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Cultura
luglio, 2015

Genova, dove nasce la protesi ultra tecnologica

Nasce in Liguria, grazie ai ricercatori dell’Iit, la protesi tecnologica che sarà esportata in tutto il mondo. E presto arriverà anche il “total body”, che rivoluzionerà il grande business della riabilitazione

È ancora adagiato nella grande cassa di legno che lo ha riportato dalla California, il robottone Walkman, sfortunato protagonista del Darpa Robotics Challenge di Pomona, Los Angeles, il 6 giugno scorso. Al terzo piano dell’Istituto italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, un drappello di ingegneri provenienti da mezzo mondo sta per fargli un’accurata “autopsia”, per capire perché sia caduto nell’attraversare una porta. Pare sia stata colpa delle batterie ma la gara con concorrenti che si allenavano da anni non si può proprio dire che sia andata male. Unico invitato europeo alla prestigiosa sfida tra i robot, Walkman ha fatto lo stesso un figurone, soprattutto perché le sue mani erano le sole in grado di operare con forza, capaci di aprire una valvola industriale manco fosse il rubinetto di un lavandino. Il bestione alto 185 centimetri e pesante 120 chili, tra qualche anno si farà conoscere anche fuori dalla stretta cerchia degli esperti, nel ruolo di testimonial di una futura matricola di Borsa. Quando la Rehab Technologies debutterà sul listino, a Milano o a New York, chissà, Walkman sarà presente, nei discorsi e magari pure di persona. La sua mano, soft-hand, infatti, opportunamente rivisitata, alleggerita e ingentilita (avrà persino dei finti peli), sarà uno dei tre prodotti della più promettente- economicamente parlando - delle startup che scaldano i motori dentro il palazzone appollaiato sulle colline della Val Polcevera, alle porte del capoluogo ligure.

Per essere precisi, la società destinata a sfruttare le tecnologie sviluppate all’interno dell’Iit per la protesica, l’ortesica e la riabilitazione (appunto sotto il cappello della Rehab Technologies) avrà un nome diverso, che avrà a che fare con l’idea di movimento, e inizialmente punterà sulla macchina “total body”. Un marchingegno che, partito per aiutare la riabilitazione della caviglia, ha via via aumentato i “distretti” del corpo umano su cui intervenire: ginocchia, bacino, pelvi, tratto lombare della spina dorsale. Sviluppata in collaborazione con i centri clinici dell’Inail di Budrio (Bologna) e Volterra (Pisa), sarà in vendita nei primi mesi del 2016 e avrà un campo d’azione che si prennuncia assai vasto, coprendo la riabilitazione nei casi di malattie neurologiche. Ma anche per riabilitare i soggetti post ictus o dopo la sostituzione di un’anca. A fine luglio saranno pronti cinque prototipi pre-serie, che saranno piazzati in centri clinici di tipo neurologico e ortopedico e in centri fisioterapici che curano anziani e sportivi. Non a caso, medici e preparatori atletici di parecchie squadre di calcio - tra cui le due genovesi, Milan e Inter - si sono già ampiamenti documentati sulle capacità dell’attrezzo. L’asso nella manica della macchina - che con la sua piattaforma semovente può apparire ai profani una sorta di “superWii” - sarà la sua precisione nel misurare i progressi di una terapia. Se un movimento è effettivamente migliorato, se il paziente inizia a disporre di una maggiore forza, la total body lo certificherà al di là di ogni considerazione soggettiva.

Costerà 80-100 mila euro e sarà destinato ai centri di riabilitazione di tutto il mondo. Solo negli Stati Uniti e in Europa, i potenziali clienti sono 61 mila, hanno spiegato quelli della Bocconi agli scienziati genovesi che li avevano incaricati di studiare il mercato. Lo scenario più prudente del “business plan” immagina di conquistare il 10 per cento di questa platea in cinque anni, generando ricavi nell’ordine dei 500-600 milioni. Nel 2017, poi, saranno pronti la mano (soft-hand) e l’esoscheletro, per i quali sono stati stanziati 12 milioni di euro (7,5 da parte dell’Inail, 4,5 dall’Iit). La prima servirà per sostituire gli arti amputati, il secondo per far muovere le persone che hanno perso la mobilità a causa di un danno spinale.

La protesi della mano potrebbe costare, al pubblico, tra i 15 e 20 mila euro. Il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, ha già annunciato di volerla inserire tra gli strumenti mutualizzabili. Sarà più caro l’esoscheletro, oltre 100 mila euro, che non ha alcun concorrente sul mercato ma che dovrà sfidare la classica carrozzella. Rispetto alla quale, però, potrà mettere in campo anche una funzione riabilitativa, che la sedia a rotelle non ha. A chi è costretto a farvi ricorso, infatti, il fatto di stare sempre seduto può creare problemi di circolazione o favorire l’osteoporosi. Camminare, invece, anche aiutati da un robot, è una pratica di riabilitazione di per sé.
Le potenzialità economiche sono enormi, insomma. D’altronde si stima che, entro il 2019, il business degli apparati medici robotici supererà i 4 miliardi di euro a livello globale. Tra le start-up partorite dall’Iit, questa sarà anche l’unica a disporre di una vera e propria fabbrica. Il capannone è già stato individuato: si trova a poche centinaia di metri dal palazzone dell’Iit, a due passi dall’autostrada Genova-Milano. E i quattrini? Arriveranno dai privati. Da quando i vertici dell’Iit si sono messi a caccia di finanziamenti, meno di un mese fa, sono già stati avviati colloqui con sette potenziali investori. Sono i gestori dei patrimoni di famiglie abbienti, oppure fondi di venture capital. Molti di loro rappresentano interessi non italiani.

Come stranieri sono in centinaia, tra i cervelloni che infarciscono l’austero palazzo dell’Iit: del migliaio di persone che lavorano nella sede genovese dell’Iit, battezzato nel 2003 e divenuto operativo un paio d’anni dopo, gli scienziati sono circa 850 (e portano a casa 84 mila euro lordi l’anno, in media). La Fondazione che governa il fiore all’occhiello tricolore nel campo della ricerca finalizzata al trasferimento di tecnologia è statalissima (fa capo ai ministeri dell’Istruzione, università e ricerca e dell’Economia), ma il clima che si respira nei sei piani di via Morego è cento per cento Silicon Valley, se non si fa caso all’inconfondibile accento genovese che risuona in uffici, laboratori e corridoi. Abbondano bermuda e sandali e per trovare un dipendente incravattato ci vuole fortuna: l’unico incrociato, alla macchinetta del caffè, è un tipo dell’amministrazione.

Niente cravatta neppure per il direttore generale Simone Ungaro, 44 anni, romano, che s’è diplomato alla London School of Economics - dove per un anno, ha studiato, diciamo così, anche Mick Jagger - s’è occupato di banche, utilities e telecomunicazioni in Kpmg e Deloitte Consulting e tra il 2002 e il 2006 è stato consulente per la Ragioneria generale dello Stato, la direzione del Tesoro e del ministero delle Finanze. Esperienze in cui è nato il rapporto con Vittorio Grilli, il presidente del Consiglio dell’Iit, che gli ha affidato il compito di «mettere in piedi» (parole sue) la tecno-corazzata genovese, insieme al direttore scientifico Roberto Cingolani, 53 anni, di Milano. Un signore che di cravatta ne appena una (la indossa durante le audizioni in Parlamento) ma nel cassetto conta 30 brevetti e 700 pubblicazioni. Fisico quantistico esperto di nanotecnologie, Cingolani è anche uno dei pochi, qua dentro, che può salire pedalando i sei micidiali tornanti che dalla piana portano all’ingresso dell’Iit, ondeggiando “en danseuse” sulla sua Cinelli in carbonio.

Tra i compiti dell’istituto c’è anche quello di promuovere nuove imprese che utilizzino le tecnologie studiate e testate all’interno. Le dotazioni statali garantite per legge si aggirano tra i 90 e i 105 milioni annui e non più del 10 per cento può essere investito nelle eventuali startup che a Genova decidono di finanziare. Qualche piccolo spin-off è già partito (vedi articolo qui sopra), senza contributi diretti in denaro dell’Iit ma, curiosamente, quella che sarà più strutturata e disporrà di una vera fabbrica per trasferire nei manufatti le soluzioni della Rehab Technologies, nasce da un’idea di Ungaro, economista di formazione. «Mia moglie insegna Anatomia alla Sapienza di Roma e sono abituato a vedere in casa finti scheletri», scherza il direttore generale.«Vedendo quanta conoscenza avevamo sviluppato con i robottini iCub, per replicare con la biomeccanica l’apparato muscolo-scheletrico, abbiamo capito che si sarebbero potute fare grandi cose nella riabilitazione. E, insieme alle sperimentazioni con l’Inail, abbiamo iniziato a disegnare i contorni industriali», racconta Ungaro. La macchina total body avrà un nome italiano (uno dei candidati è Primo), e pure il design, al quale sta collaborando anche il Ddp Studio Architecture & Design di Milano. Al look dell’esoscheletro, che dovrà essere il meno possibile vistoso, ci stanno invece pensando quelli della Dainese, l’azienda di abbigliamento per moto che ha inventato la “gobba” per proteggere le schiene dei motociclisti.

Non fa soldi ma seguita a suscitare ammirazione il piccolo iCub, il robottino (alto poco più di un metro), realizzato finora in trenta esemplari. Uno è andato in onda in televisione, martedì 23 giugno a “Ballarò”. È un robot umanoide cognitivo, di fatto la piattaforma scientifica su cui all’Iit si testa l’intelligenza artificiale. L’obiettivo è sfornare nei prossimi dieci anni un robot-amico, capace di interagire con l’uomo in modo naturale. Oggi iCub riconosce oggetti, impara a orientarsi in un ambiente umano, manipola oggetti comuni e li usa imitando l’uomo. Parla, ha imparato a stare in equilibrio e presto muoverà i primi passi in modo naturale. Nel frattempo, a Genova, sperano che total body, protesi della mano ed esoscheletro avranno cominciato a macinare profitti.

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