Creatività e fake news. Dall’arte ai media ecco le immagini che nascono dal nulla

Programmi accessibili consentono di generare video rappresentando realtà inesistenti. Bastano poche istruzioni e il computer genera volti e situazioni. Una frontiera non esente da rischi di manipolazione

Si entra in una stanza ed è come entrare in un sogno. Un pavimento di specchi le dà i tratti di un limbo, un “non luogo” avvolgente. Si sente la voce di un bambino che parla con la madre e immagini si materializzano sulle pareti. Un’automobile, un lampo di luci, poi pezzi di lamiere che volano. Insieme a loro, una fanciulla. Tutto alla fine rimane immobile, fino a cancellarsi. Appare così un’installazione (Distrust Everything) esposta in molti musei nel mondo (tra cui la Biennale di Venezia, Ars Electronica di Linz e la Triennale di Milano).

 

«Dialoghi, immagini e sceneggiatura sono state create con l’intelligenza artificiale», come spiega l’autore Francesco D’Abbraccio. Lui la chiama «arte generativa» e ne riconosce il valore di supporto al gesto artistico, creativo.

L’intelligenza artificiale che crea immagini, persino video in base alle indicazioni date dai suoi utilizzatori è un fenomeno esploso quest’anno. Perché questi strumenti solo ora sono usciti dai laboratori di ricerca per entrare nelle nostre case e uffici. Adesso chiunque può usarli, anche gratis, per creare immagini originali su piattaforme come Dall-E 2 di OpenAi (Microsoft il principale investitore), MidJourney, StableDiffusion. Meta (l’azienda che possiede Facebook, Instagram, Whatsapp) da poco ha mostrato il primo sistema per creare anche video con intelligenza artificiale.

 

La tecnologia è simile a quella che già da qualche anno è usata per il supporto alla creazione di testi o musica, con algoritmi; ma per le caratteristiche dei contenuti visivi generati può avere effetti ancora più dirompenti. Sul modo in cui si fa arte, certo; ma anche sul mercato del design, della pubblicità e sul sistema dell’informazione.

Con un impatto sul mercato del lavoro, per prima cosa, perché «sembra inevitabile che l’automazione, con strumenti sempre più semplici da usare, sostituirà il lavoro di basso livello, industriale e commerciale, di quelli che ora sono musicisti, artisti visivi e pubblicitari», dice Luciano Floridi, filosofo tra più autorevoli nel settore digitale (insegna all’università di Oxford e come ordinario a Bologna).

 

Molti esperti evidenziano inoltre il rischio di una disinformazione di massa se chiunque può creare immagini realistiche con contenuti di fantasia, mostrando ad esempio attacchi terroristici mai avvenuti. Un problema trattato soprattutto dai ricercatori del Mit di Boston e, da noi, indagato da sociologi come Davide Bennato (università di Catania), Mario Morcellini (Sapienza di Roma, ex consigliere dell’Autorità garante delle comunicazioni dove ha affrontato il problema delle fake news) e Nicola Strizzolo (università di Teramo).

 

 

A rischio, notano, è la fiducia in una narrazione comune, base di qualunque progetto sociale, se diventa così facile creare immagini false, poi diffuse su media e da politici per affermare tesi e lanciare allarmi. Si arriva a smettere di credere a qualsiasi evidenza, insomma; come già adesso molti elettori americani credono che il voto presidenziale del 2020 sia stato rubato.

 

 

Ed è davvero facile creare immagini originali in questo modo, da quando – a settembre 2022 – OpenAi ha reso il sistema aperto a tutti, con 15 utilizzi gratuiti ogni mese (si paga per quantità maggiori e usi più sofisticati).

Basta scrivere in inglese una frase descrittiva a piacere e il sistema la “traduce” in alcune immagini generate in automatico (e, volendo, si può anche usare un altro sistema di intelligenza artificiale, come Deepl.com, per avere una traduzione automatica dall’italiano). Abbiamo provato con «un politico italiano che grida sulla minaccia di una invasione di immigrati dall’Africa tramite navi di Ong». Ci sono apparsi uomini e donne in giacca, con il megafono; visi a volte italiani a volte – curiosa coincidenza – con tratti nord-africani. Quasi sempre un mare sullo sfondo e abbozzi di navi.

 

 

Attenzione: si potrebbe pensare che sono immagini create mescolando foto trovate su Internet. No: il sistema genera davvero immagini inedite. I volti non appartengono a nessuna persona reale. Come ha fatto l’intelligenza artificiale a capire che aspetto avrebbero un politico italiano e una nave? I programmatori hanno addestrato il sistema con centinaia di milioni di foto dotate di didascalie scritte a mano da un esercito di lavoratori (spesso in Paesi poveri, per meno di due dollari l’ora). L’intelligenza artificiale le decostruisce con un processo matematico e così poi aggrega un ammasso di pixel che, sulla base di quanto ha appreso, ha una probabilità abbastanza alta di assomigliare a ciò che l’utente le ha richiesto.

Gli artisti, com’è capitato spesso nella storia, si sono seduti in prima fila a sperimentare le potenzialità dei nuovi sistemi, «un po’ com’è capitato con l’arrivo della pittura a olio. Una trasformazione tecnologica che ha impattato su stili e gusto artistico», dice Floridi. Per fare Distrust Everything, l’intelligenza artificiale è stata addestrata dagli autori con vent’anni di descrizioni testuali dei sogni di Jack Hardiker, collaboratore di D’Abbraccio. Ha perso la madre da bambino, in un incidente d’auto. Altri sistemi artificiali sono serviti per realizzare le sceneggiature e i dialoghi, in base alle indicazioni dell’artista, che comunque ha compiuto selezioni di quanto prodotto e scelte di regia.

 

«I sistemi generativi fanno emergere elementi inaspettati e causano meraviglia nello stesso artista, costringendolo a un cambiamento del proprio punto di vista», dice D’Abbraccio. «Qualunque tecnologia si inserisce in modo forte nella costruzione di ogni opera; il medium entra nel messaggio», aggiunge.

D’Abbraccio è uno dei maggiori esponenti di questa nuova tendenza artistica, secondo Giulio Lughi, professore di Teorie e tecniche dei nuovi media all’università di Torino, il quale cita anche “Emissaries”, di Ian Cheng, esposto tra l’altro al MoMa di New York. «Un video dove elementi di flora e fauna generati graficamente al computer interagiscono tra loro, si modificano e ricombinano in un flusso narrativo senza fine, guidati da sistemi logici complessi e modelli multipli interconnessi di intelligenza artificiale». Oppure «il progetto Kórsafn della cantante Björk, in collaborazione con Microsoft: un algoritmo registra tutte le variazioni nel cielo di New York associando in tempo reale alle variazioni atmosferiche il mix degli arrangiamenti corali di Björk. Genera così una ininterrotta e sempre diversa colonna sonora del panorama atmosferico newyorkese».

 

Ma, a un livello più commerciale, l’intelligenza artificiale è sempre più usata anche da designer e da agenzie pubblicitarie, adesso perlopiù per avere idee e spunti creativi; ma, per lavori di più basso livello, c’è già qualche imprenditore che preferisce risparmiare rivolgendosi a Dall-E 2 invece di assumere un grafico, come nota un’indagine recente del New York Times. Qualche settimana fa ha espresso preoccupazione anche un noto illustratore fantasy come Rj Palmer, quando ha visto le immagini generate, in questo modo, proprio per riprodurre il suo stile.

 

 

Sì, i risultati sono ancora piuttosto imprecisi, soprattutto con questi sistemi pre-addestrati e pronti all’uso, disponibili a tutti. I volti e le mani hanno spesso deformazioni che ne denunciano la falsità. Allo stesso modo, anche a occhio nudo risultava falso il video con Zelensky che chiedeva di deporre le armi. Generato probabilmente dai russi, con intelligenza artificiale, qualche mese fa e circolato sui social a scopo di disinformazione. Sembra inevitabile però che «la tecnologia continuerà a migliorare, ponendo sfide importanti alla società contemporanea», dice Bennato. OpenAi ora ha filtri contro la possibilità di creare immagini dannose, ma altri sistemi (come StableDiffusion) sono configurabili senza limiti. Tra l’altro, dovrà riposizionarsi il mestiere del creativo (visivo, musicale, testuale, qui compresi i giornalisti). «Le conseguenze vanno da un’esplosione creativa collettiva, favorita da questi strumenti, al rischio di un certo appiattimento culturale. Ma al momento ancora troppo presto per dirlo».

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