Cosa avrebbe fatto il Nord se il coronavirus fosse esploso prima nel Mezzogiorno
Se il primo caso si fosse manifestato a Napoli, nella sua sterminata cintura urbana, anziché a Codogno, siamo sicuri che a parti invertite il Paese avrebbe mostrato la stessa solidarietà vissuta in queste settimane?
“Colera colera”. Sta per compiere mezzo secolo l’insulto che accoglie negli stadi del nord i tifosi napoletani. Quelli che Matteo Salvini, prima di indossare la felpa sovranista, riconosceva a naso. Agosto-settembre 1973, una Napoli saccheggiata dalle “mani sulla città” viene attaccata dal morbo di memoria ottocentesca. Un ospedale sulla collina del Vomero, il Cotugno, è il centro dove la malattia viene individuata e curata. Ieri come oggi quello stesso ospedale è il centro d’eccellenza per fronteggiare l’epidemia di coronavirus. Dove il contagio tra il personale sanitario è stato finora scongiurato grazie al rispetto di rigidi protocolli di comportamento, frutto di un’esperienza antica. Una felice eccezione nazionale, scoperta anche da Sky International.
Al Cotugno nel 1973 muoveva i primi passi un giovane medico, Franco Faella, diventato negli anni primario del reparto di infettivologia. Un esperto a livello internazionale. A 74 anni è stato richiamato dalla pensione per trasferire la sua competenza nel coordinare il Loreto Mare, una struttura malandata, in via di dismissione, che il governatore Vincenzo De Luca ha completamente trasformato in pochi giorni in un efficace centro dedicato esclusivamente ai malati di Covid-19.
Quella ferita prodotta dal colera, fa ancora male ai napoletani di ogni ceto. Un brivido: se il primo caso di coronavirus si fosse manifestato a Napoli, nella sua sterminata cintura urbana, anziché a Codogno? Siamo sicuri che a parti invertite il Paese avrebbe mostrato la stessa solidarietà vissuta in queste settimane?
Mentre migliaia di emigrati sono scappati da Milano e Torino per cercare rifugio nelle famiglie d’origine nei paesi del Mezzogiorno, si è consumato un contrappasso geografico: il Nord che trasmette paura e insicurezza. Se fosse stato il Sud il focolaio dell’epidemia? Ha colpito la mortificante supponenza con cui nei primi giorni sono state accolte le sperimentazioni, già avviate in Cina, di un farmaco antivirale effettuate sempre al Cotugno in collaborazione con l’équipe di Paolo Ascierto dell’istituto dei tumori Pascale. Ha prevalso un antico riflesso: ma che ne sanno questi napoletani di sanità efficiente.
Vincenzo De Luca conosce le insidie di una frattura insanabile tra le due Italia. Sa come esercitare la sua leadership, l’epidemia l’ha fatta esplodere. Neppure la fantasia di Maurizio Crozza avrebbe osato lanciafiamme e plotoni di esecuzioni, post di Naomi Campbell e ricette casalinghe per la pastiera di Pasqua. Nel protagonismo dei governatori spesso in polemica con Roma De Luca si è mostrato il più accorto. Capace di parlare a sei milioni di persone, anche in territori dove illegalità e violenza sono diffuse. Con le sue video-minacce ha provato a contenere il disordine metropolitano per arginare la diffusione dell’epidemia. Una sfida titanica, ribaltare il canone del pregiudizio: il Sud disordinato, il Nord organizzato. Tra qualche mese forse sapremo come è andata.