C’è una bara nel bosco. È avvolta in una coperta colorata mentre un gruppo di uomini la cala in una fossa appena scavata in mezzo agli alberi. L’ultimo omaggio a un trentenne yemenita morto poco dopo l’arrivo in Polonia, vittima del miraggio sfruttato criminalmente dal governo bielorusso, che attira profughi dal Medio Oriente per lanciarli in un gioco al massacro. “Morire d’Europa”, dice il titolo sulla copertina del nuovo numero de L’Espresso: muoiono di freddo i migranti ma muore anche l’anima dell’Ue, la sua identità, i suoi ideali.
«Andate in fondo al corridoio umanitario e bussate al muro», consiglia gelido il militare ai due profughi, una donna e un bambino, della vignetta di Altan. La disumanità riassunta in pochi geniali tratti di penna diventa, nell’editoriale di Marco Damilano, un appello ad accendere una luce verde in ogni casa italiana, come fanno in Polonia i cittadini disposti ad aiutare i clandestini. Federica Bianchi invece è andata a vedere la crisi nascente sull’altra frontiera della Bielorussia verso la Ue, quella con la Lituania, costretta ad affrontare a distanza Lukaschenko che «usa le persone come armi», come spiega la premier Ingrida Simonyte.
Ma sono tante le frontiere in fiamme. Francesca Mannocchi racconta quella, invisibile e pericolosa, che divide le due Libie in cammino verso elezioni tanto caotiche quanto importanti. Alice Pistolesi segue i profughi che lasciano il Venezuela in crisi per cercare una vita migliore in Colombia. Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni fanno il punto sulla situazione tra Messico e Stati Uniti.
La politica interna intanto arranca. Ilvo Diamanti dialoga con Damilano sulla “democrazia fluida” che impera nell’Italia del Covid; Stefano Vaccari risponde alla sfida lanciata al Pd nel dialogo precedente, con Mauro Calise; Andrea Tornago rivela il grave conflitto d’interessi che lega all’Iran il presidente del Copasir Adolfo Urso, parlamentare di Fratelli d’Italia; e Susanna Turco inaugura con l’opinabile fascino di Di Maio una nuova rubrica che mette nel mirino la politica già dal titiolo: “Rettilario”.
Il Pnrr prevede un massiccio investimento in alberi da piantare in tutta Italia (ne scrive Chiara Sgreccia), ma il governo, denuncia Franco Arminio, continua a dimenticare le zone interne del sud, desolate e affascinanti nelle immagini di Simone Donati. Francesca Fagnani invece racconta una nuova puntata degli affari del clan camorristico dei Moccia, che si è buttato sugli appalti ferroviari grazie a una rete di prestanome. E Tommaso Giagni spiega perché 24 persone sfrattate a Roma hanno fatto ricorso all’Onu (e potrebbero vincere).
Makkox invita un dio e uno scheletro a parlare di suicidio assistito, Mauro Biani disegna i migranti in equilibrio sul grande muro che li chiude fuori dal mondo intero, Antonio Rezza disserta su guance e martirio, Michele Serra svela nuovi complotti della dittatura sanitaria. Stefania Rossini dialoga con un lettore sugli uomini che ammazzano le donne (e spesso poi si uccidono), Bernardo Valli ricorda i destini paralleli di Cuba e Algeria. Ed Evelina Santangelo invita a meditare sulla parola della settimana: tafofobia, la paura di essere sepolti vivi, che riporta il lettore all’immagine di copertina.
E L’Espresso chiude con un’anticipazione della fiera Più libri più liberi (curata da Sabina Minardi con Donatella Di Pietrantonio, Georgi Gospodinov, Riccardo Falcinelli, Michela Marzano, Fabio Stassi e Chiara Valerio). Seguono un focus di Maurizio Di Fazio sulle donne della street art, un tuffo nell’arte dell’Oceania di Marisa Ranieri Panetta e l’incontro di Simone Alliva con Lucy Salani, la più anziana trans d’Italia. E mentre Fabio Salamida va alle radici della violenza dei serial killer, che spesso cominciano con sevizie sugli animali, Enrico Bellavia racconta una storia d’amore e di mafia: che travolge una donna in carriera e un latitante.