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Attualità
giugno, 2019

Il nuovo leader della sinistra? Dovrebbe essere giovane, verde, sempre in rete. E donna

Visto che non è possibile importare da noi Alexandria Ocasio-Cortez, proviamo a ragionare sul modello di leadership che rappresenta. Per costruirne l'identikit

Col cappotto dei Cinque Stelle alle europee, il rullo dei tamburi di guerra si sta facendo più minaccioso. E va a finire che, a furia di tirare, la corda possa spezzarsi davvero. Ma all’orizzonte non si intravedono cambiamenti spettacolari. Salvini fa già il Premier da sei mesi. Se gli dovesse riuscire il colpaccio, si toglie finalmente la felpa ed è costretto a indossare la cravatta. Col che - se proprio gli va bene - già perde un milioncino di like. Poi, neanche il tempo di farsi dare la campanella, e gli arriva il primo verdetto implacabile di Pagnoncelli. E se scende di un decimale, sono guai. Diciamocelo con sincerità. Di questi tempi, la vita da leader è un calvario.

Si sa, che da oltre vent’anni, le campagne elettorali sono diventate permanenti. Le urne sono sempre aperte. Per qualche breve ora nei seggi, a tempo indeterminato nei sondaggi. Col risultato che i partiti e i leader sono sempre sotto pressione. Hanno appena finito di incassare una esaltante vittoria, che il borsino dei pollster gli aggiorna - in peggio o in meglio - le quotazioni. Poi, da quando ci si è messa la Rete, le cose si sono ulteriormente complicate. Non tanto per i dati che sforna. Dopo cinque anni di esaltazione della democrazia diretta dei grillini, perfino la nostra stampa d’opinione si è accorta che era alquanto taroccata. E da quando c’è Cambridge Analytica, tutti quei follower a nove zeri sono diventati inquietanti. Ma, anche a voler far finta che i dati sono tutti finti, il web è diventato la protesi obbligata di ogni aspirante leader. Sono rimasti solo una ventina di maggiorenti Pd - tutti in Direzione - a pensare che si possa far politica molto meglio visitando i circoli, magari dopo avere sfasciato la porta chiusa da diversi anni. Tutti gli altri - le persone normali che vanno avanti a smartphone e ansiolitici - sanno che fuori della Rete si sopravvive come un pesce fuor d’acqua. Figuriamoci uno come Salvini, che in Rete ci ha costruito il suo impero. Anche se - come ci ha confessato - con una fatica bestiale. Perché il problema della Rete è proprio questo. Direbbe Pavese redivivo, smanettare stanca.
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Per questo - e altre considerazioni della serie che la generazione Z è alle porte, figuriamoci quando arriveranno i figli di Baricco che zoomano sulla carta stampata - mi sono fatto la convinzione che la leadership del futuro è sotto gli anta. No, non vi sto proponendo Di Maio, che si comporta come ne avesse settanta. Sto facendo un ragionamento antropologico. Non generazionale, genetico. Sta succedendo nelle professioni di punta. Prendete la chirurgia robotica, gli specialisti sono tutti giovanissimi medici cresciuti a consolle e biberon, le mani sempre attaccate sul joystick. Hanno una curva di apprendimento molto più rapida dei loro primari. E hanno energie da vendere. Stare dieci ore inchiodati a quelle macchine è estremamente impegnativo. Per non parlare dei mutamenti cerebrali, l’avvento di un nuovo brainframe che Derrick de Kerckhove - il geniale erede di McLuhan - preconizzò venticinque anni fa. Non è fantapolitica. Fantapolitica è piuttosto quella con cui si sono trastullati i partiti - soprattutto di sinistra, in tutta Europa - continuando a comportarsi come se il Web fosse un giardino di infanzia. E facendo la fine che sappiamo.

Allora, ricapitolando. Il futuro della politica è in rete. E ha un cuore giovane. Facciamo - per tirarci su - l’ipotesi che possa battere a sinistra. Prima di immaginare i volti, analizziamo lo spazio politico in cui si dovranno muovere. Per carità, non riapriamo il dibattito su chi ha sbagliato più forte nel particidio in casa Pd. E lasciamo stare il pallottoliere dei raffronti con le altre elezioni, e magari - per consolarci un po’ - con i cugini europei (sì, è vero, gli spagnoli stanno meglio, ma francesi e tedeschi molto peggio). Se un imprenditore innovativo analizzasse il mercato attuale, non credo investirebbe nel cercare di strappare i voti a Salvini (già ci sta puntando la Meloni). E quanto a recuperare i grillini, non è detto che non si possa fare, ma forse è ancora prematuro. No, prima di complicarsi la vita nell’insidiare il fortino altrui, le startup della digital leadership dovrebbero farsi ingolosire dall’enorme iceberg degli astenuti. Di cui, di volta in volta, si intravede una punta diversa. Ma che è ammontato - il 27 maggio - a quasi metà degli elettori. Con un’alta percentuale dei più giovani. Per non parlare dei giovanissimi. Quelli che ancora non sono stati ammessi al gioco, ma che sono la vera sfida per chiunque pensi di investire non sui prossimi cinque mesi ma almeno su cinque anni.
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A questo punto, già sapete dove andiamo a parare. In termini di offerta partitica, il buco nero italiano è un buco verde. No, non parlo delle magliette leghiste, ce ne sono già in giro a sufficienza. Verde come il simbolo che in Francia ha raccolto oltre il 13 per cento, e superato il 20 in Germania. Mentre in Italia è stato un fallimento, purtroppo ampiamente annunciato. Su questo giornale è uscita un’analisi puntuale, dati e fazioni alla mano. E non sarà facile uscire dal pantano dei veti incrociati - e dei personalismi infuocati - che è da sempre la maledizione della sinistra italiana. Se c’è una speranza di sfondare in questo enorme mercato potenziale, non si comincia con le vecchie sigle. Ma con i volti nuovi. Compresi quelli che fanno fatica a aprirsi un varco nel magma ancora informe dei democratici alla ricerca di autori, e identità, capaci di proiettarli in avanti - invece di rivangare il passato.

Visto che non è possibile importare Alexandria Ocasio-Cortez, proviamo a ragionare sul modello di leadership che rappresenta. AOC - come si chiama su Twitter - ha oltre tre milioni di follower, uno in più di Nancy Pelosi, l’espertissima speaker della Camera che è in politica da mezzo secolo. È schierata trasversalmente su tutti i temi sociali chiave - dall’ecologia a Medicare e alla tassazione progressiva. Ma la marcia in più con cui ha sfondato sul web è il modo con cui comunica, usandolo come il suo canale televisivo personale. Grazie a una capacità argomentativa, e a una vis espressiva, eccezionali. E facendo leva - perché no? - sulla sua storia di autodidatta, che si è dovuta aprire a mani nude la strada dal Bronx al Campidoglio. Di giovani con questo pedigree ce ne sono molti anche in Italia. Per un momento, proviamo a immaginare di non investire sui partiti senza aver prima investito su di loro.

Non partendo dal totonomi, tanto c’è tanto spazio da occupare, ma dall’identikit di come debba essere il nuovo Principe digitale. Sappiamo già che dovrà avere tre teste. Quella carismatica del leader, senza la quale non si comincia nemmeno. Quella gramsciana del partito nuovo, ma nuovo per davvero non farlocco come il Rousseau della Casaleggio. E quella del popolo sovrano cui spetta, in prima e ultima istanza, lo scettro. Personalmente - come molti di voi - mi augurerei fosse una principessa. Nel solco della generazione Greta. L’importante è che riesca a fondere ciò che soltanto la Rete globale oggi consente, finalmente, di fondere. La dimensione individuale del messaggio - il microtargeting dal volto umano - quella social dell’organizzazione netroots, e la partecipazione di massa always-on. Non si tratta di un’utopia. E non sono i barbari alle porte. Sono già dentro la cittadella democratica. Non sono penetrati nascosti nel ventre di un cavallo elettronico. È il popolo che ha spalancato il portone. E tocca a noi decidere la forma - e il destino - del nuovo principe digitale.

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