Battaglie

La battaglia di Genova contro lo spostamento dei depositi chimici

di Erica Manna   12 settembre 2022

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Il sindaco del capoluogo ligure vuole spostare gli impianti di stoccaggio da Multedo a Sampierdarena. Ma i residenti insorgono per i pericoli sulla sicurezza e i sindacati temono un enorme danno occupazionale

C’è una bomba sociale innescata, al centro del primo porto italiano. Sulla quale pendono un esposto alla Procura, quattro ricorsi al Tar e il parere del Consiglio nazionale dei lavori pubblici, che ancora non si è espresso. «Una mina vera e propria, altro che metafore: materiali corrosivi e infiammabili a trecento metri dalle case», secondo gli abitanti del quartiere di Sampierdarena scesi in piazza per chiedere al sindaco di fare marcia indietro. Di sicuro, per i sindacati Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uil Trasporti Liguria, sarà un’ecatombe lavorativa: calcolata in almeno 10 mila chiamate in meno per la Compagnia unica - perché le navi non potranno più accostare a quelle banchine - con perdite indirette esponenziali.

 

La battaglia sui depositi chimici, a Genova, è appena iniziata: il Comune, guidato dall’amministrazione di centrodestra del sindaco Marco Bucci, fresco di riconferma, ha deciso di trasferire lo stoccaggio di prodotti solventi e vinilici per l’industria chimica delle aziende Carmagnani e Superba dal quartiere di Multedo a Ponte Somalia. Settantacinque serbatoi su 77 mila metri quadrati: nel porto che genera 54 mila occupati in Liguria, 122 mila a livello nazionale e impegna quasi 3.200 lavoratori in banchina. Con alle spalle un quartiere, Sampierdarena, che con i suoi 50 mila abitanti è il più popoloso della città, ha visto in vent’anni dimezzare il valore a metro quadro delle case e il reddito medio è tra i 18 e i 19 mila euro: il prezzo pagato alla servitù industriale e, ora, alla vicinanza con l’area del ponte Morandi crollato quattro anni fa. Con la beffa che il nuovo polo chimico potrebbe essere realizzato proprio con 30 milioni di euro del Decreto Genova: fondi stanziati dal governo Conte per risollevare l’economia delle zone più colpite.

 

È dal 1987 che si discute della necessità di spostare i depositi di Carmagnani e Superba che contengono sostanze liquide infiammabili come glicoli, metanolo, solventi idrocarburici, acetone, soda caustica, biodiesel e oli vegetali. Il Dipartimento di scienze politiche e internazionali dell’Università di Genova, in accordo con l’Autorità portuale, aveva condotto nei mesi scorsi incontri e interviste sul tema della rilocalizzazione: un percorso pubblico che ha coinvolto municipi, cittadini e sindacati. Ma le quattro soluzioni ipotizzate - ex carbonile Enel, terminal Messina, banchina Ansaldo e Diga foranea - non comprendevano Ponte Somalia: progetto che si è concretizzato a incontri già conclusi. «Uno scempio che non permetteremo. Dovranno passare sul nostro corpo».

ANSA

Quella dei depositi chimici è «la battaglia della vita» per Gianfranco Angusti: da sempre in porto, prima come operaio dell’Ansaldo, poi sindacalista nazionale della Filt e oggi presidente del comitato Officine Sampierdarenesi, è diventato il simbolo della lotta, alla testa della manifestazione di piazza di aprile. «Noi siamo per l’opzione zero: è giusto spostare i depositi da Multedo, ma folle pensare di collocarli qui. Sampierdarena ha già pagato tanto, in quanto a servitù industriale, traffico, inquinamento: non permetteremo che diventi una cloaca».

 

La sfida si combatterà anche in tribunale. Angusti, infatti, ha appena depositato un esposto alla Procura della Repubblica che porta in calce la sua firma. Per «alterazione documentale»: perché nella relazione inviata dall’Autorità portuale al Consiglio superiore dei lavori pubblici che si pronuncerà al riguardo è stato omesso il no della commissione consultiva, l’organismo di garanzia partecipato da aziende, enti locali e sindacati. Che ha bocciato il piano, con dodici voti a tre. «Il parere della commissione – precisa Angusti – non è vincolante: ma certo non basta solo accennare che è stata sentita: avevano il dovere di relazionare sulla bocciatura».

 

I dubbi non sono solo degli abitanti: oltre a quello presentato dal comitato e dal municipio, ci sono anche tre ricorsi alla giustizia amministrativa dei terminalisti. A essersi rivolto al Tar infatti è stato Beppe Costa, seguito dal gruppo Grimaldi, primo armatore italiano, ed Ettore Campostano del gruppo omonimo. Ad oggi, infatti, le navi Grimaldi operano a Ponte Somalia al terminal San Giorgio di proprietà del gruppo Gavio: il timore dell’armatore è che lo spostamento causi danni al traffico portuale.

 

Campostano controlla invece il terminal Forest, che si trova sempre sulla banchina del Somalia: se il trasferimento avvenisse, dovrebbe traslocare la propria attività altrove. Ad aver espresso forti perplessità c’è anche Enac, l’autorità che regola l’aviazione civile: perché il sito in questione si trova vicino all’aeroporto, e una porzione rientra all’interno del cono aereo. Dunque, in caso di incidente, si rischierebbe la catastrofe.

 

E poi c’è tutta la partita del lavoro: le promesse di investimenti da parte di Carmagnani e Superba da un lato e, dall’altro, le proiezioni fosche dei sindacati. «Non accetteremo mai un’operazione che porti a un saldo negativo dell’occupazione», è l’allarme unitario di Cgil, Cisl e Uil, lanciato a Roma durante l’audizione del 26 aprile alla commissione trasporti alla Camera. «Qui, nel primo porto italiano, si contano 4.400 addetti occupati nell’intero sistema – spiega Enrico Poggi, segretario di Filt-Cgil – e Ponte Somalia è un punto ad alta concentrazione. La nostra preoccupazione, oltre alle questioni ambientali e di sicurezza, è che l’effetto sia una drastica riduzione degli accosti nave: nel 2021 sono stati 270, solo dalla parte del Somalia. Di questi, il 41 per cento era costituito da traghetti, principalmente Grimaldi. Il calo di lavoro potrebbe essere drammatico: calcoliamo 10 mila chiamate in meno per la Compagnia unica dei portuali. E poi, ci sono 110 dipendenti al terminal San Giorgio, e sulla stessa area insiste anche il terminal Forest, che di fatto verrebbe cancellato. Con un effetto a catena sull’indotto a livello locale. E nazionale». Anche il nodo della sicurezza spaventa. «Cosa succederebbe se un fulmine cadesse su un bidone di sostanze infiammabili e corrosive? – continua Poggi – senza contare che qualsiasi emergenza, anche una piccola perdita, finirebbe per bloccare tutto lo scalo».

 

Dall’altro versante della barricata, è proprio sul tema della strategicità dell’operazione che puntano le aziende Carmagnani e Superba. «Non siamo un petrolchimico: siamo un deposito chimico, è ben diverso. I nostri dati Inail sugli incidenti sono paragonabili a quelli del settore bancario – rassicurava Alessandro Gentile, amministratore delegato di Superba srl, nel corso dell’audizione alla Camera – movimentiamo e stocchiamo prodotti per la stampa e le cartiere, per la detergenza, destinati al triangolo industriale del Nord ovest. Ma non li lavoriamo, per cui il rischio è minore. Investiremo 50 milioni di euro di capitali privati in strutture fisse inamovibili, creeremo occupazione. Dunque non ci stiamo a sentir parlare di servitù del quartiere».

 

Quanto alla sicurezza, «la formazione dei nostri dipendenti è eccellente: ogni anno gliela rifacciamo quattro volte». «Mettetevi nelle nostre scarpe – rincarava Emilio Carmagnani, direttore generale della Attilio Carmagnani “A.C.” spa, azienda radicata a Genova dal 1904 che fattura 30 milioni di euro all’anno con quaranta addetti altamente specializzati – la maggiore difficoltà è l’incertezza nel pianificare gli investimenti: gestiamo un impianto nell’imminenza di un trasloco che invece è atteso da anni. Non si parla abbastanza della strategicità di una struttura come la nostra: dialoghiamo con grandi aziende che cercano spazi, hanno bisogno di capacità di stoccaggio. Quanto al tema della sostenibilità, teniamo conto che per i nostri clienti l’alternativa sarebbe far arrivare navi dal Nord Europa che sbarcano ad Anversa, ad Amsterdam, e poi trasportare il carico fin qui su gomma».

 

Un altro nodo riguarda la Diga foranea. Perché c’è un’ordinanza della Capitaneria di Porto tutt’ora in vigore, la 32 del 2001, che vieta navigabilità, accosto e scarico nel canale di calma. Per rendere possibile il progetto, dovrebbe essere stralciata. «In fase di autorizzazione – ha risposto il presidente dell’Autorità Portuale Paolo Signorini incalzato in commissione – si valuteranno eventuali decisioni dell’autorità marittima sul suo superamento». Quanto all’area di Ponte Somalia che interferisce con il cono aereo, in quel punto – ha rassicurato Signorini – «saranno realizzati depositi per prodotti non infiammabili e non ormeggeranno chimichiere».

 

Signorini appare fiducioso sul via libera: «Il progetto definitivo sarà compatibile con le attività portuali, e il comitato tecnico regionale svolgerà controlli con riferimento alla direttiva Seveso». Intanto Sampierdarena aspetta il verdetto della commissione lavori pubblici, che era atteso alla fine luglio. E si prepara a scendere ancora in piazza. «Mi incatenerò, se necessario», giura Gianfranco Angusti. Lo striscione alla testa della manifestazione scandiva: «Non siamo una Genova di serie B». «Dire che non c’è rischio significa mentire – riflette Pietro Pero, presidente dell’associazione I Cercamemoria della locale biblioteca Gallino che tiene viva la storia del quartiere, sede delle dimore dove la nobiltà genovese andava in villeggiatura, ora stritolate dal cemento – siamo stufi di pagare il prezzo più alto delle trasformazioni della città».