Non una, non due, ma ben tre volte Oliver Stone ha rivisitato il suo "Alexander", il kolossal sull'imperatore macedone. Uscito nei cinema nel 2004, non fu un successo. "Colpa mia", dice oggi il regista mito di Hollywood (tre Oscar alle spalle e incessante militanza nella sinistra, tra mille polemiche), "ma anche della Warner", che quel film, costato 155 milioni di dollari, ha distribuito. A Stone vennero imposti: la durata (175 minuti, tassativamente sotto le tre ore), stile e tematiche (ridurre violenza e gli accenni alla omosessualità di Alessandro, per evitare i "vietato a") e strategie di lancio. Il film incassò 33 milioni di dollari negli States, 132 nel mondo, a cui vanno aggiunti i proventi da dvd e blue ray. Insomma, dal punto di vista economico tutto finì bene. Ma Stone non era contento. Ha rimontato l'opera nel 2005, ma nemmeno questa versione era soddisfacente. Così è tornato in sala di montaggio: ed eccolo con "Alexander Revisited: The Final Cut", lungo 220 minuti. E ora si sente appagato. Il film verrà presentato dal regista il 12 giugno sull'enorme schermo del Teatro Greco al Taormina Film Fest. Subito dopo uscirà in Italia in dvd, sempre per la Warner. E Stone, impegnato in un thriller su un cartello della droga messicano, "Savages" (con John Travolta, Uma Thurman, Benicio Del Toro e Salma Hayek), racconta all'"Espresso" il perché della sua scelta e i progetti futuri.
Perché ha voluto rimontare per la terza volta "Alexander"?
"Perché né il film originale, proiettato nei cinema, né la prima versione home-video corrispondevano a ciò che avevo in mente quando scrissi il copione. E non davano l'idea della quantità e qualità delle scene girate. Questo film non si poteva fare in due ore e mezza. È il progetto più ambizioso che abbia affrontato nella mia vita".
La versione finale ricalca fedelmente il copione?
"Sono andato oltre. Ho voluto evidenziare due percorsi paralleli. Il primo, quello in cui Alessandro si avventura per terre sconosciute, la "fine del mondo" aristotelica. Il secondo: interiore. Lui si chiede chi fossero davvero i suoi genitori. Era figlio di un dio, come sosteneva sua madre Olimpia (Angelina Jolie), o del re Filippo (Val Kilmer)? Poteva trovare un'armonia in questa genesi duale? Poteva riunire quei genitori interiori? Ho deciso allora di ricorrere a una narrativa circolare, andando avanti e indietro nel tempo".
In concreto: cosa c'è in questa versione che non avevamo visto prima?
"Numerose scene di battaglia, da Gaugamela a quella di Multan in India. Abbiamo reintegrato episodi che parlano del rapporto edipico tra Alessandro e Olimpia, e quelli sul suo rapporto con l'eunuco Bagoas. Ho recuperato la scena di baci appassionati tra i due".
Viene dato anche più spazio a Tolomeo, interpretato da Anthony Hopkins.
"Ho lasciato che in questa versione Tolomeo raccontasse la storia a ruota libera. La prima, uscita al cinema, era stata stroncata dai critici anche per l'uso di Tolomeo come narratore: dicevano che era una tecnica desueta. Secondo me la performance di Hopkins era strepitosa. Ma solo dandogli più spazio si riesce a capirlo".
__img"__Lei dirige spesso film in grande scala. Come riesce a mantenere il controllo di progetti così costosi?
"Occupandomi del finanziamento, non affidandolo a una major. Nel caso di "Alexander" durante la produzione non ho dovuto render conto a uno studio. La Warner è entrata in gioco dopo, per la distribuzione. Come sempre succede in fase di montaggio, lo studio mi ha inviato le sue note relative all'uscita del film in Usa. Mi dicevano: "Taglia le scene omosex, diminuisci la violenza, accorcia la durata". Ho ceduto e ho sbagliato".
I formati dvd e blue-ray consentono all'autore di affrancarsi da costrizioni?
"Sì, perché la tecnologia digitale ti permette di montare tutto a tuo piacimento per una spesa minima, e offre allo spettatore varie opzioni, anche quella di rivedersi la versione originale. Inoltre, il blue-ray garantisce una qualità di immagine e suono straordinari, non diversa da quella in sala e superiore a una pellicola vecchia. Sono convinto che nei cinema si dovrebbe proiettare solo in digitale. Io adesso colleziono film solo su blue-ray. Tarantino continua a collezionare pellicole vecchie. A me non interessa".
Come reagisce alle polemiche che continua a provocare con il suo cinema?
"È doloroso, perché i politici ti ignorano dicendo che sei un cineasta e quindi non sei serio, mentre dall'altro lato, come regista, ti ignorano dicendo che cerchi di essere politico. Vorrei ci fosse un altro modo, ma come?".
Lei insegue le complicazioni.
"Giusto, ma io esisto in quanto cerco la verità. Lo facciamo tutti: i registi, gli scrittori. Anche voi giornalisti volete scrivere la verità non "bullshit", stronzate. La società invece cerca di renderci conformisti. Ma se io fossi tornato dal Vietnam e non avessi mai messo in discussione quello che ho fatto lì, non avrei mai girato "Platoon"".
In molti film affronta il tema del potere.
"Faccio anche film sugli "underdog", gli emarginati come in "Natural born killers" o "Nato il 4 luglio". Non mi interessa il potere in sé. Semmai il potere tormentato. Come quello di Richard Nixon o di Alessandro Magno. Poi c'è il caso George W. Bush ("W"). Non è un potente tormentato, semmai l'opposto. Ma mi interessava per via dell'impatto che la sua presidenza ha avuto sul mondo nel nostro tempo. Con "W" intendevo dare un'interpretazione drammatica di quello che era successo. Com'è possibile che uno come lui sia diventato presidente? Io sono ancora sotto shock".
Non lo ha bastonato più di tanto in "W".
"Perché parto sempre dal meccanismo di identificazione col protagonista della vicenda. Se il protagonista è un serial killer, è d'obbligo mostrarne un lato umano, stabilire un rapporto di empatia. Senza questo tutto l'impianto drammatico ed emotivo crolla. Ecco perché un autore di cinema drammatico non può mai lasciarsi trascinare dai propri pregiudizi politici".
Si sente parte di una generazione di autori, come Scorsese, Spielberg, o Tarantino?
"Non direi, mi situo semmai nelle fessure che si schiudono tra una generazione e l'altra. Io sono emerso come cineasta negli anni Settanta, Tarantino negli anni Novanta. In questo periodo mi sto riguardando tutti i classici del cinema, dagli inizi fino a oggi. S'impara sempre. A volte mi piace girare in maniera classica, con una narrativa lineare, come "Wall Street 2", molto vecchia maniera; altre mi sbizzarrisco con una narrativa a zig-zag, avanti e indietro".
Quali sono i registi che l'hanno ispirata?
"Da giovane, gli europei: Fellini, Antonioni, Godard, Buñuel, Truffaut. Ma poi quando sono andato a scuola di cinema e sono cresciuto mi sono reso conto del contributo di Hollywood. Certo, è un'enorme impresa commerciale, ma in America i film riflettono lo spirito del tempo, mentre gli europei sono ripiegati su se stessi. A me piace raccontare storie".
E gli scrittori che ha amato?
"Da giovane Joseph Conrad, James Joyce, Normal Mailer; ma gli scrittori vanno e vengono, a un certo punto il mio preferito era Nabokov. Oggi, a 60 anni mi interessano certi autori che una volta mi dicevano poco. Leggo molti scrittori non fiction, i giornalisti, quelli che affrontano temi politici e morali".
Si dice che il cinema è in crisi.
"Sono invece ottimista. La generazione dei baby-boomers (i miei coetanei) continuerà ad andare al cinema a vedere i film ancora per molti anni a venire. I giovani invece ci vanno solo per i film-fumetto il primo weekend. Ma va bene lo stesso. È un buon segno anche il fatto che i cinema sono bellissimi, puliti, con begli schermi e sistemi audio d'avanguardia. Mi fanno ridere coloro che rimpiangono i cineclub. Ma chi vuole oggi andare in una sala piccola, sporca e scomoda? Evviva le eleganti multisala con platea da stadio, grandi sedie enormi recrinabili, prenotazione di biglietti on line e amenità varie".
Ha mai pensato al 3D?
"Come no, quando è fatto bene. Ho amato "Avatar", l'ho visto tante volte, e penso che abbiano fatto un buon uso di 3D. Ho visto un bel film animato in 3D, "Rango", che è anche un omaggio a Sergio Leone. Lui avrebbe amato quella tecnologia. Dovrebbero fare film di avventura come "20 mila leghe sotto i mari, o "2001, Odissea nello spazio", o "L'ultimo dei Mohicani" in 3D".
Lei è mai stato tentato?
"No. Ci vuole tanto più tempo, e tanti più soldi, e non è nella mia natura spendere molto se non è necessario".
Cosa dice del suo prossimo film "Savages"?
"È come un western: manicheo, semplice. È la storia di tre giovani spacciatori indipendenti, due maschi e una donna, in un business che cresce in California, dove fanno la miglior marijuana del mondo, fino a quando un cartello messicano decide di intervenire. Dei veri gangster si mettono contro i tre ragazzi: personaggi che ricordano un po' Butch Cassidy e Sundance Kid. Ma i tre decidono di combattere. E lo fanno in un modo molto intelligente, usando tutte le nuove tecnologie. Ma la pagano cara. C'è tradimento, sesso e omicidi, e un gran finale".
Un'ultima domanda. Cosa ha pensato, lei uomo di sinistra coinvolto in politica, quando ha sentito la notizia della morte di Osama Bin Laden?
"Vuole mettermi nei guai? Non ho pensato fino a ora a un commento politico. Direi che certamente il suo tempo era arrivato, direi alla gente che ne va fiera che avrebbe potuto venir fatto fuori con meno spesa e più efficacia. Non era necessario spendere miliardi di dollari, combattere due guerre, cambiare le leggi sulla sicurezza nazionale, calpestare i diritti civili, distruggere la reputazione americana all'estero, per trovare Osama Bin Laden. Invece siamo caduti nella trappola preparata da al Qaeda, e abbiamo sbagliato tutto. Ecco il mio commento".