La grande paura del genere umano è sempre la stessa, almeno al cinema: l'esplosione nucleare che pone fine alla vita sul nostro pianeta come la conosciamo oggi. Nel dramma fantascientifico 'The Book of Eli', che l'attore americano Denzel Washington ha da poco finito di girare e che la Warner Bros conta di far uscire in dicembre, una spaventosa esplosione decima la popolazione terrestre e gli Usa regrediscono a una dimensione da selvaggio Far West, o meglio da vigilia di un 'Mad Max'. In questo paesaggio angosciante un uomo solitario, Eli (Denzel Washington), intraprende un viaggio che durerà ben trent'anni, con l'unica missione di mettere in salvo un mitico 'libro sacro' che conterrebbe il segreto per evitare l'estinzione del genere umano.
L'identità del 'libro di Eli' del titolo rimane avvolta nel mistero: ma dal momento che nel prologo viene suggerito che l'Armageddon nucleare è stato provocato dallo scatenarsi delle tensioni religiose, lo spettatore sarà portato a riconoscervi la Bibbia. Denzel Washington, che a 54 anni e con due Oscar alle spalle è uno degli attori più rispettati di Hollywood, lavora per la prima volta con due protagonisti della 'nouvelle vague black' del cinema americano: i registi Albert e Allen Hughes, già autori dell'elogiato 'From Hell' con Johnny Depp, bizzarra variazione retro sull'enigma di Jack lo Squartatore. Questo loro "western post-apocalittico con rispettose pretese umaniste e sociologiche" è una produzione da 70 milioni di dollari a cui partecipa il mago del cinema d'azione Joel Silver ('Arma letale', 'Matrix'). Oltre a Washington, che come spesso gli è successo nella sua carriera nasconde il suo fascino dietro un trucco che lo invecchia e abiti che lo ingoffano, ci sono Gary Oldman nel ruolo della 'nemesi' di Eli, il cattivo che fa di tutto per impossessarsi del libro, e la bellissima Mila Kunis nei panni della figlia che segue e aiuta Eli nella sua missione disperata. Ne abbiamo parlato con Washington, protagonista e produttore, durante una pausa del film nei teatri di posa alla periferia di Albuquerque, New Mexico.
Lei è famoso per la grande attenzione con cui sceglie i suoi film. Cosa l'ha attirata in questo progetto?
"La storia in sé era trascinante, e non avevo mai affrontato questo genere di film nella mia carriera. Ma soprattutto sono un cristiano, un credente, un uomo religioso, e le tematiche del film mi hanno toccato nel profondo. La religione può salvare, ma può anche distruggere. Eppure non tutti i credenti sono capaci di riconoscere questa dualità. Ne ho parlato a lungo con il mio figlio maggiore, ed è stato lui a convincermi definitivamente a dire di sì ai fratelli Hughes. Questo film poi mi spronava anche a praticare le arti marziali e a rimettermi in forma fisica: ne avevo proprio bisogno, dopo la ciccia che avevo dovuto metter su per 'Pelham 123' (il thriller di Tony Scott con John Travolta in uscita in Italia a settembre, ndr.)".
Dunque l'ha fatto per il fisico e per la religione?
"Non solo, andiamo! Era una sfida recitare in un ruolo mai affrontato prima su sfondi per me nuovi. Un western fantascientifico, un 'catastrofico' spirituale, con un protagonista avventuroso meditabondo, e una storia d'amore che sconfigge lo squallore in cui è precipitato il pianeta... Devo aggiungere altro?".
Beh, sappiamo che per contratto lei non può rivelarci il contenuto del libro e del film, quindi ci spiega almeno la sua nuova passione per le arti marziali?
"Sono l'altra faccia della spiritualità religiosa. L'unione perfetta di mente e corpo, cuore e anima. È una disciplina che amo da quando me l'ha fatta scoprire un amico che si allenava con Bruce Lee: e chi di noi da ragazzo non era un fan di Bruce Lee! Anche mio figlio adora le arti marziali, e finalmente ho potuto condividere un pezzetto della mia professione di attore con la mia famiglia. È stato meraviglioso. Finora avevo sempre tenuto le due dimensioni separate: cinema e famiglia. E dire che io mi considero un padre di vecchio stampo, tradizionalista e totalmente dedito alla famiglia. Un patriarca...".
In che misura considera realistico lo scenario rappresentato in 'The Book of Eli'?
"Mi auguro davvero di non doverlo mai scoprire. È un incubo che ci tormenta fin dai tempi della sua invenzione e del suo primo impiego in Giappone, con la devastazione di Hiroshima e Nagasaki. Fa venire la pelle d'oca il pensiero che oggi perfino i talebani sono vicini all'atomica, per non parlare dell'Iran e della Corea del Nord. Dopo decenni di sforzi internazionali per il disarmo, ecco che il fantasma della bomba ricomincia a far capolino. Non voglio nemmeno pensarci. Lasciamo che a raccontarlo sia il cinema con la sua finzione catartica, realistica o meno".
Ci descrive il suo personaggio, Eli, e quello di Gary Oldman?
"Il copione li presenta come due degli uomini più vecchi tra i sopravvissuti. Per questo ho i capelli tinti di grigio e sono truccato per apparire più vecchio di quanto non sia nella realtà - e non è che io mi consideri un ragazzino. Eli è un solitario, un uomo senza tempo, che deve imparare di nuovo a interagire con altri individui dopo anni di totale isolamento. È in missione per conto di Dio: come i Blues Brothers! Quando scoppia l'atomica Eli ha 17 anni, è un semplice commesso di supermercato, e da allora deve sopravvivere come un animale abbandonato nel deserto. È un uomo normale cui è stato affidato un compito straordinario. Oldman, facendo il cattivo, si diverte sicuramente più di me, un brav'uomo qualunque che cerca di salvare il mondo. Si è divertito più di me anche John Travolta in 'Pelham', a fare il criminale. Me lo sono ripromesso: nel mio prossimo film farò anche io il cattivo. Più facile, spassoso e meno stressante".
Il film implica che i conflitti religiosi siano stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso della guerra nucleare. Cosa ne pensa?
"Ne ho parlato col parroco della mia chiesa di New York: per lui siamo tutti dei 'believer', dei credenti, sia che siamo cristiani, ebrei, musulmani e così via. Nel mondo non esiste individuo che non sia nato dentro una tradizione religiosa di un tipo o dell'altro. Perfino un ateo appartiene a un ceppo religioso: mi spiego? L'unica salvezza è la capacità di abbracciare le religioni diverse dalla nostra in un senso globale di compassione, solidarietà e tolleranza. Ma per riuscire in questo scopo ci vuole un uomo nuovo, illuminato. Io non nego che un po' mi ci sento, nuovo e comprensivo. Ma riusciremo a diventarlo tutti? Questo è il dilemma di cui parla 'Eli'. E di io cui parlo spesso a cena con mia moglie e i miei figli, come tante altre buone persone nel mondo.