"Due giorni e due notti" è un racconto sulla dignità umana, dove il timore è lo sfondo umano e sociale della vicenda. In una fabbrica dove non si rispetta la persona. Se non con una rivoluzione morale

"Sono felice", confida per telefono Sandra (Marion Cotillard) al marito Manu (Fabrizio Rongione), mentre sta terminando “Due giorni, una notte” (“Deux jours, une nuit”, Belgio, Francia e Italia, 2014, 95’). È lunedì mattina. Alle sue spalle c’è la fabbrica dove ha lavorato per anni. Il venerdì precedente, Monsieur Dumont (Baptiste Sornin), il padrone, ha imposto ai suoi compagni di lavoro di scegliere tra un bonus di mille euro ciascuno e il suo licenziamento. Quattordici contro due, quelli hanno preferito il bonus. Poi però, su richiesta di una di loro, Dumont ha accettato di far ripetere la votazione. Ora, dopo un sabato e una domenica passati da Sandra a incontrare i compagni nelle loro case, uno per uno, la seconda votazione si è conclusa…
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Come sempre nel loro cinema, Jean-Pierre e Luc Dardenne raccontano la dignità umana, quella dei deboli in primo luogo. Non c’è rispetto, nell’alternativa imposta ai compagni di Sandra. Non ce n’è per lei, e non ce n’è per loro, indotti e anzi “corrotti” a una scelta ignobile.

Con freddezza, il padrone scarica su di loro il peso di una responsabilità che è sua, e che certo non è solo economica. Per farlo, conta sulla loro paura: la paura di non far fronte a un mutuo, o alle spese per i figli, e la paura che uno per uno hanno d’esser poi licenziati al posto di Sandra. Così, impaurito, ciascuno immagina che gli convenga difendersi, da solo e contro ogni altro.

La paura è lo sfondo umano e sociale della vicenda di Sandra. Anche lei è impaurita, e non solo perché soffre le conseguenze di una depressione che l’ha tenuta per mesi lontana dalla fabbrica. La sua paura più forte è d’essere inadeguata. Che lo sia, le pare dimostrato dall’alternativa imposta da Dumont, che l’ha ridotta alla misura di un bonus. Della sua inadeguatezza, poi, la convincono gli incontri con i suoi compagni: con quelli che voteranno per lei, in quanto avverte d’essere per loro un danno, e con gli altri perché se ne sente umiliata.

Non c’è via d’uscita. Vinca o perda, la seconda votazione sarà una sconfitta. Lo sarà anche perché in quella fabbrica, e in quella condizione umana e sociale, non c’è posto per la dignità. Occorrerebbe un gesto, una rivolta morale, per ritrovare il rispetto di sé.

E così accade, lunedì mattina. Pensando ai suoi compagni, Sandra ha trovato la forza di non cedere al padrone. Accada quel che accada, gli ha dato la sola risposta che quello non si sarebbe aspettata. La sola “adeguata” alla propria dignità. Per questo è felice.

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