Cop28, Onu: è compromesso su fossili ma è epocale e tiene conto Pvs
L'accordo raggiunto a Dubai alla Cop28 è «complessivamente un successo, perché è epocale, non abbiamo mai parlato di combustibili fossili nelle Cop. Ora dobbiamo fare la road map» e servono le risorse «per implementare questo processo». Così Luca Brusà dell'Agenzia Onu sui cambiamenti climatici ai microfoni di Rainews24. Il passaggio che prevede la «transizione" e non più l'uscita è comunque un «punto cruciale - afferma Brusà - il fatto che dovremmo ridurre le emissioni è chiaro, i fossili vengono mantenuti ma in modo più green e quindi l'uso di alternative anche con il nucleare e l'uso di nuove tecnologie come il carbon capture». Alla domanda se la 'chiamata a farlo' indebolisce l'accordo, il rappresentante Onu risponde: «Per molti Paesi lo indebolisce ma tiene anche conto delle esigenze dei Paesi in via di sviluppo, non si può fare un completo face out perché ci sono paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di combustibili fossili».
Per la presidente della Commissione Ue von der Leyen «è di portata storica: abbiamo proposto un impegno globale per triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. 130 paesi si sono immediatamente uniti a noi. E ora il mondo intero ha approvato i nostri obiettivi nella dichiarazione finale. Questo è un punto di svolta globale. Per la prima volta il mondo si sta impegnando ad abbandonare i combustibili fossili. Per la prima volta esiste un fondo per perdite e danni a sostegno dei paesi più vulnerabili. È l'inizio di una nuova era. L'era post-fossile». Sulla stessa linea il ministro italiano dell'Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin: «Sulle fonti fossili abbiamo cercato un punto di caduta più ambizioso, ma nell'intesa c'è un chiaro messaggio di accelerazione verso il loro progressivo abbandono, riconoscendone il ruolo transitorio: abbiamo per la prima volta un linguaggio comune sulla fuoriuscita dai combustibili fossili, per le emissioni zero nette al 2050»
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Zelensky trova muro repubblicano. Biden, regalo a Putin
«È una questione di vita o di morte per l'Ucraina e i tempi sono cruciali»: questo il messaggio che Volodymr Zelensky ha portato prima al Congresso e poi alla Casa Bianca per sostenere il pacchetto di nuovi aiuti americani nella sua terza visita a Washington dall'inizio dell'invasione russa. Una visita ben diversa da quella di un anno fa, quando fu accolto come un eroe, invitato a parlare a camere riunite e 'premiato' con altri 50 miliardi di dollari di aiuti. Martedì Zelensky è stato accolto senza fanfare e non ha rilasciato alcuna dichiarazione al Campidoglio né alla folla di reporter che lo inseguivano, riservando le sue parole alla conferenza stampa con Joe Biden dopo l'incontro nello studio Ovale.
Il leader ucraino ha assicurato di aver ricevuto dal Congresso «segnali più che positivi», precisando però di attendere risultati concreti, e ha invitato gli Usa e i suoi alleati a mandare "un segnale forte della nostra unità alla Russia entro fine anno», ribadendo la sua fiducia nella vittoria e la contrarietà a cedere territori «ai terroristi». Biden, dal canto suo, ha annunciato di aver firmato intanto un nuovo pacchetto di aiuti da 200 milioni di dollari e ha promesso che gli Stati Uniti non abbandoneranno Kiev, come spera Putin. Quindi ha rilanciato il suo appello al Congresso perché trovi un "compromesso" e approvi i nuovi fondi bloccati «da una minoranza di repubblicani" che stanno facendo «un regalo di Natale» a Putin, come dimostra l'esultanza della propaganda russa che li ha "celebrati".
A Washington il presidente ucraino ha toccato con mano che la salvezza dell'Ucraina passa dal Messico ma ha trovato un muro di resistenza tra i repubblicani, decisi a legare il loro ok ai nuovi fondi (oltre 60 miliardi dopo i 111 miliardi già concessi) a due punti irrinunciabili: un giro di vite a protezione del confine col Messico, rafforzando le misure anti immigrazione con espulsioni rapide e criteri più severi per l'asilo (cui i dem sono contrari) e avere lumi su quale sia la strategia finale, «l'end-game» per usare le parole dello speaker repubblicano Mike Johnson. Evocando l'eredità della sfida contro Mosca, il leader ucraino ha argomentato che aiutare Kiev a combattere è nell'interesse nazionale americano e un modo per rafforzare l'Europa orientale contro l'aggressione russa. «Conto ancora su di voi», ha detto, dopo aver avvisato che «quando il mondo libero esita, le dittature esultano» e che i ritardi negli aiuti fanno il gioco del Cremlino. Che nel frattempo si è detto certo che dall'incontro non uscirà nulla che possa «cambiare la situazione sul campo di battaglia». I leader repubblicani al Senato e alla Camera sono stati irremovibili, pur precisando che non si tratta di una questione personale e che restano al suo fianco: «La priorità della sicurezza nazionale è difendere il confine Usa», hanno concordato, cavalcando i sondaggi d'opinione dopo le ondate migratorie record. Ora la palla torna alla Casa Bianca e al Senato, ha spiegato Johnson, ricordando che la Camera ha già approvato una legge sull'immigrazione, che i dem non hanno votato perché troppo draconiana. Impossibile una svolta entro fine anno, quando finiranno i fondi a disposizione: a giorni il Congresso va in vacanza per tre settimane. Se ne riparla a inizio 2024, a meno che Joe Biden non decida di finanziare provvisoriamente Kiev a spese dell'esercito Usa.
Medio Oriente: Assemblea generale Onu chiede cessate il fuoco immediato, favorevoli 153 Paesi
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione che sollecita una cessazione immediata delle ostilità nella Striscia di Gaza per far fronte alla gravissima crisi umanitaria in atto in quel territorio. Hanno sostenuto la risoluzione 153 Paesi, che hanno assunto una posizione opposta a quella degli Stati Uniti, contrari a un cessate il fuoco sino alla completa sconfitta militare dell'organizzazione islamista palestinese Hamas. Hanno votato contro la risoluzione 10 Paesi, mentre 23 si sono astenuti. Il voto dell'Assemblea Generale è significativo sul piano politico, ma non è vincolante, contrariamente alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
La scorsa settimana, proprio al Consiglio di sicurezza, gli Stati Uniti hanno opposto il veto a una risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza, che era stata approvata dalla maggioranza dei 15 membri del consesso. La breve risoluzione approvata ieri dall'Assemblea generale chiede un cessate il fuoco, il rispetto da parte di tutte le parti del diritto internazionale e l'accesso umanitario agli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, nonché il loro rilascio «immediato e incondizionato». Il documento contiene un linguaggio più forte rispetto a quello votato dall'Assemblea lo scorso ottobre, che chiedeva invece una "tregua umanitaria sostenuta».
Il Papa ha preparato la sua tomba a Santa Maria Maggiore
In un'intervista esclusiva con l'emittente messicana N+, Papa Francesco «ha rivelato di aver preparato la sua tomba nella Basilica di Santa Maria Maggiore per la grande devozione che ha verso la Vergine Salus Populi Romani e che sta semplificando il rito dei funerali papali". Lo rende noto su X la giornalista Valentina Alazraki, che ha realizzato l'intervista. Secondo il resoconto della Alazraki, il pontefice ha spiegato che «quando arrivano la vecchiaia e i limiti bisogna prepararsi" e «per questo ha incontrato il cerimoniere per semplificare i funerali papali, che saranno molto più semplici. Lancerò il nuovo rituale", ha detto «con umorismo" Papa Francesco, scrive ancora la corrispondente messicana in Vaticano.
Meloni su Draghi: politica estera non si fa con le foto
Non voleva essere un attacco a Mario Draghi bensì al Pd, assicura subito dopo. Ma quando il partito di Elly Schlein prova a sbandierare l'immagine dell'ex premier sul treno per Kiev con Olaf Scholz ed Emmanuel Macron per metterla in difficoltà, Giorgia Meloni chiarisce che la sua politica estera non può risolversi nella triangolazione Roma-Berlino-Parigi, come nella foto del «grande gesto da statista del mio predecessore". «Per alcuni la politica estera è stata farsi foto con Francia e Germania quando non si portava a casa niente. L'Europa non è a tre ma a 27, bisogna parlare con tutti: io parlo con Germania, Francia e pure con l'Ungheria, questo è fare bene il mio mestiere", rivendica alla vigilia della sua sfida politica più delicata, quella che si gioca in settimana sul Patto di stabilità. «Preferisco essere accusata di essere isolata - dice - piuttosto che di svendere l'Italia, come è accaduto per anni". L'ultima bozza la "soddisfa", ma l'intesa non è chiusa. Inseguendo una difficile vittoria, intanto rivendica che la partita «è ancora aperta" solo «perché a Bruxelles tutti riconoscono che la posizione italiana è sostenuta da una politica di bilancio seria". La premier ha appena chiuso un incontro con i capigruppo di maggioranza sulla manovra, chiedendo di procedere spediti e frenando il pressing sul superbonus, e in Aula dedica ai negoziati sulla governance finanziaria europea gran parte delle sue comunicazioni.
In 35 minuti Meloni non cita mai il Mes, argomento che, però, qualche ora dopo infiamma la sua replica alle opposizioni quando, di fronte alle proteste del centrosinistra, quasi sfida gli altri leader: «Non siate nervosi, ci sono le dichiarazioni di voto, spero che qualcuno risponda". Schlein lo fa pronunciando la frase risuonata l'altra sera alla Scala: «Viva l'Italia antifascista, sentite come suona bene, consiglierei di pronunciarla insieme a noi anche a Meloni, Delmastro e Salvini".
Giuseppe Conte invece ribattendo all'accusa di aver dato l'assenso alla modifica del trattato di modifica del Mes «un giorno dopo essersi dimesso, con il favore delle tenebre", come ripete due volte la premier, quasi sbattendo il microfono a fine intervento. «Meloni quando parla di Mes diventa paonazza, si agita. Forse perché è stato introdotto con un disegno di legge approvato nel 2011 con il governo Berlusconi e lei ministro?", replica il leader M5s, accusando il governo di «degrado istituzionale" e ricordando che il suo assenso al Mes era sostenuto da una risoluzione parlamentare del dicembre 2020: «La ratifica la decida lei, di cosa ha paura? L'approva o non l'approva? Non ci giri intorno".
Meloni ritiene di seguire «la volontà del Parlamento", da cui ha avuto il mandato a non aprire il capitolo Mes prima dell'esito della trattativa sul Patto. Con ogni probabilità se ne riparlerà nel 2024, con un nuovo slittamento giovedì alla Camera. In quelle ore la premier sarà a Bruxelles, per un Consiglio Ue che si annuncia lungo ma non per forza decisivo. Ci sarà un Ecofin la settimana prossima, se necessario. «Dobbiamo tenere aperte tutte le opzioni", dice. Incluso il veto, si può intendere. Perché «non sono disposta a dare il mio assenso a un Patto che, non questo governo, ma nessun governo potrebbe rispettare".
Sul tavolo del Consiglio anche l'allargamento dell'Ue. Sulla strada dell'Ucraina si è messo Viktor Orban. E quando la dem Lia Quartapelle la esorta a scegliere fra il leader ungherese e Volodymyr Zelensky, esce la replica al vetriolo che chiama in causa Draghi (nei giorni in cui il suo nome circola per un incarico Ue) e spinge a una rapida puntualizzazione: "lui non c'entra niente, anzi ho rispettato la sua fermezza di fronte alle difficoltà che aveva nella sua maggioranza". Meloni però non esclude che sulle posizioni di Orban "incida anche una rigidità della Commissione verso l'Ungheria, che non è la stessa dimostrata verso altri Paesi". Il principio di adeguare le regole di bilancio agli investimenti «va affermato stabilmente, non solo per la messa a terra del Pnrr", e sul Quadro finanziario pluriennale dell'Ue, aggiunge, serve «flessibilità" per bilanciare la competitività con Stati come la Germania che hanno più spazio fiscale. Se l'Italia ne ha meno, è anche per il «macigno" superbonus, ribadisce Meloni. E al M5s ricorda che «più del 30% delle decine di miliardi di euro spesi sono finiti a banche e intermediari finanziari, che anche per questo hanno realizzato profitti record".