Cultura
aprile, 2010

Ho in mente il marketing

Sempre più aziende entrano nella testa dei consumatori. Con sistemi neurologici studiano le reazioni a prodotti e pubblicità. Per capire cosa ci spinge ad acquistare


Oltre a essere delle aziende, che cosa hanno in comune eBay, Unilever, Procter & Gamble, Sky, Conad, Google, Microsoft, Coca-Cola, Telecom Italia e Whirlpool? Studiano il cervello dei loro (potenziali) clienti. Sì, perché negli ultimi tempi il marketing si sta dotando di una serie di nuove 'armi' per intercettare (o veicolare) i gusti delle persone. Sono strumenti che fanno parte del cosiddetto neuromarketing che, in sintesi, è lo studio dei comportamenti dei consumatori attraverso il monitoraggio del loro sistema nervoso.

Il neuromarketing è una disciplina nota - a livello sperimentale - già dagli inizi degli anni 2000, ma ora le ultime scoperte e l'adozione in massa da parte delle aziende (anche italiane) la sta trasformando in un campo sempre più importante per le scelte delle imprese, soprattutto di quelle che si rivolgono al consumatore finale. Uno degli ultimi studi scientifici in materia è apparso sulla prestigiosa rivista scientifica 'Nature'. Qui un team composto da ricercatori della Duke University (North Carolina) e della Emory University (Georgia) ha dimostrato che studiare le immagini del cervello di consumatori, chiamati a prendere una decisione prima di un acquisto, può essere fondamentale nella messa a punto di pubblicità o prodotti più 'incisivi'.

"La possibilità che le tecniche di neuroimaging divengano sempre più economiche e rapide rispetto agli altri metodi usati oggi nel marketing e la prospettiva che queste tecniche diano informazioni attualmente non ottenibili con gli strumenti convenzionali rendono il neuromarketing sempre più allettante per le aziende e per le agenzie pubblicitarie", scrivono gli autori della ricerca: "Il neuromarketing non sarà mai economico come i focus group (gruppi di potenziali utenti usati dalle aziende per testare un prodotto, ndr.), ma è in grado di dare informazioni sulle reazioni, consapevoli e non, di fronte a un qualsiasi prodotto". In particolare, sostengono i ricercatori Usa, studiare il cervello delle persone potrà essere utile nel settore alimentare, nell'intrattenimento, nell'immobiliare o nel definire una campagna elettorale. Come è già successo anche in Italia: nel 2006, per esempio, l'Ulivo commissionò un'analisi per analizzare l'impatto cognitivo-emozionale della comunicazione di alcuni suoi leader durante le trasmissioni tv.

Studiare il sistema nervoso per scopi di marketing, insomma, diventerà sempre più diffuso. Ma già ora siamo oltre le esperienze di nicchia, e non solo tra i grandi nomi. Lo dimostra un recente sondaggio condotto in Italia dalla 1to1Lab, azienda milanese attiva in questo settore. La ricerca, condotta su manager e professionisti del mondo del marketing e della comunicazione, ci dice che il 21 per cento delle aziende interpellate ha usato il neuromarketing prima di piazzare un prodotto sul mercato: secondo gli intervistati, i tre ambiti in cui analizzare il cervello dei consumatori può risultare più efficace sono la pubblicità, il marketing dentro un punto vendita e il packaging.

A tuffarsi in questo settore anche Telecom Italia. "I nostri studi sul sistema nervoso partono da obiettivi medici", spiega Cesare Sironi, responsabile Strategia ed Innovazione Telecom Italia: "I laboratori di Torino stanno infatti portando avanti un progetto con alcuni ospedali piemontesi per comprendere, attraverso una rete di sensori, quando una persona sta svenendo o andando in uno stato confusionale. Da qui abbiamo deciso di sfruttare nel neuromarketing le conoscenze accumulate e, se ci saranno le condizioni, potremmo investire in questo settore con l'obiettivo di diventare in Italia un attore protagonista del mercato (che per ora vede soprattutto aziende con competenze a metà strada tra marketing, sociologia e neuroscienze, ndr.)".

Al momento Telecom Italia sta sperimentando le sue competenze sia su di lei che su altre aziende. Nel primo caso le caratteristiche di alcuni prodotti lanciati da poco sul mercato (come le chiavette per collegarsi a Internet) sono frutto di studi di neuromarketing. Che è anche l'oggetto di una collaborazione con il gruppo Benetton per la messa a punto di un negozio ideale nel settore della moda. Gli studi sul cervello di potenziali consumatori (che vengono arruolati con il loro assenso come si fa in qualsiasi studio scientifico) hanno l'obiettivo di rispondere ad alcune domande. Per esempio: cosa spinge la gente a entrare in un negozio? Oppure come rendere il punto vendita più accattivante? Cosa si può fare per orientare la gente e indirizzarla a girare tra gli scaffali? Come aumentare le informazioni su un prodotto? E come far condividere l'esperienza di acquisto con altri amici del consumatore?

Gli strumenti usati per monitorare il cervello in questo e altri progetti sono diversi. Tra i più usati l'ElettroEncefaloGrafia (EEG), per misurare l'attività elettrica relativa a ogni area del cervello, e la risonanza magnetica funzionale (fMRI) che invece quantifica l'ossigenazione del sangue nelle varie regioni della nostra massa grigia. Tutti i dati raccolti finiscono poi in un computer che ha il compito di interpretarli. "Tra le informazioni che si possono ottenere ci sono l'attenzione, l'apprendimento (per esempio di un messaggio pubblicitario), la capacità evocativa di un prodotto (cioè la sua forza di 'pescare' ricordi nella memoria di lungo periodo) o l'impegno da parte di un soggetto nel capire un messaggio (presente sia sul packaging che in uno spot)", spiega Francesco Gallucci, coordinatore del dipartimento di neuromarketing dell'Associazione italiana marketing e presidente della 1to1Lab che da qualche settimana insieme allo Studio Valletta Comunicazione di Bari ha dato vita a un laboratorio di neuromarketing a disposizione delle aziende pugliesi. In questo laboratorio non è solo il cervello a essere studiato in chiave marketing. Anche altri parametri fisiologici vengono tenuti sotto osservazione. Per comprendere i desideri dei consumatori si usano sensori per misurare le variazioni del battito cardiaco o della frequenza respiratoria. E poi si ricorre a sistemi di rilevamento del puntamento dello sguardo (eye-tracking) e dell'espressione facciale, per capire i motivi che spingono i soggetti a optare per una determinata scelta.

Va detto, però, che non tutta la comunità scientifica è d'accordo sul fatto che il neuromarketing possa da solo spiegare il comportamento dei consumatori. Sono infatti diversi i neuroscienziati che invitano alla cautela, dicendo che non è possibile identificare un 'centro di acquisto' cerebrale né capire in modo preciso la predisposizione mentale di una persona ad acquistare, semplicemente attraverso degli elettrodi e sensori biometrici. Che con l'abbattimento dei costi saranno comunque sempre più usati in futuro.

A proposito di prezzi: tra i principali metodi del neuromarketing la EEG è quella più economica. I suoi dispositivi (sensori da applicare ai lobi delle orecchie e sulla nuca) sono infatti poco cari rispetto a un macchinario per la fMRI il cui affitto costa circa 40 mila euro. Con la stessa cifra, invece, si ottiene una ricerca completa con la EEG anche se - quando lo studio è di modeste dimensioni - la spesa parte da circa 3 mila euro. La fMRI ha però un vantaggio rispetto al suo 'concorrente'. Ed è la capacità di studiare il cervello prima che si decida di comprare qualcosa o si entri in contatto con un prodotto (o con la sua pubblicità). Non è poco: secondo uno studio del tedesco Max Plank, nel ponderare un acquisto la componente irrazionale si attiva infatti prima di quella razionale.

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