno che non risparmia neanche gli attivisti. «“Al rogo”, “pedofilia colorata”, “giù di manganello”, “figli di cani”, “merce da termovalorizzare”, “radere al suolo per il bene dei normali”, “se comandavo io eravate tutte saponette”. Questo è il tenore di commenti che suscitano le associazioni sui social. Il 2 maggio il Presidente di Omphalos LGBTI, Stefano Bucaioni, denuncia alla Procura della Repubblica di Perugia depositando 19 pagini di insulti ricevuti soltanto tra il mese di febbraio e fine aprile.
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La violenza passa sui social: a Padova due ragazze nella Casa dello studente Copernico in via Tiepolo, vengono ricoperte di insulti perché lesbiche, viene così chiesto loro di abbandonare lo stabile. Una cortina velenosa che penetra fin dentro i luoghi di lavoro: il 20 aprile una ragazza viene isolata dai colleghi che scoprono il suo orientamento sessuale: “lesbica”.
Il 3 marzo il sindaco di Potendera Brini sostenuto da Ceccardi e Ziello annuncia fiero: “sono normale nella mia famiglia non ci sono gay”. A Massa, Giulia all’anagrafe nasce come Tiberio, nonostante abbia completato tre anni fa il percorso di transizione al genere femminile, la successiva rettificazione anagrafica tarda ad arrivare per via di una burocrazia lenta e farraginosa. Quarant’anni, operaia in una tintoria industriale trova una casa sul mare: “il sogno di una vita”. Versa i soldi necessari, compila i documenti. Qui il proprietario si rende conto: Giulia un tempo era Tiberio. Cambia idea. Niente affitto. Il 25 febbraio a Roma un ragazzo viene fatto scendere da un taxi. Aveva chiesto all’autista di fermarsi a un distributore automatico per comprare delle sigarette. Gli aveva dato del “tu”. “Del tu lo dai ai tuoi simili, frocio scendi subito”.
Ci sono vari livelli di omofobia. Si pratica aggredendo con le parole, con i pugni, con i calci. Ostacolando il percorso delle leggi. Favorendo terapie di «riparazione». È un’opera di dissuasione. È il mondo giallo-verde, diviso in normali e deviati. Chi aggredisce non ha più paura né vergogna, si specchia in chi ci governa, nella maggioranza di «normali», della continuità della specie che va protetta, del mondo che precipita e va fermato. Magari con un pugno come quello che ha ucciso Umberto Rainieri l'artista 53enne di origini abruzzesi col nome d'arte Nniet Brovdi. Un pugno in pieno volto che lo ha fatto cadere sull'asfalto dove ha sbattuto violentemente la testa. “Ucciso dall’omofobia” ha raccontato l'ex compagno, Fabio Giuffrè. È quello che resta in questa Italia dove l’unica legge che vige è quella primordiale. La legge dell’odio contro chi non si può difendere. Come Umberto Rainieri. Circondando dal branco. Ora Umberto non c’è più. La caccia all’omo continua.