La corruzione non si arresta. Nuovi processi riempiono sempre di più le aule giudiziarie, con gli imputati e le inchieste a dimostrare ancora una volta che le mazzette sono un’arma utilizzata dalle mafie per questo loro business “silenzioso”. La tangente, a distanza di trent’anni da Mani Pulite, viaggia ancora nei palazzi e negli uffici pubblici provocando contraccolpi negativi alla società che riceve servizi sempre più scadenti, opere pubbliche che non vedono quasi mai la conclusione dei lavori, al contrario della lievitazione dei costi. Ma emerge ancor di più come impiegati pubblici, dirigenti ministeriali, politici, uomini delle forze dell’ordine, si piegano davanti a piccole somme, buttando via la loro dignità professionale per “un piatto di lenticchie”. Ecco, rispetto a trent’anni fa, le tangenti non hanno più le stesse dimensioni di importo, sono diminuite, ma più diffuse. Questo sistema avvantaggia chi non ha le carte in regola per stare sul mercato, e favorisce la criminalità organizzata che mette sempre più spesso in campo le proprie imprese, con il marcio dentro, che finiscono per controllare appalti anche nella sanità e negli enti locali comunali e regionali.
Lo spiega bene il procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, nella sua relazione per l’apertura dell’anno giudiziario. «Non v’è dubbio che una valida strategia di contrasto delle associazioni delinquenziali deve incidere proprio sulle basi economiche del crimine organizzato, e cioè su quella vastissima rete di beni e rapporti economici destinati all’accrescimento e al consolidamento dei poteri criminali. Va affrontata e contrastata, cioè, ogni forma di inquinamento dell’economia prodotta dall’intreccio tra criminalità organizzata e attività imprenditoriali, compresi i sempre più ricorrenti fenomeni di interposizione fittizia».
Viola sottolinea che oggi «a questi fini un ruolo fondamentale dev’essere svolto proprio dagli imprenditori, che devono divenire parte attiva nella difesa di un’economia sana e nella prevenzione delle infiltrazioni mafiose nel territorio, avendo chiaro che la scorciatoia dell’illegalità non porta da nessuna parte, finisce con il danneggiare le stesse aziende che si lasciano tentare dall’illegalità e indebolisce l’intero sistema, che perde in competitività e in sicurezza».
Il punto fondamentale per il magistrato è che non deve essere «trascurato il fatto che l’incontro e l’intesa fra imprenditoria e interessi mafiosi genera corruzione, strumentale ad ottenere autorizzazioni ed evitare controlli, innescando un circolo vizioso che rischia di essere letale per l’intero Paese».
Lo spiega bene Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione che fa riferimento ai dati statistici che danno atto «dell’abbandono della violenza esercitata, non solo dunque implicita, a favore di metodologie meno appariscenti ma più efficaci nell’attuale contesto». Gli omicidi nel 2021 sono stati 295, un dato che ci colloca nel gradino più basso, o forse dovremmo dire più alto, del rapporto tra popolazione e omicidi in Europa e nel mondo. Va notato, poi, che la percentuale dei delitti accertati come di origine mafiosa è scesa dal 33 per cento degli anni Novanta a meno del nove per cento attuale. «Scelte strategiche, certamente, ma che per la loro diffusione generalizzata, con la sola eccezione di mafie nascenti o costituite da bande, indica che si tratta in realtà di scelte imposte innanzitutto dalla capacità di indagine e dal buon funzionamento del sistema repressivo, in questo campo così come in quello del terrorismo», aggiunge Salvi, la cui analisi permette di spiegare la corruzione dei nostri tempi: «L’abbandono del metodo violento privilegia l’instaurazione di rapporti corruttivi con le istituzioni politiche e amministrative, nelle professioni e nell’imprenditoria. Ciò porta, tra l’altro, alla riduzione dell’apporto dichiarativo dei soggetti venuti a contatto con l’organizzazione, sempre più spesso non persone offese, ma politici ed imprenditori che da quei rapporti traggono utilità, in termini economici e comunque sul piano del consenso elettorale». Per il pg della Cassazione questa «situazione riguarda la maggior parte delle organizzazioni criminali. L’approccio corruttivo e di cointeressenza è stato accertato originariamente da indagini relative all’imprenditoria del nord Italia, ma può dirsi ormai connotare anche il meridione e in particolare il territorio calabrese». Come si sviluppa? «Si tratta di quel sistema perverso organizzazione criminale-politica-lavoro-consenso, che consente all’organizzazione mafiosa di mantenere, soprattutto in taluni contesti territoriali, non solo calabresi o meridionali (le indagini delle Direzioni distrettuali antimafia del nord hanno disvelato situazioni analoghe in comuni lombardi, liguri ed emiliani) il controllo di larghe fette del voto e, dunque, l’elezione di politici di riferimento, grazie ai quali si ottengono appalti e servizi pubblici, nei cui contesti si garantisce lavoro e si alimenta, dunque, il suddetto controllo del consenso».
A tutto ciò si aggiunge la rilevante infiltrazione della corruzione nelle strutture sanitarie pubbliche, che costituiscono un’importante fonte di proventi illeciti e al contempo di controllo e formazione del consenso politico. Consenso che porta al controllo di intere amministrazioni locali. «La pericolosità di tali relazioni può essere adeguatamente apprezzata se si considera che le amministrazioni locali sono state finora, in un perdurante periodo di forte contrazione dei grandi investimenti pubblici, il principale centro di imputazione della spesa pubblica. Basti pensare al tema del traffico di rifiuti. La spesa pubblica può essere considerata la seconda fonte di guadagni illeciti dopo il traffico di stupefacenti» sottolinea Salvi, al quale fanno eco le affermazioni di Marcello Viola: «Il nesso tra criminalità organizzata di qualsivoglia natura e corruzione è diretto e stringente, in quanto le organizzazioni mafiose ricorrono sempre più frequentemente, nei confronti dei colletti bianchi, all’uso di mezzi corruttivi anziché ai tradizionali metodi di intimidazione e di violenza».
L’esistenza di una rilevante dimensione della corruzione nel distretto di Firenze è dimostrata dall’avvio di alcuni procedimenti giudiziari. Ne fa cenno Viola: «Il procuratore della Repubblica di Firenze ha evidenziato alcune importanti indagini in materia di gare pubbliche e di concorsi universitari, che hanno avuto grande impatto sul lavoro dell’ufficio. Ha altresì menzionato l’indagine relativa ad ipotesi di illecito finanziamento di partiti politici e di corruzione che ha coinvolto una fondazione operante in Firenze (l’inchiesta sulla Fondazione Open di Matteo Renzi, ndr), in ipotesi d’accusa ritenuta agire quale articolazione di un partito politico». E poi fa riferimento ad altre inchieste aperte nel suo distretto. Per il procuratore generale «il fatto più grave è che non si tratta di occasionali ed episodiche violazioni della legge penale, ma di un vero e proprio sistema, di una sorta di connotazione occulta e permanente del nostro sistema sociale, che dimostra quanto poco radicato sia il rispetto delle regole, quanto inefficace sia lo stesso processo penale, da solo, per porre un limite alla corruzione, il cui unico argine può essere individuato in un’azione comune e costante sul piano della crescita culturale e dell’etica collettiva».
Ciò che preoccupa «a fronte della mera valutazione del freddo dato statistico, è la sensazione di crescente sfiducia da parte dei cittadini rispetto alla capacità di contrastare con serietà e concretezza il fenomeno corruttivo, insieme al prevalere di un sentimento di pessimistica accettazione, non di rado determinato anche da paura delle conseguenze negative nei riguardi di chi potrebbe denunciare specifici episodi, ovvero addirittura alla palese insofferenza rispetto al dovere di osservanza delle più elementari regole di legalità e di buona amministrazione, sovente viste come un impedimento rispetto al normale svolgersi di attività economiche e imprenditoriali».
Oltre alla prevenzione e alla repressione penale, per una efficace azione di contrasto alla corruzione è indispensabile una presa di coscienza della sua pericolosità e del danno che crea a tutti i cittadini.
«La lentezza del sistema giudiziario e la presenza di fenomeni corruttivi non possono più essere tollerati, perché offuscano il valore intrinseco della giustizia: hanno, infatti, un comprovato impatto negativo sia sull’economia italiana, sia sul benessere dei cittadini» afferma Giuseppe Ondei, presidente della corte d’appello di Milano.
I processi per reati di corruzione nel distretto di Milano sono in aumento. Inchieste che mettono in evidenza fenomeni criminali pericolosi «in quanto ingenerano sfiducia nelle istituzioni, inquinano il rapporto fra amministrati e governanti e alterano la concorrenza fra gli operatori del mercato» dice Ondei. Tutto il distretto di Milano ha riportato dati elevati, sintomatici del fatto che il contrasto ai fenomeni corruttivi (dopo quello contro il traffico di droga), costituisce la materia di maggiore impegno per investigatori e inquirenti.
Fra i dati analizzati dalla Corte d’Appello presieduta da Ondei spiccano le alte percentuali dei procedimenti di corruzione nei circondari di Busto Arsizio e Varese, interessati dall’aeroporto di Malpensa e dal suo indotto. Ci sono anche quelli dei circondari di Milano e Monza che sono influenzati dal fatto che si tratta di aree di grande attrattività per capitali, nazionali e stranieri.
Le alte percentuali dei tribunali di Lecco e Sondrio evidenziano che si tratta di zone in cui l’attività economica, peraltro ancora florida, deve fare molto spesso i conti con le organizzazioni criminali. «Organizzazioni che molto spesso puntano ad eleggere i loro uomini negli enti locali e a sfruttare il loro potere di influenza per l’ottenimento di appalti e la gestione di servizi pubblici: ne fanno testo i processi che in questi ultimi vent’anni, con cadenza ricorrente, hanno riguardato l’attività di una nota cosca criminale della ‘ndrangheta fra Brianza e Lecchese».
Negli ultimi anni il forum di “The European House – Ambrosetti” ha messo ripetutamente in luce come due siano le cause principali del gap del Paese: la corruzione e i ritardi della giustizia che incidono sul Pil e costano all’Italia parecchi miliardi di euro all’anno.
«La corruzione incide negativamente anche sulle prospettive di sviluppo, poiché allontana gli investimenti esteri e vale quanto una manovra finanziaria di media portata». aggiunge il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, il quale ricorda che «Paolo Borsellino definì la corruzione come l’anticamera della mafia, con ciò riferendosi esplicitamente al fatto che “oggi, se un boss mafioso intende riciclare o investire al nord capitali di provenienza illecita non può che rivolgersi a politici o amministratori corrotti”». E se è vero che le aree più ricche del Paese attirano maggiormente forme di criminalità organizzata, il vero elemento che prepara e propizia l’intervento criminale è la corruzione, laddove non sia più fatto episodico e circoscritto, ma condotta elevata a sistema di vita politica e amministrativa.
«La delega della politica alla magistratura per il contrasto alla corruzione è stata totale, pari solo a quella conferita per il contrasto al terrorismo negli anni Settanta», sottolinea il presidente della Corte d’Appello di Bari, Franco Cassano. Ai politici spetta adesso il compito di entrare in campo dimostrando come si rispettano le regole. A cominciare dall’anticorruzione. Perché c’è bisogno di buoni esempi per non essere corrotti.