Mordere la carne. Lacerare la polpa. Ironia senza affetto. Come quando si dice «ti mangio a colazione». È sarcastico per esempio accusare il dolore di subire una dittatura, sanitaria o pneumatica che sia, nonostante, fino a quel momento, si sia derivati e si sia rivendicato, acriticamente, un modello dittatoriale storico.
Esattamente come quando prima si chiedono pieni poteri e dopo si ha il coraggio di gridare all’illiberalità. Sarcastico appunto come mordere il corpo stesso della logica. Sarcastico essere fieri della parola Fascista e stigmatizzare la parola Comunista. Anche se ciò deriva da forti denti populisti contro una carne oscenamente debilitata.
Sarcastico giudicare l’istruzione alla stregua di uno spazio di pericolo che ardisce generare senso critico. Anche se le stesse dentature d’acciaio aggrediscono una struttura scolastica resa fragilissima da una insipienza diffusa, decennale, trasversale.
Sarcastico chiudere spazi garantiti e controllabili dal punto di vista sanitario come i teatri e le sale cinematografiche, perché azzannare quei corpi significa semplicemente dare il morso di grazia a quei corpi agonizzanti.
Sarcastico proclamare percentuali stratosferiche di patrimoni artistici che sono poi relegati agli avanzi di bilancio. Come lagnarsi di non poter mangiare quella buona bistecca che abbiamo lasciato marcire in frigo. Sarcastico lottare contro una malattia che non esiste, spendere energie per proclamarne l’assenza. Come se si desse un morso fatale alla propria profondissima paura.
Sarcastico scrivere parole pensando che valgano solo le proprie mentre tutte quelle degli altri hanno il maledetto difetto di dover essere lette. Perché questo significa affondare definitivamente le zanne sul centro stesso del nostro precipizio. Sarcastico doversi vergognare di quello che si sa. Perché significa offrirsi al morso senza corpo e senza spessore. Così, quando saranno finiti i corpi e i pensieri da azzannare non resterà che rivolgersi contro noi stessi. Sarcasmo dei sarcasmi.