Parigi, 9 maggio 1950, l'allora ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, annuncia la venuta al mondo dell'Europa. Lo fa con un uno storico discorso, in cui dichiara che «l'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costituita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».
Nelle parole di Schuman, vecchie di settant'anni e divenute simbolo della nascita dell'Europa, c'è già tutta la volontà di «creare una nuova forma di cooperazione politica per rendere non solo impensabile, ma materialmente impossibile» un'altra guerra fra le nazioni del vecchio continente; c'è l'intuizione di mettere in comune gli interessi economici per innalzare i livelli di vita di tutti i paesi dell'Unione; c'è l'affermazione di voler usare il surplus di ricchezza che verrà creata dalla grande Europa «per realizzare uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano».
Troppi di quegli obiettivi sono ancora disattesi e mai, come in questi giorni di emergenza sanitaria, che si sta rapidamente trasformarsi in tsunami sociale ed economico, il sogno di un'Europa unita appare distante. Anzi,
per molti italiani s'è tramutato in incubo e pochi hanno appeso bandiere blu con stelle gialle alle finestre, per davvero festeggiare il settantesimo compleanno dell'Unione.Lo conferma
il sondaggio dell'Espresso, secondo cui il 57 per cento degli italiani ha perso fiducia in quel sogno, e nelle persone che dovrebbero incarnarlo e sostenerlo. Voto quattro alle iniziali mosse scomposte della presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, nonostante il successivo veloce ripensamento e l'impegno della Bce a sfruttare il bazooka del quantitative easing per difendere i deboli titoli di stato italiani, e non solo, dagli appetiti degli speculatori finanziari; voto cinque alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: dapprima poco favorevole a misure di sostegno comune contro il dramma provocato dal Covid-19, ha poi fatto marcia indietro e si è scusata pubblicamente, creando però un diffuso scetticismo fra i cittadini dell'Unione; voto cinque anche per la cancelliera tedesca Angela Merkel, per l'estrema cautela e il calibrato attendismo; voto quattro per il primo ministro olandese Mark Rutte, contrario a qualsiasi forma di solidarietà fra Stati e particolarmente critico nei confronti dell'Italia. Superano la sufficienza il premier Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron, entrambi favorevoli a una formula di condivisione europea del debito che dovrà necessariamente essere emesso per sostenere il peso economico della ricostruzione post Covid-19.
Per quanto riguarda il futuro,
la maggioranza degli italiani è convita che l'Europa non sia destinata a fallire, ma allo stesso tempo non compirà passi in avanti: non si scioglierà, l'Europa, però i paesi più deboli e fortemente colpiti dalla crisi – in base ai dati del Fondo Monetario Internazionale saranno Spagna, Francia e Italia – dovranno fronteggiare una grave crisi economica, come quella toccata alla Grecia un decennio fa.
Questo perché c'è
pochissima fiducia di un'effettiva riuscita dello European Recovery Fund, un fondo europeo per la ripresa, sostenuto dal Consiglio europeo, che è composto dai leader di tutti gli Stati membri, e sottoscritto lo scorso 23 aprile. Tuttavia l'incontro è servito solo a dare il via libera alla creazione dell'Erf, ma non si è definito il meccanismo di finanziamento del fondo stesso, necessario a fronteggiare il crollo dell'attività economica in Europa. I capi di stato hanno dato mandato alla Commissione europea di definire procedure, dettagli, e di dare contenuto al Recovery Fund, che dovrebbe essere riempito con una cifra non ancora definita che varia dai 540 miliardi a un trilione di euro. Ma dove reperire il capitale? La proposta più credibile dovrebbe essere quella di emettere titoli di debito comune, sfruttando come garanzia il bilancio Ue, che per ora rappresenta solo l'uno per cento del pil europeo e dovrebbe quindi essere esteso. L'Italia sostiene che l'Erf debba erogare crediti a fondo perduto, i paesi del Nord ritengono che debbano essere dei prestiti, c'è poi da decidere se l'accollo delle emissioni di debito, necessarie per alimentare il fondo, dovrà essere condiviso in solido da tutti i paesi o ogni paese dovrà farsi carico della porzione di debito comune assegnatagli. Da un lato Francia, Italia, Spagna chiedono una fiscalità sovranazionale e quindi una mutualizzazione del nuovo debito, dall'altro i falchi del Nord, capitanati proprio dall'Olanda, non hanno alcuna intenzione di condividere i propri avanzi di bilancio con gli squattrinati paesi del Mediterraneo. La partita, dunque, è complessa e ancora in salita.
Fiducioso nella buona riuscita del progetto un italiano su cinque, secondo cui la crisi sanitaria ed economica portata dal Covid-19, sarà lo sprone per una nuova Europa e favorirà la riscrittura dei trattati, all'insegna di un'unione fiscale e politica, fino alla creazione di un modello federale degli Stati Uniti d'Europa. Nel frattempo bisognerà però fare i conti con uno stravolgimento degli equilibri internazionali: secondo gli italiani l'America ridurrà la propria capacità di governare il mondo, mentre si rafforzerà il peso della Cina. Si espanderà anche la sfera d'influenza della Russia, mentre quella dell'Europa verrà ridotta ai minimi termini.
Contro lo scetticismo dilagante, si schiera
la giovane generazione Erasmus che, in occasione dei settant'anni dell'Europa, lancia la campagna #Eunite, per diffondere la cultura dell'Europa Unita e rilanciare il proteggo avviato nel secondo dopoguerra da Robert Schuman. A promuovere l'iniziativa è l'organizzazione #Giovanitalianinelmondo, che riunisce gli expat italiani, e i Global Shapers, un'associazione internazionale nata nel 2011 dal World Economic Forum di Davos per dare voce agli under 30, che riunisce oltre 20mila giovani leader di tutto il mondo. «L'Italia ci appare sempre più incattivita, alla ricerca di capri espiatori (che non esistono), arrabbiata con un’Europa che non si è dimostrata abbastanza solidale, che non ha condiviso mascherine e materiale medico nel momento del bisogno più acuto e che, prima di accordare aiuti economici, ha acceso la polemica mettendo in difficoltà cittadini e aziende. L'atteggiamento degli italiani è comprensibile, ma la nostra casa non è solo l'Italia, è l'Europa. È giusto Siamo stimolare una cooperazione più forte e strategica fra paesi europei, ma abbiamo paura che la rabbia italiana possa trasformarsi in rancore, e che l’Europa di domani non sarà quella aperta e gioiosa nella quale siamo cresciuti», scrivono Robert Zielonka e Andrea De Cicco Nardone, membri del Global Shapers Rome Hub, in una lettera firmata da oltre 10 mila giovani dei 46 hub europei Global Shapers e dagli expat italiani di #Giovanitalianinelmondo.
Parte quindi da Roma una call for action, che ha coinvolto 46 città europee, con l'obiettivo di avviare iniziative a sostegno di un'Europa Unita: «Non è stato facile arrivare a un compromesso fra le varie sensibilità europee su questo tema, ma abbiamo raggiunto delle linee comuni al nostro interno. Noi giovani europei ci siamo convinti dell'esigenza di una maggiore solidarietà fra nazioni. E non è solo il vento anti-europeista che soffia sull'Italia a preoccuparci, ma anche il salto antidemocratico compiuto da Ungheria e Polonia nel mezzo dell'emergenza sanitaria. Ai politici di Bruxelles faremo sapere che esiste una società civile, composta da una rete di organizzazioni transnazionali, pronta a sostenere un progetto europeo ancora più unitario, a favorire la creazione di una reale cittadinanza europea», spiega Robert Zielonka.
Tornando all'Italia, l'invito dell'economista Tommaso Monacelli, professore di Economia all'Università Bocconi di Milano, è quello di sfruttare il momento per sbloccare un paese congestionato da norme e burocrazia: «Data l'imponenza della crisi che il vecchio continente si appresa ad affrontare, e che porterà a un crollo del pil dell'Eurozona di 7,5 punti percentuali, l'Europa si renderà conto che non potrà continuare ad esistere come entità politica, istituzionale ed economica se non promuoverà un'unione fiscale», sostiene Monacelli, secondo cui, paradossalmente, la negatività della crisi porterà a un futuro impulso positivo per l'Unione Europea, che difficilmente tornerà nel breve tempo a introdurre i vincoli stringenti, come il patto di stabilità: «Questo potrebbe togliere l'alibi ai sovranisti, che da accusano l'Europa di porre freni alla nostra capacità di spesa. Stavolta, superati gli attriti fra stati membri, i finanziamenti arriveranno e lì l'Italia dovrà soprattutto dimostrare di saper sburocratizzare un sistema ingolfato, per poter spendere in modo corretto e coerente al fine di far crescere il paese. Le premesse, con la cassa integrazione non ancora versata nelle tasche dei lavoratori e la difficoltà di accesso ai finanziamenti per gli imprenditori, non sono incoraggianti, ma l'Italia ha sempre dimostrato di saper rinascere dalle proprie tragedie più forte di prima: lo abbiamo dimostrato nella ricostruzione del ponte Morandi».
Se davvero l'austerity europea lascerà il passo a una maggiore condivisione delle responsabilità, allora per l'Italia verrà presto il momento di sciogliere in nodi che ne impediscono lo sviluppo: dalla questione Sud all'eccesso di burocrazia, dalla disoccupazione giovanile alla scarsa produttività delle imprese.