Tirana: ruspe sul Teatro nazionale, simbolo di arte e di democrazia
In una città chiusa per pandemia, il governo Rama ha demolito il Teatro Kombetar degli anni Quaranta. «Ne costruiremo un altro», dice il premier. Ma la comunità degli artisti è in rivolta: «Quell'edificio meritava rispetto»
Ha la voce roca di chi ha tanto gridato, Edmond Budina. Quando lo raggiungo telefonicamente a Tirana, questo attore pluripremiato, stimato regista al cinema e a teatro, ha appena poggiato il megafono. È uno dei leader della protesta spontanea che ha raccolto migliaia di cittadini in difesa del teatro Nazionale Kombetar, brutalmente demolito dal governo Rama nella notte di domenica.
Mentre in Italia si discute sulla riapertura di cinema e sale teatrali, nella vicina Albania agenti in tenuta antisommossa, armati fino ai denti, sgomberavano violentemente il Kombetar e una ruspa provvedeva inarrestabile alla sua demolizione. È stato un trauma. Il teatro è, o meglio era, un bellissimo edificio d’architettura razionalista, costruito nel 1940, come “circolo culturale Skanderberg” dall’architetto Giulio Berté – i romani lo conoscono per il suo ponte Flaminio – e aveva una sua eleganza: pur evocando un periodo buio nei rapporti tra Italia e Albania, l’invasione fascista, era diventato un luogo della memoria condivisa, un simbolo d’arte e cultura. E per questo occupato da un manipolo di artisti nel 2018.
Edmond Budina ne parla con affetto: «Per due anni e quattro mesi abbiamo curato e difeso quel teatro. Già dal ’98, il premier Edi Rama, prima come ministro della cultura, poi come sindaco di Tirana, voleva demolirlo per costruire un grattacielo, magari con un teatrino sotto. Ma gli artisti di allora, di gran valore, si opposero. Rama ha tentato di nuovo nel 2004, da sindaco: ma anche quella volta ha dovuto rinunciare. Adesso ci è riuscito. Dice di volere un nuovo teatro: ha incaricato uno studio di costruzione, che ha ripescato un vecchio progetto di un teatro coreano. Insomma, una speculazione edilizia incredibile».
È del 2018, infatti, lo scintillante rendering del nuovo teatro presentato dal “BIG-Bjarke Ingels Group”. Ma tutta la città è oggetto di un vasto piano di riconversione, numerosi sono i progetti – è di pochi giorni fa il “Masterplan Tirana Riverside” di Stefano Boeri – e dunque il fermento è notevole. Però quel vecchio teatro anni Quaranta meritava maggior rispetto. In tal senso si era espresso anche il Consiglio Superiore di Stato, inascoltato da Rama e dall’attuale sindaco di Tirana, Eiron Veliaj, che hanno tirato diritto. Così, mentre la città era chiusa per pandemia, è arrivata la demolizione. Di notte, all’improvviso, senza spazi per trattative.
«Il 24 luglio scorso – ricorda Edmond Budina – era intervenuta la polizia per sgomberarci: l’abbiamo impedito, con la solidarietà di migliaia di persone. Intanto, abbiamo ripulito, disinfettato, sistemato la sala. Senza un soldo, in due anni, abbiamo ospitato oltre 80 spettacoli da tutto il mondo. Tanti artisti albanesi hanno dato il loro contributo. Ma questo governo, che non ha nulla di sinistra, ha tagliato corrente e acqua. Siamo andati avanti con i generatori e con gli aiuti della gente: c’erano pensionati, che prendono 120 euro al mese, che ci hanno donato 30 euro. Il governo ha aumentato la pressione, ci hanno minacciato, insultato. Il sindaco ci chiedeva di andarcene per tutelare i valori conservati dentro il teatro: i costumi, le luci, pensando che li avremmo rubati! Abbiamo cercato supporto di tutte le parti politiche per difendere il Kombetar. Domenica, infine, mi hanno detto che potevamo andare a riposare, che non erano previsti interventi. Appena tornato a casa, mi hanno richiamato. Erano arrivati gli agenti, armati, contro di noi, come fossimo terroristi. Hanno iniziato la demolizione con i nostri amici ancora dentro che hanno gridato per fermare la distruzione. Ma niente. Hanno seppellito tutto sotto quelle macerie».
Di fatto, il Teatro Nazionale è diventato un simbolo della resistenza, della contestazione al governo e a tanta malapolitica. Ne è convinta anche Adele Budina, figlia di Edmond, produttrice cinematografica a Roma. Per Adele la situazione è gravissima: «Il teatro era un simbolo di democrazia. E invece sono intervenuti contro ogni regola democratica. Per l’associazione “Europa Nostra”, con sede all’Aja, il teatro apparteneva al patrimonio europeo ad alto rischio: ma non c’è stato tempo per stimarne il valore effettivo. Questo governo non ha rispettato la legge. Ci aspettavamo molto da Edi Rama, abbiamo creduto in lui: ora ha deluso tutti. E chiediamo le dimissioni di Veliaj, che ha firmato la demolizione. Così in piena pandemia, Tirana è zona rossa, la gente è in piazza a protestare».
E sono tanti gli artisti, i teatranti albanesi che vivono e lavorano in Italia, rimasti anche loro colpiti da quanto accaduto. Una per tutti: la giovanissima Mersilia Sokoli, attrice neo diplomata all’Accademia “Silvio d’Amico” di Roma, allieva di Massimo Popolizio. È sconvolta: «Vivo con indignazione, vergogna, rabbia questa situazione. Sono in Italia, ma il mio desiderio più grande è fare teatro in Albania. Mi sarebbe piaciuto tanto lavorare in quel teatro, come a Scutari o altrove. Il Kombetar è un pezzo della nostra memoria: sono fiera di come la città stia rispondendo alla sua demolizione, perché sembra di essere tornati ai tempi della dittatura. Penso sia importante parlarne, tenere alta l’attenzione, anche in Italia».
È d’accordo Salvatore Tramacere, regista e direttore del Teatro Koreja di Lecce, spesso presente in Albania. «È un dolore quando un teatro chiude – racconta Tramacere – ma quando viene demolito si rimane senza parole. In una città come Tirana, poi, che stava faticosamente cercando di ripensarsi, fa molta tristezza. Conosco bene quel teatro: ci siamo stati tante volte, sin dal 1997, con diversi spettacoli. E torneremo in Albania presto, con un progetto sulla memoria del quartiere Kombinat. C’è una cultura teatrale viva in Albania: guardano tanto al nostro teatro, all’Italia. Ed è strano che il nostro ministero non faccia e non dica nulla: il Kombetar era un teatro “italiano”, mi sorprende che nessuno abbia speso una parola sulla sua distruzione, che non si sia levata una voce di attenzione o di protesta in questi tre anni. Per questo, ho scritto una lettera al presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, sicuramente attento alle relazioni con Tirana. Del resto siamo regioni confinanti: distiamo appena 70 chilometri».
Intanto, la protesta continua, si allarga, la voce si sparge. La richiesta, sostenuta anche da molti architetti, è di ricostruire il vecchio Kombetar dove era e come era. E chissà che ne avrebbe detto un intellettuale raffinato come Alessandro Leogrande, molto legato all’Albania: avevo visitato il Nazionale con lui, anni fa, e mi spiegava il valore emotivo del Kombetar per la città e per il Paese. Sono certo che, oggi, Leogrande si sarebbe fatto sentire, a fianco degli occupanti, per tutelare la memoria artistica, culturale, architettonica, sociale, del teatro.