Illusioni. Ibridazioni. Contaminazioni. Dal 5 al 7 novembre a Torino la sorprendente fiera di arte contemporanea che è anche una mostra sofisticata. Tra reale e virtuale

Non abbiate paura, lasciatevi ipnotizzare. È tutto sotto il fermo controllo dell'artista -curatore Raimundas Malasauskas. Lituano. Trentacinquenne. È lui ad aver progettato l'Hypnotic show, ma sarà un professionista ipnotizzatore - Marcos Lutyens - a condurre il gioco. Dunque, quando le vostre pupille galleggeranno tra cerchi concentrici come nei cartoon, i due vi leggeranno testi di artisti, e la vostra mente potrà visualizzare cose mai viste (tranne che da voi) anche perché mai fatte.

È la mostra delle mostre, tempesta perfetta di reale e virtuale, ma è anche gioco da illusionista delle fiere nel tempo che fu. Accade invece oggi, in una fiera d'arte. Quella Artissima che nonostante tutto, nonostante i tagli e i venti di crisi, apre tra grandi attese a Torino dal 5 al 7 novembre, fiera di essere una fiera nel più profondo dei significati. Ovvero un suk di mercato e incantatori, pensieri e parole, opere e visioni, ricerca e possesso. Una di quelle fiere di nuova generazione che hanno riscattato pienamente la colpa originaria dell'arte, quale fiore che nasce dal letame della compravendita. Anche se l'arte, in realtà, tra tutte le discipline è sempre stata la più disinvolta in materia, dai tempi in cui Masaccio dipingeva i commitenti nella Crocefissione della chiesa del Carmine, fino alle Biennali di specchiata purezza scientifica dove però i galleristi piantonano le opere dei loro artisti e i collezionisti si fiondano a trattare.

"Se non ci fosse il mercato", dice il neodirettore di Artissima, Francesco Manacorda "il mondo dell'arte contemporanea sarebbe un piccolo paradiso come quello della poesia". E invece è l'Isola che non c'è di Peter Pan o quella dei pirati col tesoro di Capitan Uncino, dipende dai punti di vista. Ma è comunque una realtà muscolosa che ha trasformato le fiere in feste, e le feste in incontri giocosi in cui si parla di soldi e di arti. Al plurale, tutte insieme: scultura, pittura, foto, video, cinema, danza, musica, letteratura. "All'origine fu Frieze, a Londra, la fiera che nasce dall'omonima rivista, quasi ne fosse la versione tridimensionale, una specie di pop-up-book. E nascendo da una rivista, portò nella fiera vocazione e provocazione culturale che ne cambiò completamente il volto". Manacorda lo sa bene. Era nella capitale britannica all'epoca, giovane critico e curatore (è nato nel 1974) prima freelance poi di stanza al Barbican, cresciuto professionalmente nella migliore stagione dell'arte britannica. Anche lui ricorda quando prima di Frieze, le fiere erano, come i bassifondi per le signorine, luoghi sconvenienti per critici e artisti che ci passavano sempre "per caso"o "perché dovevano accompagnare un amico".

Ora invece eccoli: anima e spina dorsale di fiere, fatte di curatori che lanciano le più scatenate proposte e galleristi che rispondono al tema. Esempio: "Back to the future", ha suggerito qui Manacorda. Rileggiamolo questo vecchio Novecento, osserviamolo senza ideologia e in filigrana. Quanti veri artisti abbiamo trascurato o sacrificato a una lettura dell'arte storicistica e imperativa? Subito si riunisce una commissione curatoriale prestigiosa (Massimiliano Gioni, New Museum; Christine Macel, Pompidou; Jessica Morgan, Tate Modern) e alcune gallerie rispondono dedicando gli stand a mostre personali di artisti attivi fra il 1960 e il 1970 con opere storiche. "Vi stupiremo. Sarete i primi a dire: "Davvero quest'opera ha quarant'anni?"", promette il direttore. Che nonostante la sua aria lunare e ascetica da monaco-scienziato, è invece un potente visionario pieno di fantasia e risorse pratiche. Altrimenti come avrebbe potuto far di necessità virtù quando in mezzo alla corsa si è trovato un budget decurtato dalla finanziaria di Tremonti?

Perché Artissima, va ricordato, sta molto a cuore a Torino, alle sue pubbliche istituzione che la sostengono finanziariamente e ai due istituti bancari CRT e San Paolo. Ma ciò detto (protesta l'internazionale direttore) "solo in Italia i tagli arrivano come una ghigliottina, senza un minimo di scansione e pianificazione". E allora che si fa? Per esempio si rinuncia al catalogo, ma non lo si dice. Si distribuisce un raccoglitore e si chiede alle gallerie di sputare dalle stampanti tutte le schede che vogliono. Poi lo si diffonde come il catalogo personalizzato "Do it yourself" e lo si lancia come un'idea rivoluzionaria. Geniale. Ma mai quanto la ben più complessa iniziativa di tornare a sperare, ri-costruendo un'utopia, il nocciolo di un Bauhaus.

Una "Casa delle contaminazioni" dove le arti si scontrino e si incontrino fisicamente. Ed ecco al lavoro il collettivo di architetti berlinesi "raumlaborberlin" che da piccoli devono aver molto giocato col Lego, se son riusciti a immaginare questo incastro di continui passaggi che nega alle arti ogni privacy, cosicché ci si siede per vedere un film e si diventa voyeur del balletto della stanza accanto. Si vuol assistere al balletto e si incontra un'opera concettuale. Si passa da una mappatura genetica di una città alla lettura di un romanzo che è opera d'artista.

Tutto ibrido, tutto in forse. A cominciare dalle mura della casa. Balle di materiale pressato pronto per essere riciclato. Un muro alto otto metri di spazzatura (per fortuna non maleodorante) che incombe sull'intero padiglione. Memento mori di ogni oggetto. Anche quelli reificati e feticci che brillano sotto le luci degli stand. All'interno della casa però, i corpi dei ballerini, le parole degli scrittori, i video degli artisti difendono l'immortalità dell'arte. Scienza umana, figlia dell'ingegno e del corpo. E poi un pochino anche del mercato che comunque, come il committente di Masaccio, ha permesso di esistere a tutto questo meraviglioso circo. Ipnotista compreso, s'intende.

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