I giochi del silenzio iniziano venerdì 23 luglio a Tokyo. Dopo la sbornia dell’Europeo di calcio con Wembley pieno e il torneo di Wimbledon tutto esaurito, il primo ministro giapponese Yoshihide Suga ha scelto la linea di massima prudenza a costo di rimetterci 700 milioni di euro in biglietti. Non saranno ammessi spettatori locali, stranieri e atleti non vaccinati. Gli accrediti per allenatori e staff saranno ridotti al minimo. Al posto del tifo, che in Giappone è ampiamente no-vax con solo il 15 per cento della popolazione immunizzata, ci saranno le voci degli atleti in corsa per le medaglie.
Nel caso dell’Italia saranno in larga parte voci femminili. Un anno e un secolo dopo Anversa 1920, quando la prima italiana della storia si presentò in gara ai giochi, la rappresentativa azzurra ha sfiorato la perfetta parità di genere a quota 184. Il risultato è tornato a favore dei maschi soltanto all’ultimo, con la qualificazione dei dodici cestisti capaci di vincere il pre-olimpico di Belgrado contro i favoritissimi padroni di casa della Serbia.
La presenza delle donne è cresciuta rapidamente. La loro prima apparizione risale ai giochi di Parigi del 1900, seconda edizione delle olimpiadi moderne, e si dovette faticare a convincere il barone francese Pierre De Coubertin a modificare il suo purismo classicista, mantenuto ad Atene 1896 in onore della tradizione ellenica che vietava a donne e schiavi le gare di Olimpia. Neanche a dirlo il primo oro femminile andò al paese delle suffragette con la vittoria nel tennis della britannica Charlotte Cooper.
Tempi lontani? Soltanto ventuno anni fa a Sidney le italiane erano meno di un terzo dei selezionati per i giochi. Nella prima olimpiade giapponese (Tokyo 1964) erano undici contro 148 uomini, addirittura due in meno di Berlino 1936, quando Trebisonda Valla detta Ondina vinse il primo oro di un’italiana negli 80 metri a ostacoli e la regia della manifestazione era affidata a Leni Riefenstahl, autrice del documentario “Olympia” su commissione di Adolf Hitler.
Oggi la boxe italiana presenta ai giochi solo donne per la prima volta nella storia. Saliranno sul ring Giordana Sorrentino, Angela Carini, Rebecca Nicoli e Irma Testa.
Sulle azzurre si rischia la retorica compensativa. In realtà, da anni il movimento sportivo femminile ha ottenuto prestigio e ammirazione nell’unico modo che davvero conta, attraverso il merito sul campo. Nell’età dei valori post-decoubertiniani, resta ancora lontano l’ultimo obiettivo della parità, la gratificazione economica. Ma il professionismo sportivo maschile muove una massa di denaro molto superiore e gli ingaggi si regolano di conseguenza, almeno per quelle realtà che hanno un mercato al di fuori della platea olimpica. La portabandiera azzurra, l’olimpionica del tiro a volo Jessica Rossi, 29 anni, ha sicuramente minori possibilità di fatturato rispetto al portabandiera maschio, il ciclista Elia Viviani, 32 anni.
Com’è sacrosanto, il Coni non discrimina. I premi della trentaduesima olimpiade distinguono solo il genere metallico delle medaglie. Un oro vale 180 mila euro con un aumento di 30 mila sul 2016. L’argento olimpico è salito da 75 a 90 mila euro. Il bronzo, da 50 a 60 mila euro. Per molti atleti, abituati a sacrificarsi per la gloria, un rimborso spese e qualche contrattino dagli sponsor tecnici, sarà la maggiore occasione di guadagno della loro avventura sportiva mentre i neocampioni europei di calcio escono dalla finale con l’Inghilterra con 250 mila euro di premio. Argent de poche. Matteo Berrettini, primo finalista italiano a Wimbledon che a Tokyo potrebbe giocarsi la rivincita contro il serbo Novak Djokovic ha incassato poco più di un milione in euro.
EL PASO, ITALIA
Gli italiani nati su suolo straniero saranno in cinquanta, poco meno di uno su otto. Nel gruppetto dei diversamente italiani ci sono storie e profili molto vari. L’atletica leggera che tenta di uscire da anni di buio profondo si affida all’italo-texano Marcell Jacobs, la freccia di El Paso capace di stabilire il nuovo record nazionale sui 100 metri con 9”95, un tempo da finale.
Negli squadroni del volley, entrambi da medaglia, i maschi potranno di nuovo contare su Osmany Juantorena da Santiago di Cuba e le donne su Indre Sorokaite, lituana di Kaunas arrivata in Italia a quattordici anni. Nel Settebello c’è il francese Mike Bodegas. È senese per caso il nuovo fenomeno del basket, Niccolò Mannion, padre Usa e madre italiana come Jacobs. Mannion è nato nel 2001, quando il padre Pace chiudeva la carriera in Toscana. L’Italdonne si è qualificata nella pallacanestro 3x3, una delle cinque discipline al debutto insieme all’arrampicata sportiva, allo skateboard, al surf, al karate, al baseball e al softball, la versione femminile del baseball, con l’Italia presente.
Gli azzurri si confermano forti nel collettivo con un’eccezione importante. Dopo la vittoria della nazionale del ct Roberto Mancini l’11 luglio a Wembley, il calcio azzurro non sarà a Tokyo, né in versione maschile né in versione femminile, nel rispetto di una tradizione poverissima risultati con un unico oro a Berlino nel 1936. L’ultima partecipazione della nostra Olimpica, che grosso modo corrisponde all’Under 21, risale a Pechino 2008.
Tornano a pieno regime le squadre anche nella scherma, l’unico sport che l’Italia domina nella storia dei giochi con 125 medaglie e che è rappresentato al governo da Valentina Vezzali, sottosegretario con delega allo sport e pluriolimpionica del fioretto con sei ori.
GOVERNISSIMO MALAGÒ
Per le discipline della politica, la delegazione italiana a Tokyo si presenta all’insegna del governissimo. Ma non è Giovanni Malagò a ispirarsi a Mario Draghi, casomai il contrario. Il presidente del Coni è fresco di rielezione ad ampia maggioranza, lo scorso 13 maggio, con 55 voti, pari al 79,7 per cento dei consensi. Il suo avversario Renato Di Rocco, ex della federazione ciclismo, ha preso soltanto 13 voti nonostante fosse spalleggiato da Paolo Barelli della Federnuoto e Angelo Binaghi di Federtennis, nemici intimi del presidente in carica dal febbraio 2013.
La foto dell’election day dice più di mille parole. Nei locali del circolo del tennis milanese intitolato all’ex presidente del Coni Alberto Bonacossa, Malagò saluta i delegati avendo alla sua sinistra Franco Carraro, 81 anni, e alla sua destra Mario Pescante, 83 anni, entrambi membri del Cio. Il comitato olimpico internazionale ha avuto il suo da fare per sostenere Malagò nella guerra santa di ogni presidente del Coni, l’autonomia dello sport, messa sotto pressione da leghisti e grillini. Il principio è giusto. Peccato passi per una gestione da Pcus, con un pugno di presidenti dal 1947 a oggi. Fra i sei predecessori di Malagò nel dopoguerra spiccano il fedelissimo andreottiano Giulio Onesti, in carica per trentun anni, e l’altrettanto andreottiano Stefano Petrucci, 76 anni, sopravvissuto al suo mentore politico con una poltrona da presidente in Federbasket confermata lo scorso novembre da candidato unico con voto plebiscitario. È la terza volta di fila, la quinta in totale.
A dispetto del risultato elettorale, non sono stati anni semplici per Malagò, 62 anni, di mestiere concessionario di auto di lusso con affaccio su villa Borghese. Il signore degli anelli italiani ha prima dovuto affrontare le polemiche sul numero dei mandati, con il terzo concesso da un decreto del ministro dello Sport Luca Lotti ai tempi supplementari del governo Gentiloni nel gennaio del 2018. Subito dopo sono arrivati gli scontri con il governo gialloverde e con Giancarlo Giorgetti, che ha azzoppato il potere malaghista creando la società Sport e salute e affidandola a Vito Cozzoli, manager di fede grillina ed ex capo di gabinetto al Mise di Federica Guidi, Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli.
DERBY AL FORO ITALICO
Lentamente Malagò ha recuperato terreno mentre l’opposizione al suo sistema di potere si affievoliva. A metà giugno il Coni si è ripreso l’istituto di medicina sportiva dell’Acqua Acetosa, con il decreto attuativo di una legge di inizio anno. Sul fronte interno il sistema ormai è talmente consolidato che non teme di esibire le stanche liti di famiglia in una sorta di Casa Vianello sportiva. Il dualismo è particolarmente accentuato con Barelli, che ha i risultati dalla sua avendo portato le piscine italiane sulla ribalta internazionale.
Se gli atleti con pass per Tokyo fossero deputati, come è attualmente Barelli dopo altre tre legislature in senato sempre nelle file di Forza Italia, gli eletti di cloro e corsia sarebbero il secondo partito. Ai Giochi la rappresentanza più numerosa è quella dell’atletica leggera (76). Ma se si sommano i nuotatori, i fondisti, quelli del sincronizzato, i tuffatori e la pallanuoto con Settebello e Setterosa si contano 67 qualificati e 66 partecipanti, perché Gregorio Paltrinieri gareggerà sia in vasca sia in mare. Su trentasei nuotatori sette hanno la doppia tessera in quanto atleti della Canottieri Aniene, il circolo romano che in vent’anni di presidenza (1997-2017) Malagò ha trasformato in un centro di relazioni non solo sportive.
Per livello competitivo e possibilità di conquistare medaglie, tra Fin e Fidal non esiste confronto. Federica Pellegrini, Simona Quadarella, Margherita Panziera, l’uomo-pesce Paltrinieri, reduce dalla mononucleosi, sono ai vertici mentre inizia una carriera promettente Giulia Vetrano del Centro nuoto Nichelino, la più giovane fra gli azzurri con i suoi quindici anni e mezzo (il limite di età è quattordici).
Nel reparto scrivanie invece innovazione e gioventù sono rarità. Alcune federazioni importanti, come il ciclismo o l’atletica leggera, hanno cambiato dopo presidenze che sembravano eterne. Nella Federciclismo lo sfidante di Malagò, il romano Di Rocco, 74 anni, ha lasciato al lombardo Cordiano Dagnoni, 57 anni, ex pistard che ha battuto dopo un ballottaggio molto tirato il suo quasi coetaneo e sprinter ben più titolato, il padovano Silvio Martinello, 58 anni. Alla Fidal ha prevalso Stefano Mei, ex mezzofondista di livello internazionale dopo nove anni di poca soddisfazione con Alfio Giomi, 73 anni.
A scavare fra i votanti delle elezioni del Coni di maggio compaiono nomi visti per decenni nelle cronache politiche come quello del nisseno Sergio D’Antoni, ex segretario generale della Cisl, che a 74 anni è membro di giunta per conto dei comitati regionali oltre a guidare il Coni in Sicilia.
La carica di segretario generale, occupata per diciannove anni dall’ex parlamentare berlusconiano Pescante, è oggi affidata a Roberto Fabbricini, 76 anni, fratello minore di Massimo, 78 anni, che ha ereditato la presidenza dell’Aniene.
Anche per Malagò la revolving door è pronta. Alla fine dell’ultimo mandato quadriennale, non rinnovabile salvo soluzioni alla Vladimir Putin, il presidente onorario dell’Aniene compenserà la perdita della poltrona del Foro Italico con quella di presidente della Fondazione per le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina del 2026, che già occupa nonostante le feroci critiche iniziali dei 5 Stelle, momentaneamente presi da altre faccende. Non c’è da temere che la sua presa sullo sport italiano si allenti. Le olimpiadi logorano chi le pratica, non chi le organizza.