Il romanzo di Liao Yiwu espone a rischi. Dopo le 509 pagine di "Per un canto e cento canti" avrete difficoltà a ordinare un piatto al ristorante cinese. O a lavarvi i denti. Entrato nel carcere di Chongqing, come ogni novizio, anche Liao ha imparato a memoria il "menù". Una lista di 45 torture corrispondenti a piatti della cucina cinese. "13. Tartaruga lessa: il sedere lessato in acqua bollente. 14. Anatra à la Sichuan: i peli bruciati, e il glande affumicato". Più che un romanzo, come l'Arcipelago Gulag" o "Se questo è un uomo" il testo di Liao è "un rapporto dalle prigioni", precisa il sottotitolo.
Non c'è dialogo, scena o personaggio che lo scrittore abbia inventato. Ma il linguaggio di Liao per raccontare i quattro anni di reclusione è d'una poeticità selvaggia. Il russo dell'"Arcipelago" era d'una semplicità disarmante. L'italiano che Levi usa per raccontare per Auschwitz è di un rigore analitico. Liao - "il Grande Matto", lo chiamavano in carcere - ha scelto invece l'allucinazione poetica per narrare la discesa negli inferi. E il suo libro, contraltare alla potenza economica dell'Impero cinese, è una Divina Commedia del 21 secolo.
Agghiacciante che uomini, stipati in trenta in celle da 20 metri quadri, si spalmino dentifricio nell'ano per trovare d'estate, in quelle bolge dantesche, refrigerio. "A qualcosa i poeti servono", così un detenuto loda il metodo-dentifricio inventato dall'autore. Seviziato dagli sgherri col manganello elettrico nello sfintere; costretto per mesi a pulire le latrine e le catene dei condannati a morte dagli escrementi, il poeta è sopravvissuto "per recuperare nel romanzo la dignità persa in cella". Gli hanno sequestrato tre volte il manoscritto. E lui, un monaco caparbio non più alto di 160 centimetri, ogni volta ha riscritto da capo i 300 mila caratteri del suo Canto infernale.
Ci tornerà in mente lavando i denti. O dal cinese sottocasa. E ogni volta, nonostante l'orrore, sarà un conforto pensare al libro di Liao. Alla forza d'un piccolo, grande uomo che nell'antro più buio non ha perso la voglia di vivere. E di alzare ai posteri il suo canto. S.V.