Più di 1500 fogli dattiloscritti. Con appunti sui suoi film, dalla 'Dolce Vita' a Le notti di Cabiria'. E molto altro. Per mezzo secolo sono stati dimenticati in uno scatolone. Ora rivelano un nuovo volto del grande regista

Alla mia età capita di dimenticarsi le cose. Ma dimenticarne una che non si è più vista dagli anni Sessanta, è normale per chiunque... E in effetti Cecilia Mangini, ottantenne infaticabile e piena di energia, l'aveva proprio cancellato quel faldone zeppo di veline ingiallite, conti della spesa e di trattorie romane chiuse da secoli. Un faldone che le cadde sui piedi nel tentativo di mettere un po' d'ordine, e su cui lei stessa aveva scritto un generico "Fellini". Era sempre stato lì, sepolto fra le carte del suo compagno e sposo Lino Del Frà, sceneggiatore, scrittore, regista e amico di registi e sceneggiatori a cominciare da Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano per finire con Fellini e Pasolini. Un bel gruppo di menti, con Cecilia che gira documentari con Pasolini (dal "Canto delle marane" a "Stendalì"); Pinelli e Flaiano che scrivono per Fellini; Del Frà che oltre a tutto il resto, studia e pubblica stupendi libri di backstage.

Questo è quanto cercava Cecilia tra gli scatoloni: i materiali e gli appunti del libro di Lino sulle "Le notti di Cabiria" (Cappelli, 1965) per spedire il tutto all'archivio della Cineteca di Bologna. Quando all'improvviso è saltato fuori il tesoretto. Uno scrigno di carta contenente 1.500 fogli incartapecoriti e datati grazie ai caratteri di vecchie macchine Olivetti. Mucchio scomposto da dove spuntavano tra l'altro: 1. Un trattamento incompleto della "Strada"; 2. Novantotto pagine del soggetto del "Bidone" con parecchi appunti scritti a mano; 3. La scaletta della "Dolce vita" con un paio di sequenze; 4. Soggetto, episodi e prima stesura della sceneggiatura di "8 e 1/2" con un sottolineato "Il film eccolo qui" scritto da mano misteriosa; 5. Nove pagine dell'abbozzo di "Giulietta degli spiriti" con scritta "Flaiano" in alto a destra. E il vero gioiello che si cela in tanto ritrovamento: un soggetto inedito firmato Fellini e Pinelli che da una parte si lega alla "Strada" e dall'altra anticipa immagini del "Casanova" .

E così Cecilia all'improvviso si ricorda "che intorno alla metà anni Sessanta, Lino dopo "Cabiria" pensa di scrivere un altro libro sull'opera omnia di Fellini e chiede aiuto a Tullio (Pinelli, ndr.) che lo riempie di materiali. Poi mi sono ricordata anche di quando improvvisamente le cose cambiano, di Federico che rompe con Flaiano e subito dopo anche con Tullio. E ricordo che il fatto non mi stupì più di tanto. Fellini era così: un seduttore nato. Non era di sinistra, ma era gradito alla sinistra. Non era cattolico, ma gradito ai cattolici. Non era laico, ma gradito ai laici. Un uomo che amava fare scena, che correggeva i dattiloscritti con la penna d'oca e il calamaio, tanto per stupirci. Ma era anche un uomo che non poteva condividere la fama e il successo senza sentirsi defraudato". E vincere un Oscar dopo l'altro ("La Strada", "Le notti di Cabiria", "8 e 1/2"), essere applaudito a Hollywood e riconosciuto come uno dei più grandi registi al mondo può far diventare chiunque ingrato.

E di ingratitudine potrebbero trasudare quelle carte dove non c'è solo il genio di Fellini, ma il racconto del gioco collettivo che fa nascere e crescere il cinema di Fellini. Capita allora che su uno dei fogli della "Dolce vita" qualcuno (Flaiano presumibilmente) scrive: "Appunti da ricordare. L'informatore frocio: primo piano di personaggio sconosciuto che racconta a Marcello maldicenze, informazioni di natura scandalistica. Servizio notturno al Giardino Zoologico con le indossatrici spettrali. Foro Mussolini per Anita Ekberg? Macchina coi sedili foderati di pelle di tigre. Un microfono in mano dei bambini. Un'indossatrice che fa lo yoga. BRONTOLIO MINACCIOSO. La guerra, i comunisti, i marziani, la MORTE?". Più, scritto a penna, "Il telefono (Emma e le altre telefonano). Gioco della verità".

E adesso, pensa Cecilia Mangini, che si fa con tutto questo ben di Dio? Chi ha scritto gli appunti? Perché tutte queste diverse calligrafie? Cosa vorrà mai dire quel soggetto di "8 e 1/2" firmato "Flaiano, Fellini e il Nonno"? Chi è "il Nonno"? Uno scherzo? Un riferimento a nonno Freud? Un terzo autore di cui non si sapeva niente? Cecilia capisce al volo l'insostenibile peso di tanto ritrovamento: e soprattutto capisce che ci vuole uno studioso per venire a capo di tutti i rebus. Uno come Fabrizio Natalini, docente all'Università di Roma Tor Vergata, vero archeologo del cinema italiano, appassionato di incartamenti e di sceneggiature, e autore di una biografia di Flaiano ("Ennio Flaiano: Una vita nel cinema", Artemide, 2005), che alla Mangini è piaciuta molto in quanto "ritratto reale e sincero dell'epoca", che lei conosce decisamente bene.

Dunque, preso in mano il faldone, Natalini si tuffa in una prima e sommaria ricerca. Dai fogli stinti, dai dattiloscritti macchiati di caffè e da quelle veline ingiallite arrivano fantasmi di personaggi che sullo schermo non hanno preso corpo o sono stati completamente trasformati. Ed ecco Steiner: uomo chiave della "Dolce vita", l'amico melomane di Marcello con i Morandi appesi in casa, interpretato da Alain Cuny che morirà suicida dopo aver ucciso i figlioletti. Nella prima versione nascosta nel faldone di Cecilia, Steiner è invece un ex professore di matematica, anziano pensionato che vive in dignitosa povertà a Ostia. Marcello è sedotto dalla serenità e purezza della sua vita e della sua mente, ancora persa dietro la stretta e infallibile logica dei numeri. Passa volentieri le giornate con lui conversando e pranzando a latte e insalata. Fino al giorno in cui, arrivato a Ostia, scopre che quell'uomo olimpico si è suicidato.

Ora la domanda è: come e chi ha trasformato questa specie di "Umberto D" nell'intellettuale altoborghese che vediamo nel film e che fu catalogato dalla critica colta come "Alter Christus" che riscatta i personaggi dalla loro falsità e aridità spirituale, sacrificando se stesso? Anche la Maddalena di Anouk Aimée ha ben poco da vedere con la figura originaria. Nella prima versione alla voce "presentazione dei personaggi" Maddalena si chiama Rosy, ed è una ragazza severa, studentessa comunistoide, attiva e molto bella. Sul set della"Dolce vita" resterà solo "molto bella".

E che fine fa l'idea di Flaiano di portare Anita Ekberg al Foro Mussolini? Riappare un paio di anni dopo negli incubi del dottor Antonio di "Boccaccio '70", oniricamente ossessionato dall'Anitona gigante fasciata nelle paillettes nere tra i portici dell'Eur. Perché una cosa è certa: comunque finisca l'interpretazione di questa cinematografica Stele di Rosetta, quel che verrà fuori è il ruolo insostituibile di menti geniali come Flaiano e Pinelli, senza i quali Federico Fellini non sarebbe stato Fellini. E che inseminarono d'idee non solo i suoi primi film, ma anche quelli a venire. Lui lo sapeva e forse in cuor suo non poteva sopportarlo.

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