La Sapienza, le proteste degli studenti: «L’università che vogliamo non è dominata dalla logica del merito»

La parola ai ragazzi e alle ragazze della facoltà di Scienze politiche, dopo gli scontri con la polizia dei giorni scorsi. «Non può dominare la logica del merito e della produttività». E arriva la lettera della rettrice sugli “episodi dolorosi”

«Non ho mai organizzato una manifestazione per impedire a qualcun altro di dire quello che voleva dire. Mai. Non l’ho mai fatto. Io ho organizzato manifestazioni per dire quello che io volevo dire, perché è un diritto farlo in democrazia. Quelli non erano manifestanti pacifici, erano manifestanti che facevano un picchetto per impedire che ragazzi che non la pensano come loro potessero dire la loro». Così la neopresidente Giorgia Meloni risponde al primo intervento di Ilaria Cucchi in aula, in cui la senatrice si è espressa a favore del diritto degli studenti di manifestare.

 

Gli studenti non volevano togliere agli altri il diritto di esprimere le proprie idee, ma intendevano palesare il proprio dissenso nei confronti «di esponenti di governo e di forze politiche che hanno contribuito attivamente allo smantellamento dell’università pubblica negli ultimi anni».

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Come spiegano Sofia e Martina, del collettivo di Scienze Politiche che martedì scorso erano al presidio contro il convegno sul “capitalismo buono” organizzato da Azione Universitaria e autorizzato dalla Sapienza: «Il nostro obiettivo era di contestare la conferenza, di porci come contraddittorio, restando all'esterno. Mentre facevamo gli interventi era già stata chiusa la porta principale della Facoltà, anche con le grate. Quando un gruppo di studenti con lo striscione è andato per appenderlo la Digos si è schierata e poi è iniziata la carica. Precisiamo che c’era un altro ingresso laterale, libero e accessibile, a cui noi non ci siamo avvicinati proprio perché il nostro obiettivo non era entrare».

 

A quanto raccontano le studentesse, le persone nel cortile dell’ateneo intente a contestare il convegno erano qualche decina. Sono diventate centinaia durante il corteo che ha fatto seguito all’uso della forza da parte della Polizia per reprimere i manifestanti. «Ieri, durante l’assemblea pubblica siamo diventati migliaia e abbiamo occupato la facoltà per dare vita a una discussione più ampia. Che vada oltre gli avvenimenti di martedì perché l’università in cui viviamo non ci piace». Affinché gli studenti non siano solo utenti ma parte attiva della comunità.

 

«Viviamo l’università post-pandemica, carente negli spazi e fatiscente nella struttura. Per i fortunati fra di noi la trasmissione dei saperi è stata ristretta nei pochi pollici dello schermo del computer ma non tutti hanno attraversato la pandemia con uno spazio proprio, un dispositivo proprio o una buona connessione. Frequentiamo un ateneo in cui si vede chiaramente il risultato di anni di tagli all’istruzione pubblica, aziendalizzazione e privatizzazione», scrive il collettivo di Scienze Politiche nel comunicato con cui ha ufficializzato l’occupazione della Facoltà della Sapienza. Durante la quale è stato garantito il normale svolgimento delle lezioni. E che è durata soltanto una notte perché il punto è di dare vita un percorso d’opposizione in cui possano convergere più battaglie, anticipare i prossimi incontri, creare dibattito.

 

«L’università che vogliamo non è dominata dalla logica del merito e della produttività che ci spinge a essere in perenne competizione tra noi, a discapito del nostro benessere fisico e psicologico. Il merito non è altro che uno strumento con cui si acuiscono le differenze di classe. Vogliamo un’università in cui sia garantito l’accesso al diritto allo studio per tutti a prescindere dalla condizione sociale di partenza», hanno detto durante la conferenza stampa convocata questa mattina davanti alla Facoltà, dal collettivo di scienze politiche.

Gli studenti hanno espresso chiaramente la condizione d’ansia costante che vivono ogni giorno, nel tentativo di conciliare lo studio con il lavoro, in un contesto di precarietà crescente dal punto di vista economico, climatico, geopolitico, esistenziale: «Ma non vogliamo vivere solo nella depressione e nell’ansia. Vogliamo ricostruire il nostro futuro, e per farlo partiremo dall’università provando a ribaltare il nostro ruolo da quello di utenti a protagonisti. Non vogliamo soltanto attraversare l’università vogliamo essere noi l’università».

Come sottolineano Sofia e Martina l’occupazione è nata spontaneamente dopo i fatti di martedì. «Tutta la componente studentesca, anche chi non è politicizzato o che fino ad ora non si era mai schierato ha sentito la necessità di dare un segnale più grande. L’abbiamo vissuto come un evento che si è verificato naturalmente, quasi non c’è stata un’organizzazione».

Anche perché le risposte arrivate dalle Istituzioni sono state palesemente ambigue o di supporto alle azioni delle Forze dell’Ordine: dalle parole di Meloni in Senato, al ministro dell’Interno Piantedosi che ha negato le manganellate e detto che «la polizia ha impedito l’assalto a una manifestazione autorizzata». Fino i commenti della ministra dell’Università Bernini per cui: «La libertà di parola non è una strada a senso unico. Chi inibisce la manifestazione del pensiero altrui non comunica, prevarica» e della rettrice della Sapienza Polimeni che ha condannato la violenza. Senza specificare, neppure nella nota inviata agli studenti, quale violenza stia disapprovando. Ma chiarendo che l’ingresso della Polizia all'interno dell’ateneo è stato deciso dalla Questura di Roma per garantire l’ordine pubblico. Non da lei, come molti manifestanti avevano dichiarato.

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