Quanti abiti abbiamo visto a Milano in questi giorni fitti di sfilate e di presentazioni? Tantissimi e per tutti i gusti. Ma di questa moltitudine, quanti erano moda nella sua accezione più contemporanea, cioè linguaggio e dispositivo attivatore di esperienze e di rappresentazione di sé? Il numero non supera le dita di una mano. E va bene così, c'è quello che chiede un mercato sempre più vasto e c'è quello che soddisfa un pubblico sempre più esigente, che cerca nel fashion un'esperienza estetica che lo faccia sentire speciale.
Ma alcuni italiani, quelli delle ultime generazioni, quelli costretti a lottare con orari impossibili e molto altro ancora, ci hanno ricordato quanto può essere entusiasmante una collezione tanto spericolata da essere di ricerca, ma insieme bella e in sintonia con il corpo che la abita. Gabriele Colangelo, classe 1975, non ha avuto paura di lasciarsi guidare dalla materia, di assecondarla, ma anche piegarla a lavorazioni portate al limite della resistenza. L'agugliatura ha permesso che i tessuti più diversi, dallo chiffon alla pelliccia, si trasformassero in forme scultoree scolpite dai bagliori dei cristalli. Forme consistenti ma dotate di leggerezza. Corrose magicamente, trasfigurate da un morphing visionario che usa la ricchezza dei grigi che arrivano stremati all'azzurro lucente accennato poi dal verderame e dagli ossidi, per far affiorare strati geologici di epoche lontanissime e dimenticate.
Marco de Vincenzo, alla sua seconda sfilata milanese, ha deciso di definire una sua personalissima grammatica. È partito dalle suggestioni di un palazzo mediceo, dai decori austeri, dagli arazzi, per poi disintegrarli e usare solo quello che era funzionale alla sua idea di minimal contemporaneo. Così ha usato colori come il marrone e il grigio senza però dimenticare il bianco e il nero, a volte impastati in cromie inattese, che hanno dato nuova lettura alla silhouette. Una figura ritagliata dai contrasti tra linee nette e movimenti improvvisi, che trovano nella lycra metallizata di un marrone siderale, inedita opulenza.
Anche Sergio Zambon, il più maturo per esperienza, ha guardato il passato. Un pretesto per surfare concettualmente nel tempo. Ha pensato alla Roma antica: alla corona d'alloro e al peplo che nella sua immaginazione si sono trasformati, sono diventati altro per ammiccare alla straordinaria sartoria romana degli anni Sessanta contaminata però dalla vitalità della Swinging London. In un mix di funzionalità, fun e lusso. Collezioni speciali di autori molto diversi tra loro. Che hanno dimostrato come sia ancora possibile dare una nuova leggibilità alla struttura del corpo, muovendosi in quel sentiero segnato da ricerca, qualità, artigianato in cui si può ridefinire ancora una volta l'inconfondibile carattere italiano.