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Cultura
aprile, 2007

Crazy disco

Era il 1977. A New York apriva il mitico Studio 54. E cominciava un'epoca

Si era appena fatta sera, a Manhattan, quando furono piazzate le prime transenne rivestite di velluto. Era una notte gelida quando, in 254W 54th street, tra la settima e l'ottava, cominciarono a sfilare personaggi eccentrici sotto una pensilina griffata e poi attraverso un vestibolo ricoperto di tappeti, delimitato da alberi di fico alti sei metri. Era il 26 aprile 1977 quando, a New York, apriva lo Studio 54. Sintesi perfetta tra le aspirazioni di coloro che sapevano di essere al centro del mondo -Andy Warhol, Bjorn Borg, Liza Minnelli, Paloma Picasso e Rudolf Nurejev- e coloro che quel mondo lo sognavano sei giorni alla settimana. Nel locale di Steve Rubell e Ian Schrager potevano per la prima volta ballare fianco a fianco principi ed idraulici ('princes and plumbers' per dirla con loro). Però si doveva mettere in conto di dover stare in coda per ore, davanti all'ingresso, senza avere la certezza di poter entrare. Lo Studio 54 fu la prima discoteca a fare selezione all'ingresso. I dieci dollari del biglietto non davano la certezza di entrare. Il gran capo dei buttafuori, Marc Benecke o il vice Al Corley (futura star di 'Dynasty'), decidevano se chi si presentava alla porta era abbastanza bello, trasgressivo o famoso per essere ammesso. Nessun gruppo doveva prevalere: l'ordine era di far entrare una quantità equilibrata di colored, travestiti, celebrità, gente normale, modelle, sballati, perfino anziani. Certo Truman Capote, Diane Von Fürstenberg, Margaux Hemingway, Brooke Shields e Mikhail Baryshnikov non avevano problemi, e nemmeno Disco Sally, avvocato ottimo ballerino di hustle, Potassa, travestito hispanico, Rollerina, stella dei pattini a rotelle e Angel Jack, drag queen di lusso. Tutti gli altri dovevano mettersi in fila. Barba non curata? A casa. Coordinato in poliestere? Addio. Lo scenario ironicamente descritto da 'Dario, Can You Get Me into Studio 54?', la canzone di Kid Creole and the Coconuts, di cui uscì anche una gettonatissima cover by Dana&Gene. Una notte fu rifiutato l'ingresso persino a Cher. La folla in coda era parte integrante della messinscena. Due sposini in viaggio di nozze si sentirono dire che solo lui poteva entrare: non ci pensò due volte a lasciarla fuori, e il peggio è che lei rimase ad aspettarlo fino all'alba. Due ragazze furono costrette a spogliarsi in pieno inverno, salvo poi essere ricoverate in ospedale, con i capezzoli congelati.

Dentro, ci si sentiva al settimo cielo. I 1.800 mq del club erano bombardati da uno spiegamento di 54 differenti effetti luce, fiamme di stoffa svolazzanti, strisce di alluminio ondeggianti, neon rotanti, luci stroboscopiche e riflettori colorati a spot intermittenti. Bufere di neve sintetica, coriandoli e palloni investivano la pista da ballo. Ci fu l'evento stile Folies Bergère, con motociclisti, acrobati e trapezisti seminudi. La notte in cui i clienti vennero accolti da serenate di venti violinisti tzigani, la festa per la première di 'Grease', la trasformazione del locale in un quartiere di Shanghai per il compleanno di Tina Chow. E sex&drugs come piovesse. Sulla balconata, nel seminterrato, negli ampi bagni, praticamente ovunque, senza problema. Da soli, in coppia o nel mucchio: l'importante era partecipare. E sì, allo Studio 54 si ballava anche: fra mezzelune argentate che calavano dal soffitto, mentre entrava Bianca Jagger nuda, in sella a un cavallo bianco. Il dj Nicky Siano 'era' la musica dance americana, il primo a mixare con tre piatti davanti, a far esibire Loleatta Holloway e Grace Jones, a organizzare feste con Donna Summer.

Una fantasyland felliniana, meravigliosa, esagerata e illegale. Troppo. I primi problemi cominciarono con la rivelazione che il locale non aveva una licenza permanente per gli alcolici. Ogni santo giorno doveva richiedere un permesso provvisorio. Bastò una dimenticanza per vedersi proibita la vendita. Le autorità cominciarono a tenere d'occhio il 54. Non dovettero attendere molto. In una stupida arrogante intervista al 'New York Magazine', Rubell dichiarò "I profitti del club sono astronomici. Solo quelli della Mafia ci superano!". Mandato di perquisizione, raid alle 9.30 di mattina del 14 dicembre 1978: quaranta agenti perquisirono tutto, e trovarono doppi libri contabili e sacchi pieni di denaro dappertutto. A Schrager fu trovata una busta di cocaina nel borsello e sia lui che il socio vennero arrestati. Nessuno poté aiutarli molto, tanto più che non avevano denunciato più di un terzo degli introiti: tre anni e mezzo di detenzione. Rubell e Schrager furono incarcerati al Metropolitan Correctional Centre, naturalmente solo dopo una favolosa festa, intitolata Going-Away-To-Prison.

Il club rimase chiuso per quindici mesi, i due soci furono costretti a vendere il locale, per cinque milioni di dollari più il pagamento delle tasse arretrate, all'albergatore Mark Fleischman. Che divenne il nuovo proprietario dello Studio, mantenendo Rubell e Schrager nel ruolo di consulenti. Dopo meno di un anno in carcere, il ritorno al mondo discotecaro fu duro. La gente andava al club spinta dalla curiosità e perché accedervi era molto più semplice. La magia sparì, le celebrità smisero di frequentarlo, il tempo ne sbiadì il lustro, un numero sterminato di procedimenti legali fece il resto. Fleischman lo cedette, ma lo Studio 54 non sopravvisse a lungo, chiudendo definitivamente nel 1986.

A dire il vero, Rubell e Schrager tentarono di ricrearne l'atmosfera al Palladium, che aprì i battenti nel 1985, ma l'operazione non riuscì, e i due imprenditori pensarono di riciclarsi nel mercato alberghiero, aprendo una serie di hotel alla moda, quali il Morgans e il Royalton. Il 25 luglio 1989, Steve Rubell morì di Aids a 45anni. Sulla lapide fu scritto 'The Quintessential New Yorker', i partecipanti al funerale passarono tra due transenne di velluto, accuratamente presidiate. Ian Schrager è invece tuttora attivo. E molto apprezzato nel suo nuovo ambito lavorativo: come la recente magica trasformazione del Gramercy Park Hotel di New York, amato in passato da Humphrey Bogart e Babe Ruth, star del baseball americano.

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