[[ge:rep-locali:espresso:285131700]]I due danzatori si fronteggiano in un cerchio illuminato di rosso, come un’arena di fuoco. Si muovono scalzi al suono di un tamburo e un timpano. Danno sferzate di energia. Scolpiscono lo spazio con gesti secchi e rapidissimi. La loro danza è una osmosi continua di linguaggi. È un blend ipnotizzante. Perché dopo poco nel loro piroettare, nelle braccia che roteano, nel battere a terra dei piedi, non si distingue più il flamenco dal kathak. E nei diversi assoli lo scambio di simboli e stili è ancora più complesso.
Ai lati un suonatore di tamburo e un musicista di flamenco, più altri cantanti fra i quali una vecchia conoscenza: Christine Leboutte, allieva di Giovanna Marini, collaboratrice per alcuni capolavori di Sidi Larbi Cherkaoui. L’ambiente sonoro non segue banalmente lo splendore visivo ma ne allarga in qualche modo la prospettiva. Accanto al sillabare trascinante del kathak, ecco canti sardi e siciliani del rituale del venerdì santo, canzoni della guerra civile spagnola.
L’atmosfera è esaltante, carica di pathos. In più una conferma: il flamenco è diventato un elemento costante negli spettacoli di molti creatori di oggi, (Bartabas e Andrès Marin, Carolyn Carlson e Eva Yerbabuena, Sidi Larbi Cherkoui e Maria Pagès). È il flamenco il linguaggio più autentico e attuale della danza contemporanea spagnola.