Famiglia e lavoro
Ce lo insegna l’esperienza francese e non solo: conciliare vita professionale e figli è possibile se si è disposti a rimettersi in gioco e a ribaltare i ruoli. Lo spiegano gli esperti dell’educazione positiva
di Margherita Abis
Come si esce da uno stereotipo? Cosa ci tiene ancorati a un ruolo, a un compito, e come si possono ribaltare gli schemi, come quelli che ingombrano il campo della genitorialità e della famiglia? Partiamo da un dato: in Italia la percentuale Istat di donne con un figlio che lavorano è al di sotto della media europea. Tra i Paesi con le statistiche più incoraggianti ci sono invece Germania, Francia e Spagna, dove conciliare il ruolo di genitore con quello professionale sembra essere meno problematico.
Spesso in Italia resiste la visione secondo cui la madre è la casalinga disperata che effonde i suoi respiri esclusivamente per la creatura che ha portato in grembo e che non ha altre ragioni per vivere e affermarsi. Mentre il padre, solo raramente, può mettersi a disposizione delle esigenze della casa e della famiglia. Quando lo fa viene definito “mammo” o “baby sitter”; ma per il resto, la sua figura assume più che altro i contorni di un allenatore di calcio o all’occorrenza quelli di un istruttore di scuola guida.
Ed è proprio nel mondo del lavoro che questi schemi trovano riscontro. Annunciare una gravidanza in ufficio può innescare tutta una serie di spiacevoli reazioni a catena. Ma non è ovunque così e, soprattutto, non deve necessariamente continuare a esserlo. «Diventare genitore in Francia è un’esperienza molto diversa rispetto che in Italia, anche se non voglio generalizzare», spiega Clio Franconi, nata in Italia e trapiantata a Grenoble, e professionista nel campo dell’educazione positiva, un approccio alla genitorialità basato sul rispetto dei bisogni del bambino: «Quando sono rimasta incinta vivevo e lavoravo in Francia e temevo di dover tenere nascosta la gravidanza sul lavoro, di essere discriminata o di dover dimostrare, al mio ritorno, che ero all’altezza del mio ruolo professionale. Invece l’approccio dei miei colleghi e capi è stato decisamente più sereno, rispetto a quello a cui si è abituati in Italia».
Una chiave di lettura può essere trovata nei sussidi per la maternità che arrivano dallo Stato e in tutta una serie di agevolazioni e aiuti. «Non è indispensabile l’appoggio dei nonni come in Italia: ce la si può cavare molto più facilmente, anche se non significa che qui sia tutto idilliaco». Dalle sovvenzioni dallo Stato francese per baby sitter a domicilio, fino all’ampia disponibilità di posti al nido e per i servizi di doposcuola. Per le neo mamme sono previsti cicli di incontri a domicilio con l’ostetrica, rimborsati dal servizio sanitario nazionale, e vi è una diversa gestione del congedo di maternità, che pesa meno sul datore di lavoro. «La natalità in Francia è molto più alta, quindi ci si chiede: è così perché ci sono sostegni adeguati o viceversa?», prosegue Franconi.
Tra le differenze anche il fatto che la maternità obbligatoria in Francia duri 4 mesi. «Può sembrare poco ma questo fa sì che diventi tutto più fluido, il periodo di congedo, il ritorno: viene tutto vissuto con maggiore serenità dall’azienda. Assentarsi per una maternità diventa un fatto molto più normale». Come del resto dovrebbe essere. In Italia c’è da un lato la fretta di tornare al lavoro per dimostrarsi all’altezza ma dall’altro, se si rientra troppo presto, subentrano il senso di colpa e la preoccupazione di essere cattive madri.
Franconi, che si occupa da tempo di genitorialità e ha due figli, tenta quotidianamente di dare una spiegazione a questi meccanismi. Nel 2020 ha lanciato il Summit di educazione positiva, per aiutare i genitori a gestire lo stress e la fatica educativa. Ora andrà in scena la quinta edizione: dal 24 al 28 ottobre si terrà online un’iniziativa dedicata alle famiglie con bambini dai cinque agli undici anni e che coinvolgerà una trentina di esperti del settore (per iscriversi: summit-educazione-positiva.com). «Ho cercato una chiave alla portata di tutti. In Italia si discute poco di educazione positiva, mentre in Francia o nei Paesi anglosassoni queste tematiche hanno più spazio», precisa. Discutere e condividere di più, insieme alla disponibilità di sussidi e servizi per le famiglie, contribuisce a un’inversione di rotta e a un cambio di mentalità.
Tutto ciò normalizza anche la partecipazione dei papà alla vita familiare. «La disparità sul posto di lavoro esiste anche in Francia ma in generale c’è più equità. Se accompagni i bambini a scuola o segui le riunioni con gli insegnanti, troverai in egual numero madri e padri. Di conseguenza, vedrai abitualmente madri e padri uscire prima dal lavoro per seguire gli impegni dei figli. Quando iniziano a farlo i colleghi, e per primi i capi, ti senti di poter fare lo stesso e diventa la normalità».
In Italia è comune pensare che il rendimento debba necessariamente corrispondere a un impegno totalizzante. Più stai in ufficio, la sera e nei weekend, più sei meritevole. Più togli tempo alla tua vita privata e sociale, più ti dimostrerai in grado di gestire lo stress e un elevato carico di lavoro. Ma a renderci meritevoli non è certo il fatto di occupare una sedia e accumulare ore di straordinario.
«In Francia non è questo a fare la differenza e incidere sulla carriera. Ci sono capi che sono diventati tali lavorando part time. Qualunque professionista, al di fuori del classico orario da ufficio 9-18, non ti riceve. In tanti uffici, il mercoledì pomeriggio non si lavora. Riuscire a dare spazio alla nostra vita privata non è un demerito, anzi ci arricchisce e ci farà aumentare l’energia da mettere sul lavoro».
Essere capaci di osservarsi e rimettersi in discussione può servire anche a ribaltare i ruoli in casa. «Apriamo un dialogo con il partner e chiediamoci perché, ad esempio, sono sempre io a portare i bambini alle visite mediche», aggiunge la formatrice: «Tante cose le facciamo per abitudine o perché abbiamo acquisito un modello. Magari però ci pesano più di quanto peserebbero al partner e, viceversa, scopriamo che lui si sta trascinando un altro compito che non gli piace. Ciò implica anche la disponibilità a lasciare andare il bisogno di controllo. Mai dare per scontato che i ruoli debbano essere fissi».
L’educazione positiva tratta tanti di questi temi. Come l’importanza dell’assertività: riuscire a chiedere, a esprimere i propri bisogni senza che ciò venga visto come aggressività. «A chiedere un aumento, ad esempio, sono quasi sempre gli uomini e raramente le donne; ci sono statistiche che lo dimostrano. Idem per gli annunci di lavoro: la donna risponde solo se sa di essere in possesso di ogni requisito richiesto. All’uomo basta possederne il 75 per cento per sentirsi sicuro di sé. Sono schemi che ci portiamo dietro dall’infanzia». Le bambine non possono mai perdere la calma, o si dice loro «guarda come diventi brutta quando ti arrabbi». I maschi, al contrario, possono arrabbiarsi ma non piangere o faranno la figura delle femminucce.
«Si insegna fin da piccoli a reprimere le emozioni, sminuendo la verità dei bambini e delle bambine, con frasi come “è impossibile che tu abbia caldo”». Da quel momento inizia la ricerca di compiacimento degli altri, per non sentirci allontanati e abbandonati. In questo è sempre importante la consapevolezza.
«La consapevolezza è fondamentale in ogni aspetto della genitorialità, anche nel modo che abbiamo di relazionarci con Internet. È facile cadere in un uso poco consapevole dei social o farsi catturare». Un effetto molto comune della mente umana è quello del confronto, che rischia di essere perennemente inadeguato di fronte a modelli di maternità perfetta. «Bisogna però guardare ai social come a un film, sapendo che si tratta di una costruzione narrativa. Dobbiamo essere consapevoli anche quando scegliamo di condividere la foto di nostro figlio. Non c’è necessariamente una modalità giusta e una sbagliata, l’importante è conoscere ed essere informati sui rischi che comporta. Una soluzione può essere quella di coprire il volto del bambino o chiedere direttamente a lui, quando diventa più grande, se sia d’accordo o meno. I bambini non sono tutti uguali: qualcuno è più sensibile e può soffrire per questa esposizione, può sentirsi schiacciato dai commenti altrui». È una questione di specificità, che riguarda la sfera del consenso, del dialogo, dell’empatia e della fiducia in sé. Per uscire da una mentalità, a volte basta iniziare.
La quinta edizione del Summit Educazione Positiva si terrà online dal 24 al 28 ottobre e sarà dedicata alle famiglie di bambini da 5 agli 11 anni. Per l’evento online dedicato a genitori, nonni, educatori le indicazioni saranno disponibili sul sito summit-educazione-positiva.com. Previa iscrizione gratuita, si potrà accedere a interviste video con più di 30 esperti di educazione positiva, psicologi, pedagogisti, docenti. Gli utenti potranno vedere gli incontri in qualsiasi momento tra le 7 del mattino alle 7 del giorno seguente, e partecipare in diretta alle sessioni di domande e risposte con i professionisti presenti.