Prima la siccità e poi la pioggia eccezionale: la produzione degli ortaggi simbolo dell’Italia è in crisi e così l’agricoltura diventa "un giardino senza fiori"

pomodori
«Un piatto di pasta senza pomodoro è come un giardino senza fiori», canta Gino Paoli nella sua celebre hit. Non siamo ancora a quel punto, ma il frutto simbolo del made in Italy è in grande crisi, soprattutto in quello che è il cuore della produzione nazionale: il Tavoliere delle Puglie. La siccità di quest’estate, sommata alla carenza idrica degli anni scorsi che ha svuotato gli invasi irrigui, ha portato a una riduzione del 35 per cento della produzione rispetto al 2019. Meno ettari sono stati coltivati a causa della mancanza d’acqua - e quelli coltivati hanno dato risultati scadenti, sia in termini di qualità che di quantità. A questo si è aggiunta una precipitazione eccezionale all’inizio di agosto: 200 millimetri di pioggia caduti in sei ore hanno dato il colpo di grazia a un raccolto già scarso.

Le cifre snocciolate dai produttori sono da bollettino di guerra: «La mia organizzazione ha coltivato quest’anno 170 ettari invece di 400, con rese molto inferiori alla norma», racconta da Foggia Marco Nicastro, presidente della organizzazione di produttori Mediterraneo.

Con circa la metà della produzione, l’Italia è di gran lunga il primo produttore europeo di pomodoro da industria. Ma se si osserva la tendenza degli ultimi anni si registra una diminuzione progressiva. «L’andamento sempre più anomalo delle condizioni meteo, le alluvioni e le siccità prolungate stanno compromettendo seriamente questa coltivazione», sottolinea Giuseppe De Filippo, produttore del foggiano nonché presidente del Consorzio per la Bonifica della Capitanata.

La crisi del pomodoro ci racconta un fenomeno più ampio: l’agricoltura italiana è sempre più soggetta agli effetti dei mutamenti climatici. Sono diverse le colture che, anno dopo anno, vedono calare le produttività, aumentare le virosi, sfibrarsi sotto il peso di eventi atmosferici estremi. E il futuro sembra tutt’altro che roseo: secondo un rapporto sull’agricoltura dell’Agenzia Europea per l’ambiente, il nostro paese è quello più vulnerabile di tutta l’Ue, con le rese di colture come grano e mais che potrebbero diminuire fino al 50 per cento entro il 2050. Nello stesso rapporto si legge che due terzi delle perdite di valore dei terreni agricoli dell’Unione potrebbero essere concentrate proprio in Italia - che ha una superficie agricola pari a meno del 10 per cento del totale europeo.

Siamo dunque destinati a vivere in un deserto agricolo e a dimenticarci le eccellenze alimentari prodotte nei nostri territori? In realtà no. La parola chiave che forniscono gli esperti è: adattamento. Ridurre il consumo di acqua, usare colture o varietà più resistenti e meno idroesigenti, ripensare il paradigma agricolo e le infrastrutture a esso dedicate, come gli schemi idrici o gli invasi per trattenere l’acqua. Mettere in campo insomma un grande piano che tuteli le nostre produzioni. Perché, altrimenti, lo scenario paventato dall’Agenzia europea dell’ambiente potrebbe realizzarsi ancora prima del 2050. E la pasta al pomodoro decantata da Gino Paoli la continueremo a mangiare sì, ma con sugo proveniente dal Nord Europa.