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Cultura
aprile, 2012

Il buio oltre la sala

Dal Natale 2011 crollano spettatori e incassi. Senza tregua. E per il settore scatta l'allarme rosso. Tanto che il produttore Valsecchi lancia una proposta-choc: è ora che i film approdino da subito su Internet e pay tv. E scoppia la polemica

Anticiclico, così dicevano. Produttori, distributori, esercenti. Per esperienza (e per scaramanzia, forse), il cinema secondo i loro calcoli ha sempre risposto bene in tempi di crisi. Non è forse il "teatro dei poveri"? Non è vero che un biglietto costa meno di una gita fuori porta o di una spaghettata con amici? Anche stavolta ci credevano, e puntavano sul fenomeno anticiclico. Ma il ciclone che si è abbattuto nel 2012 sui nostri schermi non ha risparmiato nessuno. E i dati degli incassi sono arrivati come una tromba d'aria a portar via ogni illusione.

I risultati sono stati un bollettino di guerra già con i film di Natale e l'ultimo mese del 2011 si chiude con un meno 7 per cento rispetto all'anno precedente. A gennaio scatta l'allarme rosso: un incasso di meno 31 per cento, nonostante l'uscita di due rodati sequel "Immaturi-2" e "Benvenuti al Nord". E il meno 19,26 di febbraio conferma le più pessimistiche previsioni. Marzo riesce malapena a frenare la caduta libera con un meno 5,2 ma il trimestre si chiude in negativo del 20,23 rispetto all'anno precedente. Mentre i dati del weekend di Pasqua registrano un'ulteriore scivolata a cui neanche "Titanic 3D", Julia Roberts vestita da strega cattiva e i pirati animati pongono un freno. Che fare? Urge una strategia di attacco. Ma sui metodi gli esercenti-distributori-produttori hanno idee molto diverse. Li abbiamo ascoltati e quel che segue è il resoconto di un dibattito, anzi un confronto armato, contro un nemico che questa volta più che all'attacco è in fuga: il pubblico.

Sostiene Valsecchi. Ovvero: Pietro. Re Mida dei produttori italiani 2011. Anno che gli ha regalato il "Biglietto d'oro" per la costruzione di un film da oltre 43 milioni di incasso ("Che bella giornata" di Checco Zalone). Potrebbe starsene tranquillo in disparte, seduto sul successo invece si butta nell'agone con le idee più radicali di tutti. "Quando ero bambino", dice, "si entrava in sala a metà proiezione, si guardava la fine del film e poi l'inizio dello spettacolo successivo. Perché si andava "al cinema" prima che a vedere un film. Valeva allora il concetto di Mc Luhan: il mezzo è il messaggio. Ora dobbiamo ribaltare il rapporto mezzo-messaggio, cinema-film. Il mezzo NON è il messaggio. Nel mondo ipertecnologico di oggi, il messaggio (ovvero il film) non coincide solo con la sala, un mezzo del secolo scorso. Ora lo spettatore può e deve fruire del film nel suo habitat quotidiano. Propongo di lasciare alla sala il ruolo di vetrina di prestigio, ma permettere l'uscita in contemporanea nelle pay tv e su Internet in siti protetti e a pagamento". Dunque: abolizione delle finestre, ovvero il tempo fissato per legge tra l'uscita di un film in sala e il suo sfruttamento su altri media. Nata per proteggere il film, oggi protegge soprattutto le sale, finite nell'occhio del ciclone come anello debole della catena.

Dalla sala al multiscreen. Scomparse salette parrocchiali e pidocchietti di paese che un tempo garantivano una rete sul territorio diffusa quanto le chiese e le sezioni del Pci, i 4 mila schermi dedicati alla diffusione del cinema si concentrano soprattutto nelle grandi città o nei multiplex dei centri commerciali. Per il resto si assiste a una progressiva desertificazione che complica la fruizione dei film. "I troppi multiplex", spiega Riccardo Tozzi, produttore e presidente dell'Anica,"sono frutto di un errore strategico. Nascono come sala ideale delle masse giovanili nei Paesi emergenti, gran consumatori di action movie americani clonati dai video giochi. E vengono poi massicciamente importati in un Paese (il nostro) che non è emergente, non ha masse giovanili e segnala un crollo del cinema americano". Altra cosa invece, la sala urbana.

Per Tozzi (che non condivide il radicale liberismo di Valsecchi), è luogo da difendere e migliorare. Benvenuta dunque la recente nomina di Lionello Cerri a capo dell'Anec (Associazione esercenti). Pacato e colto signore milanese che alla figura di distributore e produttore aggiunge quella di proprietario di un cinema modello, l'Anteo: quattro sale, libreria, ristoranti, uno spazio espositivo e un programma che non si limita a proiettare film, ma organizza incontri, domenicali matinée per bambini, rassegne tematiche, versioni originali. "Se in una piccola città chiude una sala, muore un centro di aggregazione. Le sale vanno difese e migliorate, mentre la proposta di Valsecchi rischia di dimezzarle senza capire che la sala rappresenta la culla della formazione del pubblico. Il quale non va solo catturato ma educato, costruito, fidelizzato. Noi esercenti siamo in prima linea, dobbiamo lavorare in questa direzione. Far rete con le scuole non solo per portare gli studenti al cinema ma anche per ottenere che il cinema entri nei programmi della scuola dell'obbligo". Traduzione: salviamo il cinema insegnando cinema.

Il pubblico.
"E io nel frattempo cosa faccio? Aspetto dieci anni che il pubblico diventi grande?". È la risposta sarcastica di Mario Gianani, giovane produttore di film d'autore (da "Vincere" di Bellocchio ai "Numeri primi" di Costanzo). "Ma lo sa Cerri che il suo Anteo è l'eccezione e non la regola? La regola invece permette agli esercenti di chiedere ai produttori il 50 per cento dell'incasso e di non dare niente in cambio. Né a noi, né al pubblico. Tranne: bibite e pop corn a prezzi esorbitanti, sale trascurate, proiezioni discutibili. E allora parliamone di queste sale italiane, confrontiamole con quelle francesi dotate di wine bar, ristorantini, salette dove si aspetta il film sfogliando una rivista. Per non parlar del fatto che se un film non incassa al primo weekend i nostri lo smontano e tanti saluti a produttore e regista. Da imprenditore vi chiedo: perché non devo poter raggiungere il mio pubblico anche attraverso altre strade?".

Il film d'autore. Domanda: un film come "Gomorra" senza l'aiuto della sala riesce lo stesso a bucare lo schermo della pay tv? Domenico Procacci e Gianluca Pignataro, ai vertici della Fandango (che di "Gomorra" fu produttore) non ne sono convinti. "La sala è necessaria. Anzi bisognerebbe riportarla là dove è scomparsa cannibalizzata dai multiplex. Noi non crediamo nell'abolizione delle finestre, semmai possono essere modulate. Ma in cambio è necessario chiedere: agevolazioni fiscali per le sale che proiettano film d'autore; una regolamentazione che impedisca ai multiplex di programmare lo stesso blockbuster sul 70 per cento dei suoi schermi; un palinsesto della tv pubblica che preveda spazi dedicati al nostro cinema. Soprattutto quello di qualità".

Protezionismo o liberismo? "Ma se è proprio il film d'autore che rischia di essere la vittima del ghetto?", risponde Valsecchi. "Il caso recente è quello dell'ultimo, straordinario film dei fratelli Taviani, due vecchi leoni del nostro cinema, che dopo anni hanno conquistato Berlino. È stato distribuito in 40 sale in tutta Italia, a Roma in tre. Lo ricorderemo come flop o grande film? Se invece a fianco del rendiconto del box office, il produttore potesse leggere i dati degli acquisti attraverso pay tv e Internet, per molte opere come quella dei Taviani, il giudizio passerebbe da flop a successo. E il produttore sarebbe stimolato a produrne immediatamente un altro". "Si è chiesto Valsecchi perché le cosidette finestre esistono in tutto il mondo? E si rende conto che l'aggregazione culturale avviene grazie alla sala e non con un film su Internet?", risponde Lionello Cerri. Nel mezzo l'opinione di Riccardo Tozzi che spera nel giorno in cui"ogni film avrà il suo piano di finestre. Quello che esce esattamente con le finestre attuali. L'altro che dovrà uscire prima in Rete. Poi ci sarà il film che unisce la Rete con un'uscita ristretta in sala. Insomma si può pensare a un business plan di sfruttamento diverso per ogni film. Se organizzata la Rete può avere un enorme potenziale. Ma lasciata al far west è un disastro".

Valsecchi non dermorde e risponde punto per punto: "Il mondo corre. L'evoluzione degli strumenti della comunicazione ci ha portati in modo sempre più veloce dalla carta, alla pellicola, al satellite e ora Internet. Davanti a una tale rivoluzione copernicana, non possiamo ridurre il problema all'aggiunta di una saletta dedicata all'autore nel multiplex. Il cinema non deve morire di se stesso, chiuso orgogliosamente nel suo passato. Nel secolo scorso era giusto gridare viva il cinema, ora gridiamo viva il film. Ovunque sia".

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