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Cultura
ottobre, 2014

Hong Kong, FireChat e le reti della rivolta

Mentre la Cina censura le proteste, la rivoluzione degli ombrelli mostra le potenzialità di reti davvero decentralizzate, create con una semplice app. Ma anche le ombre del rischio sorveglianza

“Un paese due sistemi”. L’espressione che sintetizza il delicato rapporto fra Hong Kong e la Cina continentale vale una volta di più anche per la Rete. Mentre i giovani della “rivoluzione degli ombrelli”, che da dieci giorni stanno manifestando per il centro dell’ex-colonia britannica contro la pretesa di Pechino di decidere chi possano eleggere, non sembrano intenzionati a smobilitare, anzi, chiedono a gran voce le dimissioni del governo locale, il governo della Repubblica popolare reagisce come sa fare. A partire dalla censura.

Così in questi giorni il sito di Yahoo! è diventato inaccessibile in molte parti della Cina, ha segnalato Greatfire.org, un gruppo che monitora il Great Firewall, il sistema di filtraggio cinese. Mentre, sempre nel continente, a partire dal 28 settembre saltava pure Instagram, che negli ultimi tempi era diventato molto popolare fra i cinesi, anche in considerazione del fatto che molti social network stranieri sono censurati, a partire da Facebook, Twitter, YouTube, Snapchat.

Instagram, che permette di condividere foto, era sembrato più innocuo di altri, almeno finché non ha iniziato a riempirsi di immagini delle proteste di Hong Kong, che si sono organizzate online, anche grazie a una maggior libertà ed efficienza della Rete locale rispetto a quella della Cina continentale. Come è noto il movimento di protesta degli studenti contro Pechino si è coagulato attorno ad hashtag come #OccupyCentral e #OccupyHK, ed è rimbalzato sui social network.

Tuttavia il simbolo delle proteste degli abitanti di Hong Kong, più ancora degli ombrelli, è probabilmente il telefonino. Al punto che qui per la prima volta si è assistito a una sperimentazione di massa e sul campo di una tecnologia di cui si parla da tempo nei circoli degli attivisti e di chi crede nelle potenzialità liberatorie e democratiche del digitale: le reti mesh.

I giovani di Hong Kong stanno utilizzando infatti FireChat, una app per Android e iOS lanciata lo scorso marzo dalla società Open Garden, che permette agli smartphone di formare una rete temporanea fra di loro utilizzando il Wi-Fi (senza che debba agganciare un hotspot) o anche solo Bluetooth. Basta che le persone con la app stiano entro 70 metri di distanza fra loro per diventare dei nodi interconnessi che si rimbalzano le comunicazioni, senza la necessità – e questo è il punto fondamentale – di una rete cellulare o una connessione internet. “È una tecnologia molto interessante perché crea una rete locale e distribuita”, commenta all'Espresso Leonardo Maccari, ricercatore all'Università di Trento ed esperto di reti mesh.

È insomma una delle possibili incarnazioni dello slogan “Ri-decentralizzare la rete”, emerso soprattutto in seguito allo scandalo della sorveglianza Nsa. Interessante che una delle sue prime applicazioni pratiche sia avvenuta in Cina. Il fatto è che questo tipo di tecnologia è perfetta per sfuggire alla censura centralizzata del governo di Pechino. Non c'è modo di impedire che si creino queste reti di comunicazione fra persone, a meno di non spegnere il Bluetooth su ogni cellulare o di requisire lo stesso.

In precedenza FireChat è stata usata in Iraq, dove alcune migliaia di persone l'hanno scaricata dopo che la connettività internet era stata limitata dal governo in funzione anti Isis e a Taiwan, dove è stata adottata la scorsa primavera dai manifestanti che protestavano proprio contro un accordo commerciale con la Cina. Ma in passato l'app è stata usata anche da molti utenti in Iran, India, Brasile e Messico.

Secondo i suoi sviluppatori, FireChat, nei giorni delle proteste di Hong Kong, ha avuto un picco di download, con circa 100mila utenti che l'hanno scaricata in 24 ore. Anche se finora non ci sono state segnalazioni ufficiali di un distacco della rete cellulare, molti manifestanti - come il diciassettenne Joshua Wong, tra i leader della protesta - invitavano altri a usare questa app, temendo un blocco delle comunicazioni.

Tra l'altro, proprio la natura decentralizzata di queste reti rende di fatto impossibile contare il numero di utenti effettivi una volta che sono andati, come si dice, “off-the-grid”, sconnessi dalla reti mobili o internet.

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Da notare anche le diverse modalità di utilizzo della app, che permette di comunicare con persone che stanno nelle vicinanze ma anche di creare delle chat di gruppo, fino a 80 utenti. Una funzione, quella delle chat collettive abbinate a reti mesh, che lo stesso Julian Assange, nel suo libro When Google Meets WikiLeaks, indica come uno dei possibili strumenti dell'attivismo globale.

Il problema di FireChat però è che non protegge dalla sorveglianza. Anzi, da questo punto di vista chi la utilizza in situazioni di tensione e contro avversari potenti corre dei rischi. Come notano diversi ricercatori di sicurezza, FireChat non cifra le comunicazioni inviate e ricevute, né i dati dell'utente conservati sul telefonino, né autentica l'utente. In concreto ciò significa che i suoi utilizzatori possono essere spiati, o anche impersonati da soggetti malevoli. Per altro lo stesso sito di FireChat ora avvisa di questa eventualità.

Che i telefonini dei manifestanti, oltre a creare delle smart mobs, delle masse intelligenti e coordinate, come direbbe lo studioso Howard Rheingold che per primo le ha teorizzate, siano usati dai governi o altri attori come mezzo di sorveglianza, emerge anche da un'altra notizia di questi giorni.

Una società di cybersicurezza israeliana, Lacoon Mobile Security, ha individuato dei software spia (spyware) per telefonini Android e iPhone che si fingono app per organizzare le proteste di Occupy Central. Queste finte app per attivisti, diffuse via Whatsapp, sono in realtà dei malware che spiano tutta l'attività del telefonino. Finora la loro diffusione sembra comunque limitata, e in particolare non sono stati ancora rilevati effettivi casi d'uso contro iPhone.

Tornando alle app che creano reti mesh, FireChat è senz'altro la più nota, ma non è l'unico progetto del genere. Qaul.net è un software open source che interconnette computer e telefonini via Wi-Fi in modo decentralizzato. È stata realizzata con in mente la Primavera Araba, e il blackout di internet avvenuto in Egitto alla fine del gennaio 2011. Ma anche in Myanmar nel 2007, in Tibet nel 2008, in Iran nel 2009, in Libia nel 2011.

Oppure c'è la app Serval mesh, per Android, che crea delle reti decentralizzate fra i telefonini, e che è stata pensata soprattutto per situazioni di emergenza, calamità o altri eventi che rendano impossibile usare i tradizionali sistemi di comunicazione.

Lo stesso Leonardo Maccari ha appena concluso lo studio di fattibilità di RiseApp, una applicazione per mobile studiata invece specificamente per attivisti. “L'idea è di creare reti mesh per scambiarsi facilmente foto e video girati durante una manifestazione, in modo che non sia possibile censurarli, specie nel caso in cui le persone siano arrestate”, spiega Maccari. “Inoltre quando si ha a disposizione una connessione internet la app permette di caricare online tutti i materiali condivisi in modo sicuro e anonimo utilizzando la rete Tor”.

“La rivoluzione non sarà twittata”, né “instagrammata”, per citare alcuni articoli sulla capacità di alcune tecnologie di far avanzare i diritti e le democrazie. Un rete mesh però potrebbe aiutare.

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