La decisione - annunciata ieri sul blog ufficiale, con un articolo intitolato "Costruire un Twitter più sicuro" - arriva dopo una serie di casi celebri in cui alcune persone, perlopiù donne, erano state oggetto di attacchi di massa attraverso il social network da 140 caratteri. Basti ricordare la vicenda di Zelda Williams, la figlia dell'attore Robin Williams, che dopo la morte del padre era stata vittima di messaggi crudeli e offensivi. O la sviluppatrice di giochi Brianna Wu che ha ricevuto minacce di morte ed è stata costretta a cambiare residenza. Ma l’elenco è lungo e potrebbe continuare.
Ora Twitter prova a dare un giro di vite su questo fenomeno con un nuovo sistema di segnalazioni, ottimizzato per il mobile, per ora attivo solo su alcuni profili ma che verrà esteso progressivamente a tutti nelle prossime settimane. L’Espresso ha potuto accedere a uno di questi account e verificarne il funzionamento.
Quando si vuole fare una segnalazione, basta andare sul simbolo della rotellina del profilo che si vuole indicare. A quel punto compare un menù con varie opzioni, tra cui le due che possono interessare: Mute oppure Block or Report.
La prima serve solo per non vedere i tweet del profilo “zittito” nella propria timeline senza dover bloccare o smettere di seguire l’account. Che in questo modo non si accorgerà di essere stato silenziato. Si può decidere di zittire e ridare voce a un account in qualsiasi momento e c’è chi usa questa funzione anche solo per non essere travolto, in determinati periodi, da profili che cinguettano troppo.
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In generale comunque Twitter promette di rispondere in modo più sollecito a questo genere di abusi. I cambiamenti riguarderebbero infatti anche la parte di funzionamento del sito che è invisibile agli utenti, in modo da filtrare meglio le segnalazioni e dare priorità alle minacce. Ad esempio, se un numero consistente di utenti riportano lo stesso tweet, questo dovrebbe finire in una corsia preferenziale ed essere analizzato al più presto.
Le prime reazioni sono positive: commenti incoraggianti sono arrivati anche dalla giornalista britannica Caroline Criado-Perez che in passato era stata oggetto di violenti attacchi online e che aveva criticato le procedure di segnalazione di Twitter, sostenendo che l'azienda non era abbastanza dalla parte delle vittime. Da allora la piattaforma si è messa al lavoro, iniziando dei colloqui anche con organizzazioni per i diritti delle donne quali Women, Action and the Media.
Uno dei problemi che Twitter dovrà affrontare è come evitare che simili sistemi non siano utilizzati da gruppi di persone per far scomparire contenuti o account semplicemente sgraditi. E il caso può riguardare bande di ragazzini che iniziano faide sui loro idoli musicali, ma anche questioni più serie, che hanno a che fare con lotte politiche e repressione del dissenso.
Non si tratta di una eventualità remota. Nel caso di Facebook diverse organizzazioni per i diritti umani, come Global Voices Advocacy, hanno riportato casi in cui profili di attivisti invisi al governo sono stati fatti sospendere attraverso la funzione “Segnala un abuso” della piattaforma (è successo in Vietnam). Si tratta di una forma di censura più subdola e granulare, e difficile da individuare. Tra l'altro anche in Italia recentemente c'è stata una polemica sulla chiusura di alcune pagine Facebook dei comitati milanesi a sostegno del diritto alla casa.
Tornando a Twitter e a come gestire i profili molesti, c'è anche chi ha proposto soluzioni alternative come i filtri collettivi. In pratica è un sistema di blocco collaborativo, in cui un gruppo di persone crea una lista di profili indesiderati a cui chi vuole può iscriversi. Un esempio è la app @BlockTogether sulla quale c'è chi ha costruito liste molto specifiche, come quella per evitare di finire in mezzo al Gamergate, una campagna nata la scorsa estate nella comunità di gamer che ha poi prodotto, attraverso i social media, una lunga serie di virulenti attacchi online. Ma in questo genere di strumenti c'è anche TheBlockBot.
Infine rimane la questione degli account sospesi che rinascono dopo pochi minuti sotto altro nome, a volte anche molto simile all'originario, magari anche solo aggiungendo un numero finale. Questa è una pratica adottata da singoli molestatori, ma anche da gruppi hacker come il Syrian Electronic Army o militanti ISIS. In alcuni casi l'impressione è che Twitter, che di tutti i maggiori social media è quello che più di ogni altro sembra tenere al principio della libertà di espressione, cerchi di evitare il più possibile il rischio di censure definitive che non siano fortemente motivate. In ogni caso, secondo quanto trapelato su alcuni media, il sito di cinguettii starebbe lavorando anche su questo aspetto.