Due lauree, il calcio, l’impegno per i diritti e la parità di genere. La sorella Marise parla della vita del ragazzo egiziano, rinchiuso nella prigione di al-Sisi. «Quando lasciava il Cairo per l'Italia diceva 'Torno a casa'. E fin da bambino non poteva accettare le ingiustizie in silenzio»

Guardiamo da vicino questo ragazzo che da mesi dorme sul cemento. Chi è quel corpo che trema la notte, sotto la sola coperta che gli hanno consegnato, in una delle trecento celle nude della prigione di massima sicurezza. La stessa che gli egiziani chiamano Aqrab, lo Scorpione, e gli indirizzi della burocrazia del Cairo indicano come Tora 922. Se vogliamo riportare a casa Patrick George Zaki, dopo un anno di carcerazione preventiva cominciata il 7 febbraio 2020, è il momento di parlare della sua vita e di immaginare noi al suo posto.

«Un cuore grande», racconta a L’Espresso la sorella Marise, «che fin da bambino non poteva semplicemente accettare in silenzio le ingiustizie sociali. A casa ricordiamo la sua ripetuta insistenza da piccolo, quando incontravamo un bimbo sfortunato che vendeva fazzoletti di carta per strada. Mio fratello voleva che gli comprassimo tutti i pacchetti».
 

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Patrick oggi non è soltanto un brillante ragazzo di 28 anni, due lauree e il master all’Università di Bologna. La sua infanzia, le sue passioni, i suoi sogni sono i nostri. Come fosse un fratello, un figlio, il compagno di corso o l’amico fidato. Quando tra pochi giorni il giudice deciderà se liberarlo e mettere fine a questo stillicidio di proroghe che va avanti da dodici mesi, nella sua mente dovranno dissolversi i dubbi e prevalere le immagini di famiglia: i genitori che lo aspettano preoccupati, la sorella più piccola che lo adora e perfino Jolie, il loro cane, metà cocker spaniel e metà golden retriever.
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 Anche se è rinchiuso nel carcere costruito trent’anni fa per i terroristi, Patrick non è un sovversivo. Sta piuttosto pagando la profonda crisi nei rapporti tra Egitto e Italia. In mezzo a migliaia di persone incarcerate dall’autorità egiziana, è stato infatti scelto lo studente di un’università italiana: il suo arresto è un messaggio. Dal processo per l’omicidio di Giulio Regeni alla guerra in Libia, nella quale il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi è schierato accanto alla Francia e a Bengasi, sono dossier su cui il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e l’intelligence gestita personalmente da Giuseppe Conte hanno dimostrato di non essere all’altezza.

La diplomazia francese non dimentica l’incontro nel febbraio 2019 tra Di Maio, allora vicepremier, e i gilet gialli che in quelle stesse settimane stavano devastando Parigi. La Francia è anche l’unico canale europeo per arrivare direttamente ad al-Sisi. Tanto che lo scorso dicembre il presidente Emmanuel Macron gli ha conferito la Legion d’Onore: onorificenza cavalleresca oggi assegnata per meriti militari o civili, ma che Napoleone Bonaparte aveva istituito per eliminare gli eccessi democratici dalle istituzioni rivoluzionarie. Nel decimo anniversario delle proteste di piazza Tahrir, la principale potenza militare europea si inchina così alla restaurazione.
 
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Dentro questo difficile contesto, ricordato dalle instancabili campagne di Amnesty International perché nessuna delle singole vittime di ingiustizia sia dimenticata, non bisogna aggiungere variabili al destino. La vicenda di Patrick va riportata alle sue innocenti dimensioni umane. Quelle di un ragazzo mediterraneo, cresciuto in Egitto con un profondo amore per l’Europa. «Quando ripartiva dal Cairo», racconta la sorella Marise, cinque anni più giovane, contattata attraverso un’amica, «qualche volta Patrick usava il termine “torno a casa” e intendeva Bologna. Dopo quattro anni di tentativi, aveva finalmente ottenuto la borsa di studio dell’Unione Europea per proseguire un master congiunto sugli studi di genere. Durante il suo primo semestre a Bologna, si è innamorato della città e della sua università. Ancora oggi ci riguardiamo tutte le foto e i video che ci mandava. Magari un evento per aumentare la consapevolezza sulle differenze di genere organizzato da seimila Sardine, le foto di una loro manifestazione che aveva raggiunto a Roma, o un cortometraggio al quale aveva partecipato con i suoi compagni di corso».
 
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Patrick Zaki è nato in una famiglia cristiana copta a Mansoura, poco più di novecentomila abitanti nella pianura fertile del Delta del Nilo, a metà strada tra la capitale e il Mare Mediterraneo. Fino a diciassette anni è la sua città. «Patrick era un bambino molto socievole e ha continuato a esserlo. Gli piaceva stare tra la gente e parlare di qualsiasi cosa. Amava vivere all’aperto e giocare. Da adolescente, ogni giorno di festa, Patrick restava in chiesa fino a mezzanotte a seguire la messa e poi veniva a cenare con noi. La mattina si svegliava presto per preparare le celebrazioni per i bambini. E se i genitori erano riluttanti a lasciarli andare soli in chiesa, passava a prenderli e alla fine li riportava a casa. Anni più tardi, quando i cristiani copti sono stati costretti a migrazioni forzate da alcune regioni, Patrick in più occasioni ha partecipato ai soccorsi e ha fatto il suo lavoro con coraggio, in condizioni estremamente pericolose».
 
Anche nelle giornate più torride, Mansoura nasconde scorci gradevoli. Il Nilo di Damietta attraversa la città disegnando una grande curva e dove c’è tanta acqua soffia sempre un po’ di vento. Il luogo preferito da Patrick in quegli anni è però il campo sportivo. «La sua passione per il calcio risale a quando era bambino», racconta Marise: «Giocava nella squadra di Mansoura. Fino al liceo, quando ha dovuto smettere per concentrarsi sugli studi. Ma il suo amore per il calcio come spettatore e tifoso di squadre famose è una parte della sua personalità che rimane fino a oggi. La sua squadra del cuore è lo Zamalek SC, da sempre la sua favorita, fin da quando era un ragazzino. Da tifoso tra i più fedeli, più esperti e più devoti, non si è mai perso un incontro e se c’è una partita da guardare in tv, ha la priorità nella sua serata. Di solito quando abitava dai genitori, tifava Zamalek con papà. E se per qualche ragione non potevano guardare la partita insieme, faceva lunghe telefonate a papà per condividere tutti i dettagli e i momenti più emozionanti. Ma oltre a essere un sostenitore fedele dello Zamalek, Patrick ha sempre fatto il tifo per le piccole società sportive perdenti».
 
Lo Zamalek Sporting Club ha sede a Giza, il governatorato compreso nella grande megalopoli del Cairo, famoso soprattutto per le piramidi e la Sfinge. Il calcio, nei popolosi quartieri egiziani, così come in America Latina ma anche in Europa, stimola gli incontri, riscalda le passioni, riunisce sotto un’unica bandiera padri, figli, amici. «Lasciata la squadra del Mansoura», ricorda la sorella, «Patrick ha continuato a giocare nel tempo libero, sia con la chiesa, che con la scuola o l’università. Da teenager e subito dopo, aveva assunto il ruolo di organizzatore delle partite tra amici, assicurandosi che ci fossero sempre abbastanza giocatori e incoraggiando sempre più persone a unirsi. Più siamo, meglio è, diceva quando era in programma un incontro. Sono sicura che oggi andrebbe volentieri in qualche Play Station Cafè a sfidare gli amici a Fifa. Giocherebbero per ore. Avendo praticato questo sport fin da bambino, ha talento e raramente perde».

Arrivano gli anni dell’università. Per continuare gli studi, a 17 anni Patrick si trasferisce al Cairo. «Ha studiato Farmacia alla German University», continua Marise: «Essendo la persona socievole, amichevole e attiva qual è, ha fatto subito molte amicizie nella sua nuova università. A Patrick piace trovare tutte le opportunità per incontrare persone di diverse origini, scambiare storie, esperienze, cibo e scherzare con loro. Durante questi anni di studio, era molto schietto in merito ai diritti degli studenti. Era un membro attivo dell’Unione studentesca ed era uno dei partecipanti alle proteste universitarie che rispondevano all’ingiustificabile decisione dell’amministrazione di espellere gli studenti politicamente attivi. Così, dopo la laurea, ha lasciato la sua carriera in Farmacia e ha deciso di investire la sua anima più profonda e sincera nel rendere il mondo un luogo migliore per ciascuno, lavorando nel campo dei diritti umani e successivamente ottenendo una laurea negli studi di genere».

La sua curiosità aveva già portato Zaki in Europa. La sua prima vacanza all’estero è infatti un viaggio attraverso Olanda, Danimarca, Germania, Ungheria fino in Grecia.

«Era tanto in soggezione davanti alla bellezza e alla diversità di luoghi e culture», raccontano a casa: «Dopo ogni singola tappa che completava, innondava gli amici di fotografie. A tutti loro ha portato regali dalle diverse città che ha visitato. Senza contare le nuove amicizie incontrate, a Berlino, Amsterdam, Budapest. Sono amicizie che continuano anche oggi».

Patrick però ama anche la sua terra. «È una persona molto avventurosa», ammette Marise, «che ha un amore e una passione profonda per la vita e per la scoperta di cose nuove. Nel suo gruppo ristretto di amici, è noto per essere molto attivo e sempre pronto a partire. Patrick incoraggia i suoi amici a muoversi, piuttosto che rimanere incollati alle solite banalità. Adora viaggiare, esplorare luoghi e spiagge in tutto l’Egitto. È considerato il centro del divertimento nei lunghi percorsi in macchina che durano decine di ore, perché Patrick è sempre pieno di argomenti, idee, barzellette».

È però l’università a risvegliare quel bambino che chiedeva a mamma e papà di comprare tutti i pacchetti di fazzoletti, perché i piccoli venditori di strada potessero guadagnarsi la giornata. «La sua consapevolezza e la sua passione per i diritti umani e la giustizia sociale si sono ampiamente sviluppati da allora», ricorda la sorella: «Come studente alla German University, Patrick ha cominciato a impegnarsi con altri studenti nelle attività dedicate a questioni politiche e sociali, nel momento in cui la società civile in Egitto era vivace. Non siamo stati sorpresi, subito dopo la sua laurea, nel vederlo lavorare con passione per le libertà civili e i diritti delle minoranze. Il principale interesse di Patrick sono le questioni di genere, ma è stato anche profondamente toccato dai temi relativi alle minoranze religiose. Concludere i suoi studi universitari era un sogno che Patrick perseguiva senza sosta».

Oggi Marise, la mamma e il papà vivono un tempo sospeso. Dettato dai rarissimi permessi concessi per incontrare il loro ragazzo in carcere. Ore di viaggio e di attesa al Cairo, ricambiati da un colloquio di dieci minuti. A Tora 922 non concedono di più.
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«Quando sono nata io, Patrick aveva cinque anni ed era molto gentile con me, il mio grande fratello. Era molto protettivo e non permetteva a nessuno di farmi dispetti. Metteva la mia protezione sopra ogni cosa ed è diventato il mio sostenitore numero uno», rivela lei: «Patrick ha anche una relazione molto intima con mamma, a vari livelli. Si preoccupa molto profondamente di lei e farebbe qualsiasi cosa per vederla felice, in buona salute e soddisfatta. Quando ha lasciato la casa dei genitori per trasferirsi al Cairo, si sentivano al telefono tutti i giorni per condividere la giornata e qualsiasi novità, piccole o grandi che fossero. La nonna aveva un debole per Patrick. E lui aveva un affetto genuino per lei e anche un grande senso di responsabilità. Faceva sempre in modo di andarla a trovare casa sua, per mangiare insieme o raccontarsi storie. Quando è mancata, alcuni anni fa, è stata una perdita straziante per lui. Era distrutto per la scomparsa di un’anima e un’amica così preziosa. Patrick parla ancora dei ricordi con la nonna e li tiene molto vicini al suo cuore. Così come il suo legame con papà è molto forte, fin da quando era bambino. E non soltanto per la passione comune per il calcio».

Anche la bellissima Jolie ormai è parte della famiglia Zaki. «È stata adottata quando aveva due anni», racconta Marise, «e da allora ha portato tanta gioia. Durante le visite Patrick ci chiede di lei. Perfino Jolie le manca tanto».
Sugli scaffali di casa attendono i suoi libri. Ci sono i volumi dell’università: storia, letteratura, ma anche fisiologia e medicina. E poi le letture del tempo libero. Quando ha scoperto Elena Ferrante, ha letto quasi tutto di lei. «Adora in particolare “L’amica geniale”», dice Marise. E poi da qualche parte nel quartiere, c’è sempre un tavolo da ping-pong pronto per una sfida: «Con la racchetta ha un talento eccezionale», confessa Marise e i suoi amici, più volte sconfitti, le danno ragione.

«Continuo a pensare all’università», scrive lui nella breve lettera recapitata alla famiglia a metà dicembre, «all’anno che ho perso senza che nessuno ne abbia capito la ragione. Voglio mandare il mio amore ai miei compagni di classe e agli amici a Bologna. Mi mancano molto la mia casa lì, le strade e l’università». Tutto questo, soltanto questo, è il mondo di Patrick.

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