Essere emotivi significa essere vivi, dice Jean-Pierre Améris a proposito di "Emotivi anonimi" ("Les émotifs anonymes", Francia e Belgio, 2010, 80'). Di questo parla la commedia che ha scritto insieme con Philip Blasband: della timidezza estrema, e anzi del panico che blocca parole, gesti e sentimenti del suo Jean-René (Benoît Poelvoorde) e della sua Angélique (Isabelle Carré), e che però ne rivela il desiderio e la capacità di sentirsi addosso la vita.
Sono personaggi fuori dal tempo, l'una e l'altro, o almeno fuori moda. E del tutto fuori moda è anche la loro storia. Lui ha una fabbrica di cioccolato che è sul punto di fallire. I suoi prodotti sono buoni, ma senza personalità, sostiene l'ultima delle sue clienti, proprietaria di una confetteria che ricorda (e forse è) "La mère de Famille", la più antica di Parigi. Quanto a lei, il suo mestiere è quello di cioccolataia. Anzi, ancora più che di un mestiere, si tratta di una passione quasi sensuale. Non sarà forse per questa ragione che Angélique la tiene ben nascosta? Infatti, quando si presenta da Jean-René per un lavoro, gli assicura di non sapere nulla di cioccolato. E quello, preso dal panico, subito l'assume. Invece che della produzione, la ragazza dovrà occuparsi della vendita, girando di negozio in negozio con il campionario della ditta. Lei ne è terrorizzata, ma proprio come lui non può fare altro che accettare, e con entusiasmo.
Per quanto improbabile - fuori del tempo e fuori moda - quella di Angélique e di Jean-René è una storia d'amore. Solo che Améris la racconta in negativo, per così dire. I due mai si frequenterebbero, se potessero obbedire alle loro angosce in modo diretto, fuggendo lontani l'uno dall'altra.
Ma quelle angosce sono così forti, che se ne fanno imprigionare nel rapporto che li spaventa. Insomma, si comportano come attori terrorizzati dal pubblico, e dunque costretti a rimanere sul palcoscenico per evitare che il pubblico si accorga del loro terrore. In questo paradosso sta la prima metà della dolcezza di "Emotivi anonimi". La seconda sta invece in una carnalità allusa e tenera, vitale e piena come il sapore del cioccolato.
Che cosa blocca Angélique e Jean-René? Che cosa li rende goffi e impacciati, se non l'attesa di un piacere che avvertono tanto forte e desiderano tanto da spaventarsene? Alla fine - suggerisce Améris - nella loro malattia dell'anima si esprime un'apertura senza difese, ma proprio per questo generosa e totale, al gusto di sentirsi vivi.