Strappato, scolorito, sgarrupato. E segnato con una croce che, più che la scelta su una scheda elettorale, sembra un segno di rifiuto. Il manifesto del Pd che campeggia sulla copertina del nuovo numero de L’Espresso è un simbolo della crisi della principale forza di sinistra. Che dopo le dimissioni di Zingaretti ha bisogno non di un nuovo segretario ma di una nuova idea di partito. Altrimenti, chi ne prenderà il timone rischia una ripetizione di quel sostegno di facciata che nasconde trappole e manovre nascoste. "#STAISERENO", sentenzia il titolo di copertina, il famigerato hashtag con cui Renzi finse di sostenere Letta mentre si preparava a prenderne il posto.
Ci vuole una nuova canzone popolare, scrive nel suo editoriale Marco Damilano ricordando l’entusiasmo del 1996, con le note di Ivano Fossati a ritmare il legame tra Pd e popolo. Sono seguiti 25 anni di distacco dalla società, congiure e tradimenti, governismo e protagonismo esasperato. Massimo Cacciari scava a fondo nelle cause della catastrofe di un partito che in realtà, è la sua sentenza, non è mai nato davvero. E che ora rischia il tramonto definitivo.
Segue un lungo focus sul dibattito nella sinistra: le cartoline al Pd scritte dal gesuita Francesco Occhetta, dal direttore del "Mulino" Mario Ricciardi, dalla deputata verde Rossella Muroni. L’invito di Giuseppe Genna a prendere finalmente sul serio Beppe Grillo. Il dialogo tra un iscritto al partito, il bolognese Andrea Ferraioli, e un outsider, il portavoce delle sardine Mattia Santori. E i ricordi dell’ultimo tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, intervistato da Susanna Turco. Mentre in Francia, lo scrive Federica Bianchi, con l’avvicinarsi delle elezioni la sinistra ricuce le fratture e cerca un’alleanza intorno ai temi dell’ecologia.
Il Paese però pensa anche ad altro: osserva attonito il disastro della gestione dei vaccini in Lombardia (di Gianfrancesco Turano); si interroga sul ruolo nel governo dei tecnici dell’americana McKinsey, ex azienda del neo-ministro Colao (Vittorio Malagutti e Carlo Tecce); scopre che la camorra è nelle mani di una donna, Maria Licciardi detta "a Piccerella" (Francesca Fagnani); si indigna per le trame dei piduisti che da quarant’anni prosperano imperterriti tra scandali e riciclaggio (Paolo Biondani); piange l’infelice record di 450 bambini gravemente malformati nati a Gela, vicino al Petrolchimico dell’Eni (Antonio Fraschilla e Alan David Scifo), mentre Civitavecchia, già inquinata dalle centrali elettriche, si prepara ai danni della riconversione a gas (Patrizio Ruviglioni).
Altan seppellisce con uno sberleffo i colori cangianti delle zone anti-pandemia; Makkox trasforma la settimana politica in un fotoromanzo; Mauro Biani riassume in tre disegni il distacco tra società e Pd; Michele Serra rivela scenari inediti delle crisi esistenziali di Meghan Markle e Massimiliano Panarari invita a meditare sulla parola della settimana: piattaforma.
E L’Espresso chiude con un reportage di Francesca Mannocchi dell’Iraq dopo la visita del Papa, un dialogo sul futuro della nostra società digitalizzata (Guido Maria Brera ed Evgenij Morozov con Marco Pacini) e un omaggio alla Comune di Parigi firmato da Gigi Riva e Wlodek Goldkorn. Roberto Brunelli racconta il ministro degli esteri americano, intellettuale filoeuropeo con l’hobby del rock, mentre Simone Pieranni e Riva incoronano due categorie di eroi del nostro tempo: i rifugiati del Pulitzer di origine vietnamita Viet Than Nguyen e i desaparecidos argentini ricordati da Marco Bechis.