La fame regna sovrana a Ventotene nel 1942, anno di guerra. Sull’esempio «delle mense comuniste che avevano incaricato qualche loro commensale contadino» Altiero Spinelli si attiva per ottenere un terreno fuori dal confino e, «essendo io il più robusto, andai a lavorare i due campicelli affittati». Il Manifesto di Ventotene è cresciuto a pomodori, fagioli e patate raccolti da Spinelli per sfamare i federalisti.
Il “commensale contadino” da cui ha preso esempio è Giuseppe Di Vittorio. Dopo aver firmato un contratto per due ettari e mezzo comprendenti una stalla con una mucca, parte ogni mattina all’alba con una manciata di compagni per coltivare legumi e rifornire del prezioso latte non solo la mensa comunista ma anche quella dei malati.
«Con la cultura non si mangia!» dichiarava il ministro Tremonti, studente di un liceo classico e poi docente universitario. Si può essere persone colte senza tenere conto che la parola “cultura” estende al campo immateriale l’esperienza che ogni nutrimento necessita di cura, sforzo, tempo. In un’epoca che ha eretto a norma il profitto a breve termine e la crescita numerica, perdono significato proverbi secolari sul modello del “chi semina…raccoglie”.
Dovremmo riprenderci il tempo, proprio perché ne resta poco per salvare il nostro futuro sulla terra. Tempo per coltivare la conoscenza. Lo spirito critico. La semina di appartenenze reticolari quando ci si trova a difendere una famiglia rom a Casal Bruciato, organizzare la conferenza di Mimmo Lucano, ascoltare Aboubakar Soumahoro, l’allievo di Di Vittorio, al Salone di Torino. Non è casuale che le posizioni e azioni più intransigenti arrivino dalla Chiesa di Papa Francesco, istituzione che può ignorare l’immediato tornaconto.
I confinati di Ventotene, simili loro malgrado a dei monaci, andavano in biblioteca, finita la giornata di lavoro.