Il cocktail è una miscela d'ingredienti, composta da una base di whisky, rum o altro distillato importante, a cui si aggiungono liquori, succhi di frutta o soft drink. Il tutto scecherato con ghiaccio e decorato con olive, ciliegie, scorse di agrumi o una foglia di menta. Esiste una sessantina di ricette ufficiali, alcune delle quali note in tutto il mondo come il Bellini, il Gin Fizz o la Pina Colada, tutte riconosciute dall'IBA (International Bartenders Association) e di nazionalità diverse, anche se è alla bandiera a stelle e strisce che si pensa quando si usa il termine 'cocktail'.
E non è un caso visto che la prima definizione di questo tipo di bevanda la troviamo proprio in una pubblicazione newyorchese del 1809, The Balance and Columbian Repository. Americano è anche il primo cocktail party della storia, che si tenne nel 1917 a St. Louis, nel Missouri, e che fu ripreso nell'alta società statunitense tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, diventando negli anni Cinquanta una vera e propria istituzione, esportata poi in Europa e nel resto del mondo.
Nasce così la cultura del cocktail, con i suoi attrezzi più tipici (shaker, passino, ecc.), i bicchieri più adatti al suo consumo (la coppetta per il Martini, il tumbler basso per il Negroni o l'highball per il Cuba libre). Anche la moda tiene conto di questa nuova tendenza sociale e propone un vestiario specifico, che subisce trasformazioni negli anni e che vede la sua massima espressione nel vestitino nero indossato da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1961), diventato un'icona del cocktail party.
Tutto questo rituale è oggi in mostra al Museo d'arte del Rhode Island School of Design (USA), dal 15 aprile al 31 luglio, con un'esposizione multidisciplinare dal titolo "Cocktail Culture: Ritual and Invention in America Fashion, 1920-1980", dove sono in rassegna più di 220 oggetti, inclusi capi d'abbigliamento e accessori dei maggiori stilisti internazionali, bigiotteria, tessuti, opere d'arte, fotografie d'autore, ma anche attrezzi di design, mobili e complementi di arredo.
La mostra esplora la storia del cocktail party attraverso le lenti della moda e del design. Si inizia con i ruggenti anni Venti e il proibizionismo, che fino al 1933 vieta negli Stati Uniti la produzione, il commercio e il consumo di bevande alcoliche. I cocktail, amati anche dalle donne, sono serviti a casa, nei nightclub lontani da occhi indiscreti o nei bar clandestini, i cosiddetti speakeasy. La moda americana di quest'epoca è influenzata dai jazz club di Harlem. Le gonne si accorciano e si destrutturano per lasciare il corpo libero di ballare, diventando anche l'emblema di una prima emancipazione femminile.
Nella sezione "Travel" è di scena il viaggio in transatlantico verso mete esotiche che molti americani facoltosi scelgono per eludere le restrizioni del proibizionismo. I cocktail si consumano in nave indossando capi d'abbigliamento non formali. Nasce così il leisure wear. Nel secondo dopoguerra, invece, la moda mette al bando qualsiasi frivolezza e fanno la loro comparsa i primi tailleur, indossati sia sul lavoro sia per un cocktail party con un semplice cambio di accessori.
E' nella società prosperosa degli anni Cinquanta che ha origine l'abito da cocktail come lo conosciamo oggi, che combina l'eleganza del vestito da sera con l'informalità del capo da giorno. In "New Casual" si descrivono, poi, i cambiamenti sociali degli anni Sessanta e con essi anche le trasformazioni del cocktail party, che diventa meno cerimonioso e dal salotto si sposta in giardino, dove s'indossa il prendisole.
La mostra termina con la sezione "International Set / Club Culture", dedicata agli anni Settanta e ai primi anni Ottanta. I vestiti da cocktail hanno i colori sgargianti della Pop Art e sono realizzati con tessuti sintetici dalle stampe psichedeliche, accanto a questi spiccano anche i tailleur-pantalone e i capi con scollature vertiginosi che interpretano al meglio la stagione newyorchese dello Studio 54.