Gli indipendentisti veneti si battono per rendere libero il paesaggio che vedete in queste immagini di Filippo Minnelli, artista bresciano che da un anno  documenta l'eredità di quarant'anni di sviluppo padano. Perché, spiega: «la Padania, esiste, eccome». Ed è questa. Vedere per scegliere. Da che parte stare

Composizione del territorio: principalmente industriale. Poi commerciale. Poi agricolo. Poi residenziale. E quindi si ricomincia da capo. Composizione del cielo: grigio. Colori del terreno: tendenti al beige. Eccola, la Padania. Filippo Minnelli la racconta fedelmente da un anno e mezzo, su un sito web creato apposta per documentare il volto di un'Italia che all'estero si conosce poco. E che ha poco a che spartire con il "bel paese" di cui i turisti sognano atterrando a Orio al Serio. «La Padania esiste», racconta l'artista, ora a Seoul per una mostra: «È quella che vediamo. Ed è nata come un processo amministrativo ben prima di quello politico». Ben prima cioè che la Lega ne facesse un simbolo migliaia di sindaci autorizzavano nuovi capannoni. Davano l'ok alla costruzione di villette e autostrade. Spalmavano cemento intorno ai campi. «Per lavoro sono stato un po' in tutto il mondo», racconta Minnelli: «E posso assicurarlo: non esiste un paesaggio come quello padano, con lo stesso mix di residenziale, industriale ed agricolo senza soluzione di continuità». «L'unico luogo che mi viene in mente», continua: «È la Silesia, una regione della Polonia che come la Padania vorrebbe la secessione», e che è ugualmente attraversata da una sterminata distesa di case, palazzetti, industrie, strerpaglie, campi.
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Non è una provocazione, quella di Minnelli, ma un «ritratto razionale», dice lui, che parte dalla constatazione dello spazio occupato, nel Nord Italia, dai centri storici, e da quello invece colonizzato da villette e imprese. Ovviamente sbilanciato verso le seconde. Nei suoi scatti, che integra con quelli inviati da altri padani sui social network, l'artista bresciano non vuole mostrare degrado, o puntare il dito su periferie, brutture, abbandono, quanto «semplicemente mostrare il territorio per quello che è».

La chiave sta infatti nella sua estensione: «La pianificazione urbanistica, in quella che identifichiamo come Padania, ha sempre favorito uno sviluppo orizzontale anziché verticale», spiega: «Da noi i "palazzoni" sono sempre stati visti come luoghi di disagio. Qui in Corea, dove mi trovo, invece, sono dignitosissimi. L'idea qui è che la città, quando finisce, finisce. E da lì in poi c'è la campagna. Mentre da noi il paesaggio è un continuum», che prevede aree industriali ogni tre chilometri, spazi incolti in mezzo a case e autostrade, villette in mezzo al nulla e strade che collegano fra loro impianti sparpagliati.

Da quando ha pubblicato "Padania classics", racconta, ha ricevuto decine di messaggi da padani doc che dichiaravano: «Non mi ero mai reso conto di vivere in un posto così. Ora prendo le statali e vedo Padania ovunque». Per questo ha pensato di organizzare tour esplorativi anche per i turisti, con un nuovo progetto dedicata all'Expo2015, "VisitPadania.com". Dal sito web offre pacchetti dedicati alla cultura ("Da Brancusi a De Chirico") ma anche alla scoperta dello «stile di vita padano», ovvero due tre giorni a "Sexy Banania", fra sexy-shop e feste in pischina come quelle raccontate dai servizi di TeleMilano alle visite in pellegrinaggi nei luoghi sacri alla cultura celtica del Nord.
Padania tour eiffel

Strade, capannoni, aree industriali. Sembrano un po' estemporanee, oggi, con la disoccupazione al 13 per cento, i giovani a casa in una famiglia su due, i secessionisti che reclamano le tasse che avrebbero versato in eccedenza per tenere in piedi gli sfaccendati del Sud. «Ma sono l'eredità di come abbiamo interpretato lo sviluppo», conclude Minnelli: «La crisi forse sarà il momento adatto per fare un punto della situazione. Per chiederci cosa questo "boom" ci ha lasciato. La retorica dei secessionisti vuole la Padania come una sorta di Svizzera in cui le cose funzionano, a differenza che nel resto del paese». Ma che se funzionano, funzionano così. E questo è ciò che hanno lasciato.

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