Sembra senza vie d’uscita, “Birdman” (Usa e Canada, 2014, 119’). Fin dall’inizio il film di Alejandro Iñárritu si presenta come un piano sequenza unico, senza montaggio. In realtà, sono molti i piani sequenza di cui si compone, ma legati fra loro da immagini fisse e da passaggi nel buio. Tutto accade così senza stacchi, in una continuità che non fa intravvedere punti fermi. In questo tempo cinematografico lineare e uguale, Riggan (Michael Keaton) gioca tutto se stesso, e in primo luogo la propria immagine di sé, lavorando a una messa in scena teatrale dei racconti pubblicati da Raymond Carver nel 1981 con il titolo “Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore”.
Quando parla d’amore, appunto, Riggan parla di sé. Ma non si tratta di egoismo, benché il suo ego ne sia il centro. Dopo il successo popolare ottenuto nel ruolo del supereroe Birdman in quel baraccone planetario che per lui è Hollywood - allusione al Batman di Tim Burton interpretato da Keaton -, ormai sessantenne recita in un teatro prestigioso di Broadway.
[[ge:rep-locali:espresso:285514598]]
Quel che cerca è un altro pubblico, capace di altri applausi. Pretende cioè che la critica teatrale colta renda testimonianza della sua arte d’attore, e che la certifichi. Ha bisogno di questa certificazione come il Birdman del fumetto ha bisogno delle sue ali pacchiane: per volare in alto, al di sopra della pesantezza della propria temuta mediocrità, inseguendo il sogno che coltiva dai tempi del college. Essere un grande attore, o forse, in senso più radicale, semplicemente essere: questo è il sogno, o l’illusione. Ma come si può davvero essere, se non rispecchiandosi negli altri, nel loro riconoscimento del nostro essere?
[[ge:rep-locali:espresso:285514597]]
È un tale riconoscimento, contraddetto e sofferto, che Riggan insegue per tutto il film. Poi, accanto al suo, c’è il desiderio parallelo di Mike (Edward Norton), l’attore straordinario che egli stesso ha voluto sul palco con sé, ma che lo contrasta e minaccia come il Joker fa con Batman.
A parte il conflitto con Mike, niente altro conta per lui, nemmeno sua figlia. Eppure, al culmine della sua corsa illusoria verso l’applauso definitivo, quello che renderebbe inutile ogni altro applauso, una via d’uscita gli si presenta: una via d’uscita che violenta e spezza la linearità senza tempo del film, e che gli consente finalmente di volare, questa volta al di sopra d’ogni pesantezza. E con lui, ora, anche Iñárritu spezza la continuità del piano sequenza, aprendosi alla leggerezza narrativa del montaggio.