Chissà cosa penseranno i pellegrini del Millennium delle licenze poetiche del regista David Fincher sui sacri testi del giallista Stieg Larsson. Chissà come reagiranno al nuovo finale, "più semplice e comprensibile", secondo il cineasta di quello immortalato dallo scrittore. E chissà se piacerà ai fondamentalisti della trilogia un Mikael Blomkvist che grazie a Daniel Craig da giornalista cinquantenne charmeur un filo appesantito, si trasforma in inchiestista palestrato e super cool, di quelli che è onestamente difficile incontrare in redazione. Magari non prendono tanto bene anche la nuova Lisbeth Salander, la bella Rooney Mara, ex ragazza perbene in "Social network", qui Bond girl in salsa punk chic che ha già sfilato tutta di nero vestita per servizi fotografici di "W" e copertine di "Vogue America".
Forse i Millennium dipendenti usciranno dal cinema brontolando e rimpiangendo il muso cattivo della segaligna Noomi Rapace e quei due-tre chili di troppo di Michael Nyqvist, più credibile interprete della precedente versione made in Sweden. Ma una cosa è certa, comunque vada, anche i più filologicamente corretti faranno la fila, pagheranno il biglietto ed entreranno in sala, come tutti gli altri milioni di spettatori di uno dei più attesi film della stagione "Millennium. Uomini che odiano le donne" (fine 2011 per gli Stati Uniti, 3 febbraio 2012 per noi), regia di David Fincher, cast - come si suol dire - stellare, budget di partenza di 100 milioni di dollari, set per tutta la Svezia più puntata in Norvegia e interni negli studi della Columbia in California.
Un kolossal insomma, firmato da un coraggioso regista di culto pronto ad affrontare a gamba tesa i fenomeni globali come già ha fatto con "Social Network", appunto. Il minimo insomma per una trilogia (in Italia edita da Marsilio) che, non solo ha venduto nel mondo 60 milioni di copie (3,6 nella sola Svezia più di un terzo dei suoi abitanti) ed è stata tradotta in 40 diverse lingue, ma è diventata un simbolo del Paese e una gallina dalle uova d'oro per albergatori e tour operator. "Un tempo", raccontano le guide, "i pochi turisti che arrivavano a Stoccolma si limitavano a visitare il palazzo reale, la cattedrale e il museo del Nobel. Adesso invece c'è il Millennium tour". Diecimila visitatori all'anno. Tanto richiesto che bisogna prenotare. Due ore a piedi, pioggia o neve non importa, salendo e scendendo per gli acciotolati di Stoccolma dietro a guide autorizzate dal museo comunale a trascinare i turisti sotto le finestre di Bellmansgatan residenza del nostro Blomkvist nel quartiere intellettuale della città o tra i tavoli del mitico Mellqvist Kaffebar dove il nostro giornalista si intrattiene di volume in volume con il suo caporedattore nonché amante Erika Berger o dà appuntamenti a Lisbeth Salander nei momenti cruciali della loro ingarbugliatissima inchiesta.
La quale, per chi avesse perso qualche puntata, si può riassumere così: tutto comincia da una querela di un tycoon accusato di corruzione dal molto barricadero mensile "Millennium" e da una richiesta di risarcimento mostruosa che getta nel lastrico il nostro eroe, inviato di punta del suddetto giornale.
Per questo Mikael è costretto ad accettare la strana e assai remunerativa offerta di un altro tycoon, il vecchio Henrik Vanger (per Fincher, Christopher Plummer) che gli chiede di trasformarsi in investigatore privato e scoprire cosa è accaduto alla nipote Harriet scomparsa quarant'anni prima. Il giallo diventa thrillerone quando entrano in scena serial killer, neo-nazisti, pedofili, stupratori, sadici, pirati informatici, banchieri svizzeri e tutta una filiera di "uomini che odiano le donne" combattuti da una Valchiria mignon Lisbeth Salander, fanciulla dall'infanzia infelice e intelligenza eccezionale. Lisbeth, come una furia vendicatrice è nuova icona femminista, ragazza bisessuale dal corpo coperto di tatuaggi, piercing, tinture nero Cina sulla creste rattrappite dal gel, giubbotti in pelle e anfibi con carro armato che trasformano la sua marginalità in una questione di stile.
"Questo a Lundagatan è il primo appartamento di Lisbeth", spiega la guida municipale nel suo perfetto inglese indicando una casa senza infamia e senza lode, "è qui che lei cresce, dovendo molto presto affrontare il mondo da sola, proprio come Pippi Calzelunghe a cui Larsson si è ispirato, guardate qua". E tira fuori dalla borsa di ordinanza immagini di Lisbeth e Pippi, entrambe arrampicate sulle loro gambe secche. Certo Pippi a differenza di Lisbeth è immagine da scatola di biscotti, ma la forza di Stieg Larsson è quella di aver reso altrettanto universali ed epici i luoghi e simboli del suo libro. Dopo di lui Stoccolma è diventata la città di Millennium. Sono nati bar costruiti e arredati in totale obbedienza alle sue descrizioni. Si sono moltiplicati i noir e i gialli ambientati tra i suoi isolotti. E dal film di David Fincher la città si aspetta per il 2012 un ulteriore incremento del turismo già valutato intorno al 3-4 per cento.
Peccato che l'improvvisa morte dell'autore (nel 2004) e le risse familiari sui diritti di questa miniera d'oro non abbiano permesso di produrre i Millennium gadgets: Barbie Lisbeth con vestitini tutti i neri; copri iPad decorati con i tatuaggi della medesima; penne e quaderni con appropriato logo. Invece ai fan-turisti non resta che consolarsi con l'acqua minerale Ramlosa, la preferita da Blomkvist o nutrirsi di quella pizza surgelata Dafgard che Lisbeth ingurgita direttamente dal microonde. Prodotti toccati da re Mida e diventati all'improvviso terribilmente trendy. Solo Ikea è riuscita a fare altrettanto. Diffondere nel mondo il verbo svedese e far balenare il riverbero del Valhalla in una poltrona Ektrop. Perché nonostante le scure ombre della misogina e la gelida violenza dei suoi assassini, i thriller di Stieg Larsson hanno conquistato lo stesso mondo che con la brugola in mano obbedisce alle istruzioni della multinazionale del mobile. La quale, come tutti sappiamo, non vende solo cucine e divani, ma stati d'animo. La Svezia (versione Ikea) che ha unificato le case d'Europa, e il sogno di vivere in un Paese soave, oasi del Nord sicura e luminosa. Fino a Stieg Larsson.
"In America ormai molti mi chiedono: "Ma Stellan non hai paura a vivere in un posto così pieno di criminali neonazisti e stupratori sadici?" E io a spiegare che le cose non stanno così e che Stoccolma per mia esperienza è il più mite e sicuro dei mondi possibili". Stellan sta per Stellan Skarsgård, unica star svedese doc nel cast di Fincher dove veste i panni dell'ambiguo Martin Vanger, amministratore delegato dell'azienda di famiglia. Ricco, egoista e scontroso quanto basta per alimentare la suspense in questa cupa saga del Nord, che deve all'esotismo dei ghiacci molto della sua fortuna, come ammette persino David Fincher, da buon californiano cresciuto al caldo del 34mo parallelo. E alla scuola di Hollywood che tutto traduce nell'esperanto dello star system: grosso budget, grande cast, tanto glamour e tanta azione. Ricetta dal successo sicuro che può permettersi di sostituire un giornalista svedese con il James Bond in carica e cambiare il finale di un romanzo di culto. Che i Millennium pilgrims lo perdonino!