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Migrante, rifugiato, rispetto: le parole tradite, le parole vuote

E poi diritti umani. Democrazia. Altro. Senza un contenuto autentico questi termini nascondono solo la nostra ipocrisia

«Lei non m’interessa. Un uomo non può rivolgere queste parole a un altro uomo senza commettere crudeltà e ferire la giustizia».
Così inizia “La persona e il sacro”, l’ultimo saggio di Simone Weil, scritto nel 1943, poco prima della morte.
Lei non m’interessa.
Come possiamo dimostrare interesse all’Altro, che abbiamo con determinazione allontanato dal nostro sguardo, e dunque dalla nostra attiva responsabilità?

È la domanda specchio delle politiche che il nostro paese ha inaugurato in Libia nel 2017 e rinnova di anno in anno.

Vergogne
Così la nostra politica in Libia ha arricchito ancora di più i trafficanti di esseri umani
27/7/2020
La forma più alta di attenzione, oggi, è cominciare a tradurre in riguardo le parole che usiamo per descrivere i fenomeni che ci circondano. Le parole che usiamo e determinano la nostra comprensione del mondo, lo delimitano, lo amplificano o sintetizzano.
Lo rendono spazio di conflitto costruttivo, o al contrario sterile tifoseria.
Siamo chiamati a riportare il discorso pubblico sul fenomeno migratorio a un livello di realtà che significa uscire dalla gabbia delle parole vuote, o meglio svuotate del loro significato.

Rispetto dei diritti umani non significa nulla se parte da un presupposto di inapplicabilità.
Così come la parola trafficante non significa nulla se non inserita in un’analisi realistica delle condizioni di partenza, di un potere gestito dalle milizie, da gruppi armati che non si superano trasformandoli per decreto in forze di sicurezza legittime, o in Guardia costiera, quanto piuttosto inserendoli in un processo di transizione democratica.
Ma democratica.

[[ge:espresso:opinioni:l-antitaliano:1.351234:article:https://espresso.repubblica.it/opinioni/l-antitaliano/2020/07/27/news/caro-zingaretti-sei-lo-stesso-coinvolto-1.351234]]Così come la parola migrante e la parola rifugiato sono diventate parole vuote.
A furia di difenderli, con l’arma della buona fede applicata maldestramente, abbiamo smesso di ascoltare «quel grido, che sgorga sempre per la sensazione di un contatto con l’ingiustizia attraverso il dolore», scriveva ancora Weil.
Anche questa è, deve essere, la forma di attenzione all’Altro.
Non renderlo vittima, schiavo, abusato e torturato.
Usare la lingua, la Parola, per renderlo uguale. Simile e vicino. Pari. 

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