L'interrogativo è tanto semplice quanto decisivo: come lavoreremo e vivremo domani? Cercare di rispondere in modo chiaro, costruire uno scenario concreto, verificabile e "spendibile" di qui a pochi anni, dare un senso alla parola 'sviluppo', è complicato. Eppure, è questo l'obiettivo ambizioso di 'Futuro Prossimo', un ciclo d'incontri - organizzato nell'ambito del Festival della Scienza che si tiene in questi giorni a Genova – in cui si parlerà di prospettive di lavoro, dal 29 ottobre al 3 novembre. Di progetti nuovi. In alcuni casi di idee concrete che stanno nascendo nel nostro Paese. Come quella dell' agrivillaggio, una sorta di incrocio fra un'azienda agricola e un quartiere eco-sostenibile a impatto (quasi) zero, un progetto-pilota che potrebbe sorgere alle porte di Parma. Un'idea che quindici anni fa ha cominciato a prendere forma nella testa e nel cuore di Giovanni Leoni, imprenditore agricolo di Vicofertile, zona della città emiliana che dista tre chilometri dal centro abitato. Un contadino cosmopolita, con la passione per i viaggi e per la saggistica: la base teorica del suo progetto sono le teorie urbanistiche di Frank Lloyd Wright (l'utopia del contadino integrato alla città de 'La città vivente'), assorbite come un'illuminazione durante un viaggio a Chicago, e la visione economica e sociale di gente come Jeremy Rifkin (la 'fine del lavoro': la tecnologia ci permette di ottimizzare i tempi, di lavorare meno e meglio) e Maurizio Pallante.
L'agrivillaggio, all'inizio, sapeva di utopia comunitarista. Ma oggi, dopo una decina d'anni di elaborazione, è un progetto definitivo. Per il quale si aspetta solo il nulla osta dell'amministrazione comunale. «L'agrivillaggio non è solo un progetto culturale, ma prima di tutto produttivo ed economico, che si distingue dagli altri progetti di eco-villaggio» spiega Leoni. «Abbatteremo i costi alimentari del 35 per cento e quelli energetici di circa il 50. I 260 ettari della mia azienda agricola saranno riordinati funzionalmente al sostentamento alimentare, energetico e sociale degli abitanti delle sessanta unità immobiliari unifamiliari che vi verranno costruite».
Si spieghi meglio, signor Leoni: qual è la peculiarità del suo progetto?
«A differenza di altri progetti di "eco-villaggi", che si basano, ad esempio, su una certa idea di socialità (tipo le comuni) o principalmente sull'uso delle energie rinnovabili, il centro dell'agrivillaggio sarà la produzione agricola di alta qualità, che sfrutterà le tecnologie più avanzate e manodopera specializzata. Per mettere in piedi un sistema nuovo, sostenibile e super-efficiente».
Cioè?
«L'obiettivo è capovolgere la logica attuale, per la quale si produce per un mercato enorme e 'anonimo', impersonale. Un sistema inefficiente, fonte di enormi sprechi: basti pensare che nella filiera dal campo al consumo il 30 per cento dei prodotti si butta via. Noi puntiamo a un'agricoltura che diventa on demand, che deve soddisfare in primis le necessità alimentari degli insediati, delle singole persone. E solo le eventuali eccedenze andranno sul mercato esterno».
E come deciderete verso quali coltivazioni indirizzarvi? Il vostro riferimento è il biologico?
«E' tutto pianificato: siamo partiti da uno studio effettuato da Nicoletta Pellegrini, docente della facoltà di Agraria a Parma, che ha scritto una dieta ideale per gli abitanti del villaggio; sulla base di questa produrremo circa 80 colture diverse, e riusciremo a coprire internamente quasi l'80 per cento del fabbisogno alimentare del villaggio. Tenderemo all'agricoltura biologica, ma senza integralismi: ridurremo l'uso di sostanze chimiche, ma non le eliminiamo a priori. Se c'è una coltura malata e serve un pesticida, la comunità verrà informata e si deciderà insieme se usarlo».
Ma, in concreto, chi lavorerà nei campi?
«Visto che l'obiettivo è l'alta qualità, sarà impiegata solo manodopera altamente specializzata: ragazzi che hanno almeno una laurea triennale del settore, che parlano le lingue, e che sono capaci di spiegare quello che fanno e perchè, di fare 'didattica'».
In che senso?
«Il progetto comprende anche un aspetto educativo e di diffusione. Le nostre conoscenze saranno messe a disposizione di tutti, sul nostro sito, e chiunque potrà venire a vedere come si coltiva e come si vive nel nostro Agrivillaggio. Per organizzare e promuovere tutto questo puntiamo molto sulla Rete e sulla nascita di una vera e propria community».
Lei ha fatto spesso riferimento all'importanza dell'aspetto architettonico e urbanistico dell'idea. Come saranno le abitazioni? Chi le ha progettate?
«L'insediamento sarà composto da piccole abitazioni monofamiliari, di circa 75 metri quadri, alimentate solo con energia pulita, che ospiteranno circa 500 persone. Tutte vicine tra loro e anche rispetto all'azienda agricola vera e propria. Con un' impronta ecologica che secondo il Politecnico di Milano è bassissima. All'aspetto architettonico hanno lavorato professionisti affermati, come Agnese Ghini, docente a Parma, e Aldo Cibic, famoso architetto e designer, che condivide i nostri principi e ci ha aiutato a dare visibilità al progetto, che ha come sottotitolo l'espressione 'coltivare una comunità'».
Ma poi i futuri abitanti dell'agrivillaggio come vivranno? Rimarranno tutto il giorno isolati in campagna, a mangiare frutta buona? «Assolutamente no. L'altra peculiarità della nostra idea è proprio la volontà di forte integrazione con la città: gli insediati continueranno a lavorare a Parma, come prima, spostandosi con biciclette o coi mezzi pubblici, e in più avranno prodotti ottimi dietro casa, a disposizione, sempre. Niente integralismi, anche in questo. Il modello dell'isola felice non funziona, è oggi improponibile, non ci interessa. Altra cosa è creare una rete di servizi interni, che in effetti vorremmo realizzare».
E gli abitanti sono solo ipotetici o c'è qualcuno che sarebbe già disposto a trasferirsi a Vicofertile?
«Ci sono molte persone che sostengono il nostro progetto, anche sulla rete. E alcune famiglie mi hanno già detto che sarebbero pronte a vivere così. Che non è una cosa dell'altro mondo: stiamo a tre chilometri dalla città...»
Da Parma, però. Città piccola e "felice". Un agrivillaggio vicino a una grande città e integrato a essa suona come un'utopia..
«E invece no. Basta che ci sia un terreno coltivabile e le grandi competenze professionali necessarie all'attuazione dell'idea. E la volontà di cambiare».
E come mai, allora, la sua idea non è ancora diventata realtà?
«Il progetto è stato presentato sia alla vecchia amministrazione comunale di Parma, sia alla nuova giunta targata Cinque Stelle. Per ora è fermo. Bloccato dalla burocrazia. Sono fiducioso però che le autorizzazioni possano arrivare per la prossima primavera, considerando pure che i grillini l'hanno inserita nel programma l'attenzione al verde e alla sostenibilità. Se così sarà, contiamo di essere pronti per il 2015, in contemporanea con l'Expo. E' un occasione di promozione e sviluppo degli agrivillaggi da non perdere, ed è l'obiettivo che mi sono prefissato».