Ogni settimana sull'Espresso un termine commentato da una grande firma

Difficile e contraddittorio avventurarsi in comparazioni su pagine di passato o anniversari che rischiano di scivolare nella ritualità inconsapevole. Lo sguardo indietro può offrire talvolta interrogativi e piste di ricerca non banali.

Un secolo dal 1919 e dalle tempestose traiettorie nella ricerca di un equilibrio europeo dopo la cesura della Grande guerra. Cosa rimane e cosa si è trasformato di quelle tensioni? In fondo alcune tracce non marginali si riaffacciano nel nostro tempo a partire dallo scontro tra stabilità e disordine nella dialettica sulla sovranità: le nazioni da una parte, i criteri di un incerto ordine internazionale dall’altra.

La forza della nazione non si è spenta né si può considerare ridimensionata la spinta alla competizione tra aspirazioni di potenza, interessi contrapposti, linguaggi e forme di comunicazione che esaltano il primato di un’appartenenza identitaria. Il cammino del secolo scorso s’iscrive nell’itinerario di una nuova sovranità cercata, oltre le guerre e le strategie di potenza, nella costruzione di un’architettura condivisa in grado di offrire prospettive e nuovi traguardi.

E il richiamo alle proprie ragioni nazionali suona come sfida alle responsabilità comuni, a quel terreno condiviso di confini, diritti, poteri. La semplificazione del leader di turno che tutto risolve rischia di riesumane antiche scorciatoie: la crisi della democrazia nel primo dopoguerra nasce nella tempesta della politica di massa e nell’incertezza di un mondo cambiato repentinamente.

Una morsa soffocante ben descritta da Pietro Nenni sulle colonne de l’Avanti! il 4 dicembre 1919: «Lo Stato liberale stava per essere contemporaneamente attaccato da sinistra e da destra, dalla Rivoluzione e dalla Reazione». Meglio raccogliere quel monito, vigilare con rinnovata attenzione sui destini della democrazia contemporanea, sulla sua natura fragile e perfettibile.